Umanità Nova, n.28 del 16 settembre 2007, anno 87

Parisi: "la leva obbligatoria? È solo sospesa!" Più soldi ai professionisti


Nella relazione di accompagnamento alla legge di Riforma del servizio militare obbligatorio si legge: "Le forze militari (.) oltre al tradizionale e perdurante ruolo di difesa della sovranità ed integrità nazionale, sono chiamate ad una funzione più dinamica per garantire la stabilità e la sicurezza collettiva con operazioni di gestione delle crisi e di supporto della pace. Ciò implica la necessità di trasformare lo strumento militare dalla sua configurazione statica ad una più dinamica di proiezione esterna, con più rapidi tempi di risposta all'insorgere dell'esigenza ed una più completa e complessa preparazione professionale. Il modello interamente volontario è quello che meglio risponde a questa nuova connotazione e funzione dello strumento militare. (.) Non si tratta, peraltro, di abolire la coscrizione obbligatoria, ma solo di prevederla in casi eccezionali, quali quelli di guerra o di crisi di particolare rilevanza, che richiedano interventi organici. Tra l'altro non è possibile sottacere che il rilevante calo demografico in atto in Italia unito all'incremento del fenomeno dell'obiezione di coscienza rende sempre più difficile raggiungere contingenti di leva idonei a soddisfare le esigenze qualitative e quantitative delle Forze armate. (…) Partendo dall'attuale (anno 1999) livello di circa 270 mila uomini, l'insieme di questi fattori fa ritenere perseguibile, pur rispettando gli attuali impegni operativi assunti, una riduzione dello strumento militare interamente professionale a 190 mila unità, ovvero di ben 80 mila unità in meno della consistenza attuale (.). In tale prospettiva occorrerà: - procedere nella riduzione dei volumi organici degli ufficiali e dei sottufficiali (.); - ridurre progressivamente l'entità della truppa di leva, fino a sospendere il reclutamento, sostituendola con personale volontario in servizio permanente e in ferma di uno o cinque anni (.).
Il fattore principale su cui calibrare i tempi per la transizione dal modello misto a quello tutto volontario è rappresentato dal personale di truppa, il cui livello attuale (anno 1999) è di circa 30 mila unità. Conseguentemente, rispetto al volume ipotizzabile di circa 110 mila volontari, si rende necessario reclutare un totale di circa 80 mila unità (.) L'Italia è un Paese dove, pur a fronte di alti livelli di disoccupazione giovanile e di una pressante richiesta di personale volontario di truppa da parte delle Forze armate, non si riesce, al presente, a soddisfare adeguatamente l'attuale domanda di personale volontario a ferma prefissata. La conclusione che se ne deve trarre è che la domanda professionale legata al personale volontario di truppa non è, allo stato, sufficientemente competitiva sul mercato del lavoro giovanile (.). In questo contesto il conseguimento dei necessari livelli di personale volontario di truppa appare perseguibile se in presenza di un nuovo e più favorevole quadro normativo volto a:
Prevedere un più adeguato trattamento economico e giuridico; - prevedere per i volontari in ferma prefissata sbocchi interni alle Forze armate nel ruolo dei volontari in servizio permanente, nonché per questi ultimi maggiori possibilità di passaggio nelle categorie superiori; - consentire al personale che non trova collocazione nell'ambito delle Forze armate al termine della ferma di avere uno sbocco occupazionale, prevedendo assunzioni nella pubblica amministrazione, accesso diretto alle carriere iniziali nelle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile, nel Corpo nazionale dei vigili del Fuoco e nei ruoli civili della Difesa, nonché facilitazioni per il collocamento sul mercato del lavoro privato. (.) Uno dei problemi essenziali per dare concretezza e credibilità ad un modello volontario è costituito oltre che dalle risorse umane, anche dalla disponibilità di quelle finanziarie. Al riguardo, gli oneri connessi al passaggio da un sistema misto ad uno tutto volontario sono principalmente legati alla maggiore retribuzione del personale volontario rispetto a quello di leva (.). La completa trasformazione del modello dello strumento militare in senso professionale configura anche l'esigenza di un ricorso a fonti esterne in molteplici servizi oggi garantiti prevalentemente dal personale di leva. Vi è poi la necessità di portare le strutture logistiche a livelli di maggiore qualità compatibili con l'esigenza di vita di un personale di truppa tutto volontario nonché di dotare le Forze armate di equipaggiamenti, armi e mezzi adeguati ad uno strumento operativo interamente professionale. (.) Per altro verso la riduzione del numero complessivo del personale militare, e la prevedibile diminuzione di costi di struttura comporteranno considerevoli recuperi, ed una maggiore flessibilità della struttura dei costi (.). In sintesi, il mutato scenario operativo e strategico porta ad affermare che uno strumento militare interamente volontario è possibile e nell'attuale contesto è il solo rispondente alle nuove esigenze di sicurezza e di difesa".
