Il Corriere della sera del 28 agosto ha ospitato un'intervista a Walter
Veltroni che "è tutta un programma": nel senso che contiene
affermazioni eccessive che rasentano il ridicolo, se non fossero
tragiche; e nel senso che le parole del sindaco di Roma delineano
quello che è un vero e proprio programma di governo.
L'intervista mi pare interessante perché si muove su due piani:
quello delle proposte concrete e quello dell'orizzonte mitico. Veltroni
ribadisce che già al Lingotto di Torino, nel discorso che dava
il via alla sua corsa alla segreteria del Partito Democratico, aveva
parlato "come italiano", non "come uomo di parte"; dice che "era
giusto" candidarsi; che "non aveva scelta"; che "l'occasione è
storica, non per me né per la nostra parte politica; per il
paese". E a quali altri periodi della storia italiana assomiglierebbe
quello presente? "Alla Resistenza, una pagina straordinaria che vide
scalpellini e intellettuali, muratori e sacerdoti battersi insieme per
la libertà di altri…" (segue invito ad inserire nei
programmi scolastici la lettura delle Lettere dei condannati a morte
della Resistenza); "Agli anni '60: la fine del gelo, l'arrivo della
primavera, che a tutti sembrava di vedere dal tettuccio apribile della
500. Poi il paese è stato percorso da energie politiche confuse
e contraddittorie". Già, proprio così: il ciclo di lotte
dei lavoratori della fine anni '60 e gli anni '70 viene liquidato in
questo modo. La cosa non stupisce di certo, ma è lo sfondo
mitico su cui Veltroni proietta la sua immagine, il richiamo al momento
"storico" che lascia un po' interdetti: posto che un politico navigato
come Veltroni non può credere a quello che dice, ne deriva che
con il richiamo a Resistenza e anni '60 si vorrebbe offrire un modello
di mobilitazione e di "clima" che dovrebbe essere alla base dell'azione
del Pd. Ma la sottolineatura è sul termine "libertà" e
"primavera", un mix tra i film neorealisti e quelli della prima
metà degli anni '60, del boom, dei "giovani". Insomma, una
verniciata a una sostanza che si delinea in tutta la sua crudezza.
L'Italia, infatti, deve ritrovare il "senso di una motivazione
collettiva, attraverso l'ancoraggio ad un sistema di valori, a un'idea
di democrazia" dove non ci sia contrapposizione radicale e dove si
possa "decidere", dove di guardi agli "interessi generali". Del resto,
in Francia, tanti socialisti adesso lavorano con Sarkozy: "Quale
è il problema?" si chiede Veltroni. In Italia ben si può
approvare un potenziamento della figura del primo ministro e una
riduzione dei parlamentari con il voto della destra: in effetti,
diciamo noi, la riforma costituzionale berlusconiana bocciata dal
referendum popolare la scorsa estate è stata ripresa nella
sostanza dal Pd. Partito che deve avere una vocazione "maggioritaria":
cioè deve costruire meccanismi elettorali tali da poter
governare da solo, senza alleati. Come il discorso di Veltroni sul
momento "storico" e sul fatto che la sua candidatura sia "giusta"
ricorda la "discesa in campo" di Berlusconi che fu "costretto a bere
l'amaro calice della politica", così il programma veltroniano
è un mix di banalità centriste su fisco, sicurezza,
sviluppo. In realtà Veltroni si presenta come un Berlusconi
"gentile", non "volgare": la sostanza del berlusconismo senza la
maschera grottesca e feroce dell'uomo di Arcore e di Bossi. Un regime
"democratico" dove il conflitto sociale viene cancellato perché
"vecchio", frutto di una cultura e visione delle cose "conservatrici".
Legge, ordine, gerarchia, sfruttamento: ma con il sorriso sulle labbra,
con gentilezza… Eccheddiamine! Non vi viene da sorridere? Non
sentite il profumo della "giovinezza", della "primavera di... bellezza"?
W.B.