Nella relazione di accompagnamento alla legge di Riforma del servizio
militare obbligatorio si legge: "Le forze militari (.) oltre al
tradizionale e perdurante ruolo di difesa della sovranità ed
integrità nazionale, sono chiamate ad una funzione più
dinamica per garantire la stabilità e la sicurezza collettiva
con operazioni di gestione delle crisi e di supporto della pace.
Ciò implica la necessità di trasformare lo strumento
militare dalla sua configurazione statica ad una più dinamica di
proiezione esterna, con più rapidi tempi di risposta
all'insorgere dell'esigenza ed una più completa e complessa
preparazione professionale. Il modello interamente volontario è
quello che meglio risponde a questa nuova connotazione e funzione dello
strumento militare. (.) Non si tratta, peraltro, di abolire la
coscrizione obbligatoria, ma solo di prevederla in casi eccezionali,
quali quelli di guerra o di crisi di particolare rilevanza, che
richiedano interventi organici. Tra l'altro non è possibile
sottacere che il rilevante calo demografico in atto in Italia unito
all'incremento del fenomeno dell'obiezione di coscienza rende sempre
più difficile raggiungere contingenti di leva idonei a
soddisfare le esigenze qualitative e quantitative delle Forze armate.
(…) Partendo dall'attuale (anno 1999) livello di circa 270 mila
uomini, l'insieme di questi fattori fa ritenere perseguibile, pur
rispettando gli attuali impegni operativi assunti, una riduzione dello
strumento militare interamente professionale a 190 mila unità,
ovvero di ben 80 mila unità in meno della consistenza attuale
(.). In tale prospettiva occorrerà: - procedere nella riduzione
dei volumi organici degli ufficiali e dei sottufficiali (.); - ridurre
progressivamente l'entità della truppa di leva, fino a
sospendere il reclutamento, sostituendola con personale volontario in
servizio permanente e in ferma di uno o cinque anni (.).
Il fattore principale su cui calibrare i tempi per la transizione dal
modello misto a quello tutto volontario è rappresentato dal
personale di truppa, il cui livello attuale (anno 1999) è di
circa 30 mila unità. Conseguentemente, rispetto al volume
ipotizzabile di circa 110 mila volontari, si rende necessario reclutare
un totale di circa 80 mila unità (.) L'Italia è un Paese
dove, pur a fronte di alti livelli di disoccupazione giovanile e di una
pressante richiesta di personale volontario di truppa da parte delle
Forze armate, non si riesce, al presente, a soddisfare adeguatamente
l'attuale domanda di personale volontario a ferma prefissata. La
conclusione che se ne deve trarre è che la domanda professionale
legata al personale volontario di truppa non è, allo stato,
sufficientemente competitiva sul mercato del lavoro giovanile (.). In
questo contesto il conseguimento dei necessari livelli di personale
volontario di truppa appare perseguibile se in presenza di un nuovo e
più favorevole quadro normativo volto a:
Prevedere un più adeguato trattamento economico e giuridico; -
prevedere per i volontari in ferma prefissata sbocchi interni alle
Forze armate nel ruolo dei volontari in servizio permanente,
nonché per questi ultimi maggiori possibilità di
passaggio nelle categorie superiori; - consentire al personale che non
trova collocazione nell'ambito delle Forze armate al termine della
ferma di avere uno sbocco occupazionale, prevedendo assunzioni nella
pubblica amministrazione, accesso diretto alle carriere iniziali nelle
Forze di polizia ad ordinamento militare e civile, nel Corpo nazionale
dei vigili del Fuoco e nei ruoli civili della Difesa, nonché
facilitazioni per il collocamento sul mercato del lavoro privato. (.)