Flash – back: anno 2000, il 14 giugno, la legge sulla Riforma del servizio militare ed il passaggio dalla coscrizione militare obbligatoria a quella facoltativa e professionale viene approvata a larghissima maggioranza dal Parlamento. Quello che ho riprodotto è un tratto parziale della relazione che accompagnava la riforma di legge ed è proprio il passaggio che l'onorevole ulivista, Ministro della Difesa, Arturo Parisi, ha utilizzato in due successive interviste, la prima delle quali non considerata pressoché da nessuno, risalente al 18 marzo del 2007, rilasciata al quotidiano "La Nuova Sardegna", ripetuta quasi pari nella settimana di Ferragosto e rilasciata al settimanale "Oggi".
Questo disse Parisi alla Nuova Sardegna: "D - Alla fine del 2005 sono stati congedati gli ultimi soldati arruolati con la ferma di leva obbligatoria. Ma è stato giusto abolire la leva? R - «In primo luogo, la leva obbligatoria non è stata abolita, bensì sospesa - risponde Parisi, precisando - Questo è avvenuto a seguito della trasformazione dello scenario strategico del nostro Paese, che ha visto venir meno la minaccia militare immanente e imminente, quale quella posta dal Patto di Varsavia. Nessun "modello di difesa" è eterno. Deve al contrario adattarsi alle necessità reali, e questo ha indotto alla sospensione della leva obbligatoria e alla revisione del modello di difesa sulla base dell'arruolamento volontario». D - A che cosa serviva la leva, e a che cosa non serve più? R - «La leva serviva ad alimentare le Forze armate - ma anche alcune forze di polizia - con personale giovane e rappresentativo di tutta la società nazionale. Permetteva di mantenere forze di difesa e di sicurezza sufficientemente numerose per far fronte alla minaccia esistente coinvolgendo tutti i cittadini nella difesa della Patria, dovere che la Costituzione definisce "sacro". Naturalmente, la leva presentava anche degli svantaggi, quali ad esempio la bassa prontezza operativa delle Unità così alimentate. Una frazione importante delle nostre forze era in addestramento, e ciò rendeva molto difficile impiegarle prontamente in missioni reali all'estero. Anche per questo, il passaggio al volontariato è risultato vantaggioso, in termini di costo/efficacia». D - In una audizione alle Commissioni Difesa di Camera e Senato, nel luglio 2006, lei citò il programma di governo indicando come "la riforma della leva abbia comportato e comporti l'obbligo di investire anche nella formazione, nell'addestramento, nella tutela della salute, nella previdenza, nella casa di abitazione e negli alloggi di servizio". Come si concilia questo con i tagli della Finanziaria al bilancio della Difesa avvenuti negli ultimi anni? C'è l'ipotesi di recuperare risorse a vantaggio delle Forze armate? R - «Lo stiamo già facendo. Con la Finanziaria per il 2007 sono state conferite risorse aggiuntive, proprio per finanziare l'attività quotidiana delle forze armate e i programmi di investimento, ad esempio nell'edilizia abitativa. Certo, le risorse effettivamente disponibili sono ancora lontane da quelle di cui avremmo bisogno, ma i limiti imposti dalla stabilità finanziaria complessiva ci hanno impedito di fare di più. Se riusciremo a migliorare lo stato delle finanze pubbliche, anche alla ripresa economica, sono certo che la Difesa potrà contare su risorse aggiuntive»."
