Umanità Nova, n.27 del 9 settembre 2007, anno 87

Lavavetri-1. Dell'editto di Fiorenza e dei mestieri incomodi


"…Dato atto che nell'esercizio delle attività suddette ed in particolare in quella di 'lavavetri' si sono verificati molteplici episodi di molestie soprattutto agli incroci semaforizzati e che ciò configura pericolo di conflitto sociale per i numerosi alterchi verificatisi, in particolare nei confronti delle donne sole;
Dato atto inoltre che in conseguenza all'esercizio delle attività suddette trova nocumento anche l'igiene delle strade a causa della presenza di secchi o altri contenitori e attrezzi usati per la lavatura dei parabrezza dei veicoli, nonché a causa dello sversamento dai medesimi di acqua sporca;…"
L'italiano non è dei migliori, ma la parte concettuale in premessa è chiarissima e sufficiente a qualificare gli orizzonti mentali degli estensori. L'ordinanza (la 774) della polizia municipale fiorentina - a "senso unico" per dirla in metafora - marca un vuoto culturale incolmabile ed una presa di distanza da quelle tanto sbandierate civiche tradizioni democratiche ormai ridotte a collutorio (a La Pira, a don Milani e perfino a Dante non mancheranno motivi per rivoltarsi nella tomba). È comunque un ritorno all'antico dei corpi di polizia locale, per decenni relegate a funzioni di mera disciplina del traffico metropolitano. Come agli albori del Novecento, la difesa dei ceti cittadini, dediti alle arti, alle professioni e al commercio, e dei loro gretti interessi, dalle minacce provenienti soprattutto extra moenia (un tempo gli ambulanti, i questuanti e i vagabondi, i contadini affamati e gli avventizi, i girovaghi, gli zingari e tutti i "mestieri incomodi") torna in auge.
L'epilogo della vicenda fiorentina si è consumato tutto in sede mediatica. Al TG3 regionale l'assessore "sceriffo" – i'Ccioni – ha promosso parcheggiatore in diretta televisiva un ex lavavetri quasi settantenne, di nazionalità marocchina e presente in città da 14 anni. Il tutto con modi un po' sguaiati, fra pacche nelle spalle e usando toni eccessivamente confidenziali nei confronti di un anziano signore che lo guardava intimidito ("…perché te tu te lo meriti!!!..."). Poi le interviste a tappeto alla Firenze forcaiola e bottegaia, ai terzultimi arrivati, a "eleganti" signore ferme alle vetrine delle boutique: "…bene così un se ne pole più…".
I principi di elementare civiltà giuridica, che vorrebbero le responsabilità di comportamenti illeciti ascrivibili a circostanziate responsabilità individuali e mai a categorie sociali oggettivamente sospette, lasciano molto a desiderare. Ora, bisogna ammettere che tutti quei giovanotti armati di secchio e spazzola fermi agli incroci, non hanno studiato a Oxford, e neppure sono cultori di monsignor Della Casa (come la maggior parte degli automobilisti, come molti vigili del resto!). Rom romeni hanno da tempo sostituito i devoti e spensierati polacchi di una volta. E poi un'altra domanda: perché le prostitute e gli spacciatori sì e i lavavetri no? Quel "racket" lì non interessa? E chi protegge gli indifesi da quegli altri "mestieri" aggressivi, più moderni, da chi ti affibbia contratti per telefono, da chi sua sponte trasforma i risparmi della nonna in bond argentini, ecc.. ecc..
L'aspetto saliente del provvedimento adottato nel capoluogo toscano, rispetto ad altre situazioni come ad esempio quella bolognese, sottende l'esigenza di adottare specifiche misure protettive nei confronti di "donne sole". Questo a causa della composizione di genere ("maschi adulti") dei gruppi attivi ai semafori. Ad esempio (v. "La Repubblica", Firenze 31/8, p. II) anche la moglie di'Ccioni ha ricevuto di recente "colpi di spazzole sul parabrezza". La realtà è che tutte queste improvvise pulsioni delle autorità locali volte alla protezione del sesso debole ci paiono, oltre che improntate a vecchie mentalità maschiliste, anche ipocrite e, soprattutto, dettate dalle paure ataviche verso lo straniero. E l'opinione pubblica benpensante si sfoga nel web in un campionario di aneddoti e luoghi comuni di dubbia veridicità: "… Al ponte di Varlungo ad ogni ora del giorno e della notte un tizio ubriaco e barcollante cerca di lavarti il vetro. La mia ragazza non passa più da Firenze Sud perché una volta è stata quasi aggredita… (by Federico)".
Il lavavetri che si materializza a quegli incroci non risponde esattamente agli stereotipi dell'immaginario delle pubblicità. "…abbiamo anche ragione di credere – si legge sul sito del CPA Firenze Sud – che, se i lavavetri si presentassero come ragazze sotto i ventun anni, sponsor di roba inutile sulla maglietta, generose porzioni di epidermide in vista, il loro operato avrebbe l'universale benedizione. Tanto, i sudditi occidentali ormai più in là non ci arrivano…".