Uno dei problemi essenziali per dare concretezza e credibilità
ad un modello volontario è costituito oltre che dalle risorse
umane, anche dalla disponibilità di quelle finanziarie. Al
riguardo, gli oneri connessi al passaggio da un sistema misto ad uno
tutto volontario sono principalmente legati alla maggiore retribuzione
del personale volontario rispetto a quello di leva (.). La completa
trasformazione del modello dello strumento militare in senso
professionale configura anche l'esigenza di un ricorso a fonti esterne
in molteplici servizi oggi garantiti prevalentemente dal personale di
leva. Vi è poi la necessità di portare le strutture
logistiche a livelli di maggiore qualità compatibili con
l'esigenza di vita di un personale di truppa tutto volontario
nonché di dotare le Forze armate di equipaggiamenti, armi e
mezzi adeguati ad uno strumento operativo interamente professionale.
(.) Per altro verso la riduzione del numero complessivo del personale
militare, e la prevedibile diminuzione di costi di struttura
comporteranno considerevoli recuperi, ed una maggiore
flessibilità della struttura dei costi (.). In sintesi, il
mutato scenario operativo e strategico porta ad affermare che uno
strumento militare interamente volontario è possibile e
nell'attuale contesto è il solo rispondente alle nuove esigenze
di sicurezza e di difesa".
Flash – back: anno 2000, il 14 giugno, la legge sulla Riforma del
servizio militare ed il passaggio dalla coscrizione militare
obbligatoria a quella facoltativa e professionale viene approvata a
larghissima maggioranza dal Parlamento. Quello che ho riprodotto
è un tratto parziale della relazione che accompagnava la riforma
di legge ed è proprio il passaggio che l'onorevole ulivista,
Ministro della Difesa, Arturo Parisi, ha utilizzato in due successive
interviste, la prima delle quali non considerata pressoché da
nessuno, risalente al 18 marzo del 2007, rilasciata al quotidiano "La
Nuova Sardegna", ripetuta quasi pari nella settimana di Ferragosto e
rilasciata al settimanale "Oggi".
Questo disse Parisi alla Nuova Sardegna: "D - Alla fine del 2005 sono
stati congedati gli ultimi soldati arruolati con la ferma di leva
obbligatoria. Ma è stato giusto abolire la leva? R - «In
primo luogo, la leva obbligatoria non è stata abolita,
bensì sospesa - risponde Parisi, precisando - Questo è
avvenuto a seguito della trasformazione dello scenario strategico del
nostro Paese, che ha visto venir meno la minaccia militare immanente e
imminente, quale quella posta dal Patto di Varsavia. Nessun "modello di
difesa" è eterno. Deve al contrario adattarsi alle
necessità reali, e questo ha indotto alla sospensione della leva
obbligatoria e alla revisione del modello di difesa sulla base
dell'arruolamento volontario». D - A che cosa serviva la leva, e
a che cosa non serve più? R - «La leva serviva ad
alimentare le Forze armate - ma anche alcune forze di polizia - con
personale giovane e rappresentativo di tutta la società
nazionale. Permetteva di mantenere forze di difesa e di sicurezza
sufficientemente numerose per far fronte alla minaccia esistente
coinvolgendo tutti i cittadini nella difesa della Patria, dovere che la
Costituzione definisce "sacro". Naturalmente, la leva presentava anche
degli svantaggi, quali ad esempio la bassa prontezza operativa delle
Unità così alimentate. Una frazione importante delle
nostre forze era in addestramento, e ciò rendeva molto difficile
impiegarle prontamente in missioni reali all'estero. Anche per questo,
il passaggio al volontariato è risultato vantaggioso, in termini
di costo/efficacia». D - In una audizione alle Commissioni Difesa
di Camera e Senato, nel luglio 2006, lei citò il programma di
governo indicando come "la riforma della leva abbia comportato e
comporti l'obbligo di investire anche nella formazione,
nell'addestramento, nella tutela della salute, nella previdenza, nella
casa di abitazione e negli alloggi di servizio". Come si concilia
questo con i tagli della Finanziaria al bilancio della Difesa avvenuti
negli ultimi anni? C'è l'ipotesi di recuperare risorse a
vantaggio delle Forze armate? R - «Lo stiamo già facendo.
Con la Finanziaria per il 2007 sono state conferite risorse aggiuntive,
proprio per finanziare l'attività quotidiana delle forze armate
e i programmi di investimento, ad esempio nell'edilizia abitativa.
