Sabato 1° settembre, un attentato - probabilmente una mina - nel
distretto di Farah contro un convoglio italiano costituito da sei
veicoli e il conseguente lieve ferimento di tre soldati in
perlustrazione ha avuto una considerevole eco sui media nazionali,
salvo il fatto che della pattuglia facevano parte anche soldati
dell'esercito afgano e, soprattutto, l'appartenenza dei militari ai
reparti specializzati in controguerriglia. Al contrario lo scorso 22
agosto, un ben più grave episodio è quasi scomparso - il
manifesto, ad esempio, non l'ha neppure citato -, quando il contingente
italiano in Afganistan è stato coinvolto in un attacco diretto
della guerriglia. Un analogo convoglio, formato da sette Vtlm (Veicolo
tattico leggero multiruolo) Lince e da un'ambulanza, comprendente un
nucleo dei reparti speciali era stato attaccato con razzi Rpg e
raffiche di kalashnikov da un gruppo di almeno una ventina di
combattenti sempre nell'area critica di Farah, confinante con quella di
Helmand ormai teatro di continui scontri e quotidiani bombardamenti
della Nato. I militari italiani avevano risposto quindi al fuoco ed
erano intervenuti in funzione di copertura due elicotteri d'attacco
A-129 Mangusta, decollati da Herat, recentemente assegnati alla
missione italiana.
Secondo le informazioni divulgate dalla stampa, era la prima volta che
i Mangusta entravano in azione; di certo ormai sono del tutto operativi
e stanno fornendo appoggio tattico, oltre che ai militari italiani,
anche alle truppe governative afgane.
In tale occasione non ci sarebbero stati feriti tra i "nostri ragazzi",
ma neanche un accenno al numero degli afgani colpiti dai proiettili
italiani: ennesimo caso di oscuramento della realtà di guerra
permanente in Afganistan.
D'altra parte, i comandi Nato da qualche tempo, nei loro bollettini,
non precisano neppure la nazionalità dei militari dell'Isaf che,
ogni giorno, muoiono o rimangono feriti in combattimento, in attentati
o per "fuoco amico".
L'Afganistan, infatti, deve rimanere il più lontano possibile
dal contesto sociale e politico interno e, rispetto all'oscena retorica
interventista del precedente governo di centrodestra, il governo di
centrosinistra preferisce ricorrere all'annullamento dell'informazione
riguardante la più rilevante missione militare italiana in
corso, con oltre duemila soldati in zona di guerra e reparti speciali
impegnati in funzione antiguerriglia. Come se non bastasse, l'organico
del contingente italiano risulta in costante aumento: lo scorso 26
luglio 2007 il ministro della difesa, Arturo Parisi, ha infatti reso
noto che il Battle Group italiano a Kabul, dal prossimo dicembre e per
un periodo di 8 mesi, sarà incrementato di ulteriori 250 uomini
in relazione all'assunzione di responsabilità del Regional
Command Capital.
Nonostante, però, questo sistematico oscuramento ogni sondaggio
d'opinione continua a far emergere la contrarietà della
maggioranza delle persone interpellate. Ultima in ordine di tempo, la
rilevazione effettuata dall'Istituto canadese Angus Reid, tra i
cittadini degli stati che partecipano alla missione Isaf, secondo cui
per il 66% degli italiani, la missione della Nato in Afganistan
rappresenta un fallimento (soltanto i cittadini tedeschi testimoniano
un dissenso superiore, calcolato attorno al 69%).
Evidentemente, l'esistenza di questo diffuso scetticismo pende come una
spada di Damocle sulla testa dei responsabili della politica di guerra,
ben consapevoli del rischio che - di fronte a nuove bare nel tricolore
in arrivo da Kabul - potrebbe precipitare.
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