Questo Arturo Parisi riaffermava ad "Oggi": "(…) Ma alla sospensione della leva ci si è arrivati soprattutto perché lo scenario internazionale impone anche all'Italia di adeguare il suo strumento militare ad un genere di impieghi che richiedono rapide risposte alle crisi, con la partecipazione ad operazioni di ripristino della pace e della legalità internazionali con contingenti militari altamente professionali. Ma la leva non è stata mai abolita. Sia per rispetto al preciso obbligo costituzionale, il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge, sia per elementare misura di prudenza, giacché nessuno può prevedere il futuro, e quindi le necessità di ricostituire di nuovo delle Forze armate in numero adeguato.
Ecco perché si è stabilito che in caso di guerra, cioè della necessità di difendersi da una aggressione al Paese proveniente dall'esterno, o di grave crisi internazionale, qualora non fosse possibile colmare le necessità organiche mediante il reclutamento di volontari o il richiamo in servizio di questi, si dovrebbe procedere con il reclutamento obbligatorio. Questo principio è stato ribadito in più occasioni successive, ogni volta che si è provveduto, con dei Decreti Legislativi, ad affinare le procedure ed a definire i dettagli delle disposizioni legislative che hanno portato, appunto, alla sospensione della leva. Ma i mass-media italiani sembrano aver completamente perduto ogni traccia di questo principio, sicché si continua a sostenere che la leva è stata abolita nel 2005.
La verità, è invece che nessuno l'ha mai abolita, ed il principio della partecipazione di tutti cittadini alla difesa della Patria, cioè della collettività di cui facciamo parte, non è solo sacro per la Costituzione, ma è anche sacrosanto come per ogni comunità che mantenga un senso di appartenenza e di giusta condivisione delle responsabilità fra tutti i suoi membri."
Cerchiamo di capire quali elementi si evidenziano da questi stralci di interviste:
Il militarismo, il nazionalismo patriottardo sono tanto forti quanto connaturati sia al centrodestra che al centrosinistra.
Le guerre sono sostenute, finanziate, appoggiate sia dal centrosinistra che dal centrodestra, con distinguo davvero irrisori ed ipocrisie sicuramente più rilevanti nella prima componente.
C'è un deficit, "storico-culturale", questa volta positivo, per noi s'intende, che tiene lontani molti dei nostri concittadini dalle lusinghe della carriera militare, nonostante gli alti tassi di disoccupazione.
Il Ministero della Difesa batte cassa, cioè mette in anticipo che se non ci sono ulteriori risorse per il settore militare, comprensivi di incentivi alla carriera, molti altri concittadini preferiranno rimanere disoccupati o precari piuttosto che intraprendere la carriera militare.
Il Ministro Parisi allarga a dismisura il concetto di guerra, non solo in termini di guerra difensiva, ma anche di una non ben definita grave crisi internazionale, facendo così definitivamente propria la dottrina Clinton-Bush-Cheney-Blair-Berlusconi-D'Alema.
Non sarà certo il centrosinistra a permettergli di ripristinare la leva obbligatoria, alienandosi così le già poche simpatie della gioventù italica, ma gli consentirà di usarlo per ottenere maggiori finanziamenti per il settore militare, in linea con gli aumenti dell'ultima finanziaria.
Per parte nostra, non cambiamo linea: diserteremo le loro guerre, i loro eserciti, le loro missioni di pace, la loro pace e le loro manifestazioni di pace.

Pietro Stara


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