Certo, le risorse effettivamente disponibili sono ancora lontane da
quelle di cui avremmo bisogno, ma i limiti imposti dalla
stabilità finanziaria complessiva ci hanno impedito di fare di
più. Se riusciremo a migliorare lo stato delle finanze
pubbliche, anche alla ripresa economica, sono certo che la Difesa
potrà contare su risorse aggiuntive»."
Questo Arturo Parisi riaffermava ad "Oggi": "(…) Ma alla
sospensione della leva ci si è arrivati soprattutto
perché lo scenario internazionale impone anche all'Italia di
adeguare il suo strumento militare ad un genere di impieghi che
richiedono rapide risposte alle crisi, con la partecipazione ad
operazioni di ripristino della pace e della legalità
internazionali con contingenti militari altamente professionali. Ma la
leva non è stata mai abolita. Sia per rispetto al preciso
obbligo costituzionale, il servizio militare è obbligatorio nei
limiti e modi stabiliti dalla legge, sia per elementare misura di
prudenza, giacché nessuno può prevedere il futuro, e
quindi le necessità di ricostituire di nuovo delle Forze armate
in numero adeguato.
Ecco perché si è stabilito che in caso di guerra,
cioè della necessità di difendersi da una aggressione al
Paese proveniente dall'esterno, o di grave crisi internazionale,
qualora non fosse possibile colmare le necessità organiche
mediante il reclutamento di volontari o il richiamo in servizio di
questi, si dovrebbe procedere con il reclutamento obbligatorio. Questo
principio è stato ribadito in più occasioni successive,
ogni volta che si è provveduto, con dei Decreti Legislativi, ad
affinare le procedure ed a definire i dettagli delle disposizioni
legislative che hanno portato, appunto, alla sospensione della leva. Ma
i mass-media italiani sembrano aver completamente perduto ogni traccia
di questo principio, sicché si continua a sostenere che la leva
è stata abolita nel 2005.
La verità, è invece che nessuno l'ha mai abolita, ed il
principio della partecipazione di tutti cittadini alla difesa della
Patria, cioè della collettività di cui facciamo parte,
non è solo sacro per la Costituzione, ma è anche
sacrosanto come per ogni comunità che mantenga un senso di
appartenenza e di giusta condivisione delle responsabilità fra
tutti i suoi membri."
Cerchiamo di capire quali elementi si evidenziano da questi stralci di interviste:
Il militarismo, il nazionalismo patriottardo sono tanto forti quanto connaturati sia al centrodestra che al centrosinistra.
Le guerre sono sostenute, finanziate, appoggiate sia dal centrosinistra
che dal centrodestra, con distinguo davvero irrisori ed ipocrisie
sicuramente più rilevanti nella prima componente.
C'è un deficit, "storico-culturale", questa volta positivo, per
noi s'intende, che tiene lontani molti dei nostri concittadini dalle
lusinghe della carriera militare, nonostante gli alti tassi di
disoccupazione.
Il Ministero della Difesa batte cassa, cioè mette in anticipo
che se non ci sono ulteriori risorse per il settore militare,
comprensivi di incentivi alla carriera, molti altri concittadini
preferiranno rimanere disoccupati o precari piuttosto che intraprendere
la carriera militare.
Il Ministro Parisi allarga a dismisura il concetto di guerra, non solo
in termini di guerra difensiva, ma anche di una non ben definita grave
crisi internazionale, facendo così definitivamente propria la
dottrina Clinton-Bush-Cheney-Blair-Berlusconi-D'Alema.
Non sarà certo il centrosinistra a permettergli di ripristinare
la leva obbligatoria, alienandosi così le già poche
simpatie della gioventù italica, ma gli consentirà di
usarlo per ottenere maggiori finanziamenti per il settore militare, in
linea con gli aumenti dell'ultima finanziaria.
Per parte nostra, non cambiamo linea: diserteremo le loro guerre, i
loro eserciti, le loro missioni di pace, la loro pace e le loro
manifestazioni di pace.
Pietro Stara