Umanità Nova, n.26 del 2 settembre 2007, anno 87

Afganistan. Stragi uniformi



Il 2 agosto, anniversario della strage alla stazione di Bologna, bombe della Nato hanno compiuto un altro massacro, con due o trecento vittime civili, colpendo il villaggio di Shah Ebrahem, nella provincia afgana di Helmand: ma nessun democratico italiano ha dimostrato di accorgersi di questo, ennesimo, atto terroristico.
La consegna per tutti sembra essere quella di addossare la responsabilità delle atrocità di guerra soltanto alla missione statunitense Enduring Freedom, assolvendo invece l'operato militare della Nato e della missione Isaf: questa linea è stata peraltro ripetuta negli ultimi mesi dal ministro della difesa Parisi ma, soprattutto, da quello degli esteri D'Alema il quale, appena lo scorso 25 luglio, aveva definito le vittime civili causate dalle ultime operazioni militari Usa come "non accettabili sul piano morale" e "disastrose sul piano politico", giungendo ad auspicare una conclusione di Enduring Freedom.
In realtà, il confine tra le due missioni - Enduring Freedom e Isaf - è da tempo andato confondendosi, se non per quanto riguarda i ruoli e le zone operative di competenza; tanto più che, al momento, entrambe le missioni sono sotto comando militare statunitense. Se, all'inizio dell'intervento, poteva sembrare che all'Isaf-Nato fossero assegnati compiti "di polizia" quali il presidio di Kabul e l'addestramento delle forze governative, mentre Enduring Freedom veniva impiegata in funzione offensiva di antiguerriglia; ormai questa distinzione risulta superata dai fatti, con una crescente rilevanza operativa della Nato.
Le rituali giustificazioni dei comandi militari seguono copioni abusati: i guerriglieri si fanno scudo della popolazione oppure, dato che i guerriglieri non hanno uniformi, figurano come morti civili; affermazioni peraltro contraddette dall'elevato numero di vittime anche tra i soldati con la divisa amica dell'esercito afgano e dei vari contingenti Isaf.
In realtà, la retorica degli "effetti collaterali" è di per se inconsistente, a fronte di 1.200 incursioni aeree a settimana, con l'impiego anche di bombardieri strategici B.52 e B1-B, nonché il massiccio impiego di cluster bomb. Appare chiaro come i bombardamenti siano la principale tattica portata avanti, con logica terroristica, dalle forze Usa e Nato al fine di non impegnare direttamente le proprie truppe su un terreno non meno ostile della popolazione. I dati delle vittime, riferite esclusivamente alla prima metà dell'anno in corso, non lasciano margini di dubbio: oltre tremila morti, con una ottimistica percentuale di cinque vittime civili ogni "insorto" ucciso.
Una strage che, a tutti gli effetti, è da mettere in conto alla Nato e ai governi impegnati, come quello italiano, nella missione Isaf; dato che, anche da un punto di vista gerarchico, sono proprio i comandanti Isaf-Nato a dare il nulla osta ai raid aerei "suggeriti" dal comando Usa o a richiedere l'appoggio aereo per le truppe impegnate in una terra sempre più nemica.

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