Umanità Nova, n.28 del 16 settembre 2007, anno 87

Iraq. La guerra in appalto


Lo scorso 3 settembre, durante la sua visita lampo in Iraq, il presidente Bush ha, per la prima volta, ipotizzato una riduzione delle truppe statunitensi attualmente impegnate in territorio iracheno con 160 mila militari. Tale ridimensionamento potrebbe essere avviato nella primavera del 2008 e riguarderebbe, secondo le indicazioni dei generali, circa 60 mila unità, dato che in quel periodo i comandi saranno costretti a prendere in considerazione il rimpatrio di alcune brigate, a meno che non si voglia estendere il loro periodo d'ingaggio da 15 a 18 mesi.
Per non smentire se stesso, Bush ha affermato che l'occupazione sta conseguendo imprecisati "successi"; ma l'ultimo bollettino di guerra, relativo al mese di agosto, riferisce al contrario di una situazione in caduta libera: 1.773 civili vittime di bombe, azioni militari e violenze conseguenti alla guerra civile. A luglio erano state 1.653 e a giugno 1.241. Si tratta di dati non ufficiali ma comunque divulgati dai ministeri degli interni, della difesa e della sanità iracheni.
Il 6 settembre, l'ultimo eccidio: un'incursione area notturna Usa contro il quartiere Washash di Baghdad ha causato la morte di almeno 14 persone e la distruzione di numerose case.
Resta invariato (81) il numero - beninteso ufficiale - dei caduti tra i soldati Usa che complessivamente, ormai, in quattro anni contano 3.700 perdite ufficiali.
Secondo lo stesso Dipartimento della Difesa statunitense, ogni mese di guerra di in Iraq comporta per le casse federali circa 8 miliardi di dollari: una spesa improduttiva ormai insostenibile.
Se da un lato, dietro tale nuovo orientamento, si possono facilmente scorgere calcoli elettorali per tentare di recuperare consenso attorno e persino dentro il Partito repubblicano, di fronte agli esiti disastrosi di una guerra che ormai viene contestata dai più diversi settori della politica statunitense e viene definita "di non ritorno" negli stessi rapporti ufficiali del Foreign Policy; d'altro canto il disimpegno delle forze armate Usa sta da tempo corrispondendo ad un crescente impiego di reparti mercenari, non solo in Iraq ma anche in Afganistan, secondo una ormai sperimentata logica di privatizzazione ed esternalizzazione della guerra.
Questa scelta presenta infatti innumerevoli vantaggi: i mercenari caduti non fanno notizia e ad essi possono essere delegati i compiti più sporchi, come ad esempio la gestione dei centri di detenzione dove sono reclusi almeno 24.500 iracheni, con annessi trattamenti speciali sui prigionieri, così come avvenuto ad Abu Ghraib dove operavano almeno 37 contractor che, a differenza dei pochi militari Usa, non hanno subito alcun processo.
Secondo quanto riportato in agosto dal quotidiano The Washington Post, il Pentagono nell'ultimo triennio ha pagato 548 milioni di dollari a due imprese di sicurezza britanniche (Aegis Defence Services e Erinys Iraq) che lo scorso luglio, ancor prima di stipulare nuovi contratti, hanno inviato ulteriori 2.000 addetti da mettere al servizio dell'Army Corps of Engineers. L'utilizzo delle compagnie militari private sta di fatto soppiantando i militari regolari in numerosi ruoli - compresi antiguerriglia e d'intelligence - anche se l'effettiva dimensione degli investimenti in questo campo non è mai stata documentata ufficialmente.
Oltre ai 180 mila civili (statunitensi, iracheni e di altri paesi) che svolgono servizi di supporto e manutenzione per conto delle truppe d'occupazione, sarebbero 25-30 mila i Military and Security Contractors (MSC) e la spesa sostenuta nel 2007 dal governo Usa per appaltare la guerra alle società private si aggirerà attorno a un miliardo e mezzo di dollari. Queste società, oltre alle più note Blackwater, ArmorGroup e Global Risk, sono almeno un centinaio e in gran parte operanti nell'illegalità dato che non hanno alcuna autorizzazione dal governo iracheno. I loro compiti, in teoria, dovrebbero essere di carattere difensivo, ma in realtà svolgono compiti anche di combattimento, tanto che un dipendente di una di queste agenzie ha ammesso che i suoi colleghi hanno eliminato almeno 300 nemici, "alleggerendo il compito delle forze armate americane".
Rilevante anche il ruolo di addestramento per gli apparati statali iracheni: la Vinnell si è occupata di istruire ed equipaggiare l'esercito affiancata da MPRI e Nour USA, mentre la DynCorp (braccio armato della nota Halliburton Oil, la compagnia di cui Dick Cheney era amministratore delegato) ha preparato i poliziotti e fornito consulenza per il sistema giudiziario.
Il 30 giugno scorso i contractors caduti in Iraq hanno superato quota mille; i feriti sono oltre 12mila.
Le cosiddette PMC (Private Military Companies) sono ormai dotate di mezzi corazzati, armi pesanti e tecnologia avanzata, certo poco consona a semplici mansioni di security, infatti, nel marzo 2004, la tv svizzera trasmise un reportage in cui si vedevano dei contractor armati prendere parte a combattimenti diretti; così come, nel giugno 2006, quando la CNN e l'inglese Channel 4 mostrarono appartenenti alla compagnia privata britannica Aegis che, nel timore di un attentato, sparavano dall'interno del loro blindato a veicoli civili nelle strade di Baghdad.
Soltanto la storia della Aegis Defence e la carriera del suo direttore esecutivo Tim Spicer meriterebbero un capitolo a parte. Infatti, pur essendo una delle più importanti quanto più torbide compagnie private di sicurezza fa parte della International Peace Operations Association (IOPA), una lobby assai attiva a Washington che cerca di legittimarsi a livello internazionale quasi come un'organizzazione umanitaria. Eppure la Aegis è stata scelta, con un contratto di circa 3 milioni e mezzo di euro, anche dalla "task force Iraq" del ministero degli esteri italiano per la tutela dei tecnici e dei cooperanti italiani rimasti a Nassiriya dopo il ritiro della missione Antica Babilonia.
Emblematico il nome del contratto stipulato tra l'Aegis e il Dipartimento della difesa Usa: Progetto Matrix.

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