Ma quale racket: una testimonianza
Un'ultima questione da cui, credo, non si dovrebbe mai prescindere. Conoscere prima di giudicare. La conoscenza è il miglior antidoto all'odio. Quelli che seguono sono stralci di una testimonianza "dal di dentro" pubblicata sulla lista del Firenze Social Forum.
"…Con una decina di altri compagni/e siamo andati già ieri [29 agosto] pomeriggio in piazza Libertà a lavare vetri. Avevamo con noi un volantino preparato dai compagni del Panico […] Nella mobilitazione credo dobbiamo tenere presente anche un altro fatto. Parlare di 'lavavetri' a Firenze vuol dire parlare di rom rumeni. Allora bisogna tirare fuori nella sua interezza la questione dei rom rumeni in questa città. Una città in cui la giunta sostiene di aver 'risolto' il problema rom parlando solo di quelli provenienti dalla ex - Jugoslavia che hanno sistemato per altro in dei vergognosi 'villaggi' (così li chiamano) sugli stessi terreni in cui sorgevano il campo Poveraccio e il campo Masini.
Per i rom rumeni non è stato fatto nulla, tranne retate sistematiche, pestaggi, decine e decine di carcerazioni, fermi, arresti. Compresi quelli di bambini portati nel famigerato Centro Sicuro di viale Corsica, gestito da una cooperativa sociale e presidiato dalla Polizia Municipale.
Sono stato diverse volte negli accampamenti dei rom rumeni, che, lo ricordo, dal 1 gennaio di quest'anno sono cittadini europei non meno dei tedeschi, degli italiani, dei francesi e degli spagnoli. Dormono alla stazione, nei giardinetti e, in molti (circa 200-300, a volte fino a 400) in baracche di legno all'interno di capannoni industriali abbandonati nella zona tra Firenze, Prato, Sesto, Calenzano.
Le amministrazioni - non solo quella di Firenze, anche di Sesto e altre - sono a conoscenza della loro presenza ma non fanno nulla. Assolutamente nulla. Perché, sostengono, se li riconoscessero ufficialmente dovrebbero poi spendere soldi per le politiche di 'inclusione', e loro i soldi non li hanno, specie per 'includere' persone che i residenti, in larga parte, non vogliono. Nel frattempo, questure, carabinieri, vigili si scatenano: nel periodo in cui ho avuto contatti più stretti con queste persone, i carabinieri armati piombavano tutte le notti tra le tre e le cinque nei capannoni. Ricordo che c'era un buco nel muro, sul retro, per scappare.
Donne incinte sono state deportate verso il CPT di Bologna, poi abbandonate alla stazione ferroviaria bolognese quando i poliziotti hanno capito che erano incinte; i bambini vengono sistematicamente picchiati dai vigili, che in alcuni casi li portano in aperta campagna e li abbandonano lì, a una ventina di chilometri di distanza dalla città. Nei capannoni, quando ci sono stato, c'erano due anziani con la tbc dimessi da Careggi con un pacchetto di mascherine e senza neppure una cura (una cosa completamente illegale).
Convivevano tranquillamente con bambini, donne incinte, ragazzi, dormivano con la moglie nello stesso letto.
Il provvedimento di Cioni sta quindi dentro questa politica delle giunte della Piana. E nello stesso tempo serve a coprire la realtà sociale devastante di queste persone con le urla scomposte dei media e di un'opinione pubblica che non sa assolutamente nulla (di solito) di queste situazioni. Ne' intende conoscerle, a quanto pare.
Un'ultima precisazione. Si parla molto di racket. Credo che rispetto alla questione dei 'lavavetri', come pure rispetto al fenomeno dell'accattonaggio, il termine non descriva la realtà.
