Pietro Stara, La comunità escludente la Nuova Destra tra piccole patrie ed Europa nazione, Zero in Condotta, 2007
Il fascino del nuovo, si sa, esercita un potere d'attrazione che confonde memoria e spirito critico.
A cavallo tra la fine degli anni Settanta e Ottanta, prima in Francia e
poi in Italia, si affermava il progetto politico-culturale della Nuova
Destra, ossia il tentativo più convinto elaborato dalla destra
radicale per rompere l'accerchiamento e l'immobilismo dei partiti e
delle formazioni eredi del passato nazi-fascismo europeo.
Tale tentativo, promosso principalmente da Alain de Benoist in Francia
e da Marco Tarchi in Italia, senza peraltro abiurare la derivazione dai
vari fascismi storici, dimostrò fin dall'inizio intenzioni senza
dubbio ambiziose: recuperare l'esperienza della Rivoluzione
Conservatrice tedesca che, negli anni Trenta, era stata l'ambito
d'incubazione del nazionalsocialismo, valorizzando al contempo alcuni
aspetti "antisistema" dei movimenti contestativi di sinistra sorti e
sviluppatisi attorno al '68, tanto da prefigurare un superamento della
contrapposizione destra-sinistra in nome della comunità di
popolo.
A distanza di quasi un trentennio, quella Nuova Destra formalmente non
esiste più; ma oltre a ritrovare ancor più presenti e
inseriti nel dibattito culturale più "in" i suoi ispiratori,
ormai considerati a tutti gli effetti degli stimati filosofi, è
innegabile che buona parte delle interpretazioni e delle analisi
lanciate da questo ambito di intellettuali militanti ha conquistato
spazi e superato confini ben oltre i territori dell'estrema destra
conosciuta come tale. Basti pensare alle tante aggregazioni che negli
ultimi anni si sono dichiarate "né di destra né di
sinistra": dalla Lega Nord al partito di Di Pietro, da settori
ambientalisti al recente raggruppamento Movimento Zero di Massimo Fini.
In un suo intervento del '79, oltre ad appropriarsi indebitamente della
critica gramsciana, Marco Tarchi era stato estremamente lucido: "Le
nostre case editrici debbono proseguire lo sforzo per inserirsi nei
normali circuiti, il nostro messaggio deve giungere – senza
etichette – a quanti più soggetti possibile: in cineclub,
spettacoli musicali, programmi radio, circoli ecologici e nelle mille
altre forme in cui sapremo e potremo articolare il nostro movimento
negli anni a venire" (da AA.VV., Proviamola nuova. Atti del seminario
«ipotesi e strategia di una nuova destra», Libreria
Editrice Europa, Roma 1980).
Tale lavoro di penetrazione ideologica, si può ben dire, ha
portato i suoi frutti, se oggi numerosi intellettuali di sinistra quali
Cacciari, Negri, Preve, Latouche, La Grassa… dialogano
pubblicamente e si confrontano alla pari con de Benoist e Tarchi,
spaziando dalla globalizzazione alla biopolitica.
Per questo, il lavoro dell'amico Pietro Stara ha un'indubbia
attualità sia da un punto di vista teorico che militante,
considerata la carenza di adeguati anticorpi all'interno dei movimenti
antimperialisti e dei gruppi dell'opposizione sociale che, sovente, si
ritrovano pericolosamente contigui ai sostenitori della
"comunità organica", una comunità davvero definibile come
discriminante perché si fonda sulla critica "differenzialista"
ed il rifiuto dell'idea egualitaria in tutte le sue diverse espressioni
(il femminismo, il classismo, il suffragio universale... riprendendo le
parole di Gennaro Malgieri, oggi parlamentare di Alleanza Nazionale, ma
vent'anni fa padrino politico della Nuova Destra).
Un libro agile, quindi, per comprendere e smascherare l'utilizzo da
parte della Nuova Destra di parole, teorie e sistemi politici
recuperati dai campi avversi.
Se ci soffermiamo, ad esempio, sul significato di differenzialismo, non
possiamo che convenire con la riflessione esposta da Pietro secondo cui
"la grande abilità della Nuova Destra, copiata poi, in parte,
dalle destre storiche più o meno radicali, è stata quella
di aver recuperato il differenzialismo con il quale la sinistra
combatteva, a partire soprattutto dagli anni '60, forme di varie
xenofobie, così come alcune teorie dell'ecologismo radicale e il
differenzialismo proposto da correnti del femminismo separatista degli
anni '70". Tale operazione avrà il suo tragico rovesciamento in
chiave antiegualitaria, antiemancipatoria ed antifemminista,
abbracciando la necessità evoliana di una "riappropriazione
virile del sesso contro la decadenza ginecocratica dello stesso".
Ad ulteriore dimostrazione che la destra, anche quando si dichiara
nuova o persino futurista, è radicale solo per il suo affondare
le radici nell'archeologia del pensiero autoritario.
M.G.R.