Lo scorso 3 settembre, durante la sua visita lampo in Iraq, il
presidente Bush ha, per la prima volta, ipotizzato una riduzione delle
truppe statunitensi attualmente impegnate in territorio iracheno con
160 mila militari. Tale ridimensionamento potrebbe essere avviato nella
primavera del 2008 e riguarderebbe, secondo le indicazioni dei
generali, circa 60 mila unità, dato che in quel periodo i
comandi saranno costretti a prendere in considerazione il rimpatrio di
alcune brigate, a meno che non si voglia estendere il loro periodo
d'ingaggio da 15 a 18 mesi.
Per non smentire se stesso, Bush ha affermato che l'occupazione sta
conseguendo imprecisati "successi"; ma l'ultimo bollettino di guerra,
relativo al mese di agosto, riferisce al contrario di una situazione in
caduta libera: 1.773 civili vittime di bombe, azioni militari e
violenze conseguenti alla guerra civile. A luglio erano state 1.653 e a
giugno 1.241. Si tratta di dati non ufficiali ma comunque divulgati dai
ministeri degli interni, della difesa e della sanità iracheni.
Il 6 settembre, l'ultimo eccidio: un'incursione area notturna Usa
contro il quartiere Washash di Baghdad ha causato la morte di almeno 14
persone e la distruzione di numerose case.
Resta invariato (81) il numero - beninteso ufficiale - dei caduti tra i
soldati Usa che complessivamente, ormai, in quattro anni contano 3.700
perdite ufficiali.
Secondo lo stesso Dipartimento della Difesa statunitense, ogni mese di
guerra di in Iraq comporta per le casse federali circa 8 miliardi di
dollari: una spesa improduttiva ormai insostenibile.
Se da un lato, dietro tale nuovo orientamento, si possono facilmente
scorgere calcoli elettorali per tentare di recuperare consenso attorno
e persino dentro il Partito repubblicano, di fronte agli esiti
disastrosi di una guerra che ormai viene contestata dai più
diversi settori della politica statunitense e viene definita "di non
ritorno" negli stessi rapporti ufficiali del Foreign Policy; d'altro
canto il disimpegno delle forze armate Usa sta da tempo corrispondendo
ad un crescente impiego di reparti mercenari, non solo in Iraq ma anche
in Afganistan, secondo una ormai sperimentata logica di privatizzazione
ed esternalizzazione della guerra.
Questa scelta presenta infatti innumerevoli vantaggi: i mercenari
caduti non fanno notizia e ad essi possono essere delegati i compiti
più sporchi, come ad esempio la gestione dei centri di
detenzione dove sono reclusi almeno 24.500 iracheni, con annessi
trattamenti speciali sui prigionieri, così come avvenuto ad Abu
Ghraib dove operavano almeno 37 contractor che, a differenza dei pochi
militari Usa, non hanno subito alcun processo.
Secondo quanto riportato in agosto dal quotidiano The Washington Post,
il Pentagono nell'ultimo triennio ha pagato 548 milioni di dollari a
due imprese di sicurezza britanniche (Aegis Defence Services e Erinys
Iraq) che lo scorso luglio, ancor prima di stipulare nuovi contratti,
hanno inviato ulteriori 2.000 addetti da mettere al servizio dell'Army
Corps of Engineers. L'utilizzo delle compagnie militari private sta di
fatto soppiantando i militari regolari in numerosi ruoli - compresi
antiguerriglia e d'intelligence - anche se l'effettiva dimensione degli
investimenti in questo campo non è mai stata documentata
ufficialmente.
Oltre ai 180 mila civili (statunitensi, iracheni e di altri paesi) che
svolgono servizi di supporto e manutenzione per conto delle truppe
d'occupazione, sarebbero 25-30 mila i Military and Security Contractors
(MSC) e la spesa sostenuta nel 2007 dal governo Usa per appaltare la
guerra alle società private si aggirerà attorno a un
miliardo e mezzo di dollari. Queste società, oltre alle
più note Blackwater, ArmorGroup e Global Risk, sono almeno un
centinaio e in gran parte operanti nell'illegalità dato che non
hanno alcuna autorizzazione dal governo iracheno. I loro compiti, in
teoria, dovrebbero essere di carattere difensivo, ma in realtà
svolgono compiti anche di combattimento, tanto che un dipendente di una
di queste agenzie ha ammesso che i suoi colleghi hanno eliminato almeno
300 nemici, "alleggerendo il compito delle forze armate americane".
Rilevante anche il ruolo di addestramento per gli apparati statali
iracheni: la Vinnell si è occupata di istruire ed equipaggiare
l'esercito affiancata da MPRI e Nour USA, mentre la DynCorp (braccio
armato della nota Halliburton Oil, la compagnia di cui Dick Cheney era
amministratore delegato) ha preparato i poliziotti e fornito consulenza
per il sistema giudiziario.
Il 30 giugno scorso i contractors caduti in Iraq hanno superato quota mille; i feriti sono oltre 12mila.
Le cosiddette PMC (Private Military Companies) sono ormai dotate di
mezzi corazzati, armi pesanti e tecnologia avanzata, certo poco consona
a semplici mansioni di security, infatti, nel marzo 2004, la tv
svizzera trasmise un reportage in cui si vedevano dei contractor armati
prendere parte a combattimenti diretti; così come, nel giugno
2006, quando la CNN e l'inglese Channel 4 mostrarono appartenenti alla
compagnia privata britannica Aegis che, nel timore di un attentato,
sparavano dall'interno del loro blindato a veicoli civili nelle strade
di Baghdad.
Soltanto la storia della Aegis Defence e la carriera del suo direttore
esecutivo Tim Spicer meriterebbero un capitolo a parte. Infatti, pur
essendo una delle più importanti quanto più torbide
compagnie private di sicurezza fa parte della International Peace
Operations Association (IOPA), una lobby assai attiva a Washington che
cerca di legittimarsi a livello internazionale quasi come
un'organizzazione umanitaria. Eppure la Aegis è stata scelta,
con un contratto di circa 3 milioni e mezzo di euro, anche dalla "task
force Iraq" del ministero degli esteri italiano per la tutela dei
tecnici e dei cooperanti italiani rimasti a Nassiriya dopo il ritiro
della missione Antica Babilonia.
Emblematico il nome del contratto stipulato tra l'Aegis e il Dipartimento della difesa Usa: Progetto Matrix.
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