La vita dei rom rumeni inizia all'alba, quando si svegliano e si spostano dagli accampamenti per scappare alle retate della polizia e dei carabinieri. Ci si lava in fretta, con l'acqua che sta dentro dei secchi già sporchi. Con gli autobus o a piedi si va nei posti in cui chiedono l'elemosina o ai semafori. A fare l'elemosina sono spesso i bambini, le donne e gli anziani. Gli uomini delle volte elemosinano, delle volte svolgono altri lavori saltuari (massaggiatori, raccoglitori di ferro, manovali), altre volte non fanno nulla, contando sulle entrate prodotte dai propri familiari. Il racket quindi non c'entra: non ci sono organizzazioni esterne a controllare il lavoro e i proventi di quelle attività, come per la prostituzione; è il prodotto di una organizzazione patriarcale e maschilista della comunità quella che fa sì che gli uomini mandino donne e bambini a chiedere l'elemosina e a lavare i vetri. Ho litigato decine di volte con i rom rumeni che conosco, sul modo in cui trattano figli e donne. Non credo infatti che basti dire: è questione di cultura, e lavarsene le mani. Ma il racket è un'altra cosa.
La sera tornano verso l'accampamento. Con i soldi presi dall'accattonaggio e dal lavaggio dei vetri, i bambini, le donne e gli uomini fanno la spesa alla Lidl e negli altri centri commerciali. Alla sera si rientra nei capannoni.
Una batteria di automobile alimenta un lumino. Si mangiano le cose che si sono comprate o prese. Se i soldi non bastano infatti, il resto lo prendono, infilandolo nelle tasche dei pantaloni, delle giacche, sotto le gonne. Si può giudicare questo come si vuole (meglio se si evita il moralismo, a mio avviso), ma tant'é, in quelle condizioni io non credo che farei diversamente. E anche qui, il racket non c'entra nulla. Né hanno a che fare con il racket i gruppetti che fanno reati maggiori (rapine, furti di automobili, ecc.). Anzi: spesso non vivono neppure negli stessi luoghi e comunque, negli accampamenti sono divisi e gli altri spesso non gli parlano neppure, anzi ce l'hanno con loro perché credono che sia per colpa loro che i carabinieri gli sono sempre addosso.
Sulla stessa scia dei piccoli furti nei negozi e nei centri commerciali si pongono anche gli altri 'reati' commessi dai bambini rom: furti in centro, borseggi, scippi. Non credo che si debba far finta di nulla, credo che bisogna capire il disastro sociale che c'è dietro quegli atti, e il disastro delle politiche sociali del Comune (di tutti i Comuni della Piana, in verità).
La repressione - ripeto - è durissima, costante, implacabile. È un continuo entrare ed uscire dalle celle di sicurezza della Questura, dal Centro Sicuro, dal carcere minorile di via della Scala, dai CPT (prima dell'ingresso nell'UE), da Sollicciano. Entrare ed uscire dal carcere anche senza uno straccio di condanna, per detenzione amministrativa, per carcerazione preventiva. Una repressione che è aumentata dopo l'ingresso della Romania in EU: perchè le forze di pubblica sicurezza, non potendo più espellere queste persone, le terrorizzano per spingerle ad andare via, come e più di prima, con raid notturni, retate, accollandogli reati anche non commessi, ecc.
Così, è un continuo andare in Romania e tornare: gli autobus partono ogni giorno dagli stessi parcheggi della SITA e della LAZZI. Il costo si aggira sui 130 euro, ma ci vogliono altri 30-40 euro tra le 'mance' per gli stessi gestori delle compagnie degli autobus e quelle per i funzionari del consolato di Milano o dell'ambasciata di Roma. Al ritorno la storia si ripete…" 

(A cura di Giorgio Sacchetti)



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