Se gli zingari sono un popolo non omologabile forse hanno scelto la
città sbagliata: Pavia è diventata il laboratorio
dell'omologazione imposta dai potentati cittadini. Una città
dove il connubio chiesa, università, burocrazia, commercio ha
prodotto un delirio di intolleranza e di ostilità nei confronti
di qualsiasi diversità non ascrivibile alla cultura borghese o,
al massimo, radical-chic. In città è attiva una sede di
Forza Nuova proprio accanto al Centro Sociale Autogestito Barattolo e
da anni si registrano atti d'intolleranza nei confronti di persone
colpevoli di non conformarsi all'ideale dominante: gruppi di estrema
destra con la connivenza di elementi leghisti hanno conquistato per
lunghi periodi il centro cittadino minacciando e malmenando chiunque si
opponesse alla loro prepotenza, nell'assenza di una risposta
istituzionale.
Questo modello indubbiamente ha attratto una clientela borghese che
trova a Pavia un luogo magico: stradine lastricate di ciottoli, chiese
e torri medievali e passeggiate in un'atmosfera d'altri tempi. Se il
cagnolino della signora lascia il ricordino sul selciato mica lei si
sporca le mani di cacca ma se qualche studente rompe un bicchiere
davanti a casa sua allora tolleranza zero: scatta la denuncia. Infatti,
l'esperienza mistico-medievale richiede un controllo militare del
territorio e che nessuno possa disturbare la quiete di chi si sveglia
presto per andare a lavorare, neanche le decine di migliaia di studenti
che tengono in piedi l'economia parassitaria della città. Di
conseguenza, ordinanze del Sindaco, la diessina Capitelli, per chiudere
alle dieci i bar "rumorosi". Fortunatamente, non tutti i pavesi sono
scappati da questa situazione e sopravvivono alcune sacche di dissenso
che però rischiano l'isolamento sotto un costante fuoco
d'interdizione dei poteri costituiti.
Ma torniamo alla vicenda dei Rom della ex-Snia che ha portato Pavia
sulle prime pagine dei giornali. Dentro l'ex fabbrica hanno abitato a
lungo almeno 230 persone in gran parte Rom con almeno 80 minori: in
capanne, tra i rifiuti, senz'acqua e servizi igienici in un terreno
infestato dai topi e inquinato da sostanze tossiche industriali. I
bambini non hanno mai frequentato scuole e asili, e molti di loro a
Pavia non sono mai stati vaccinati. L'amministrazione comunale ha
brillato per la sua ormai collaudata assenza e incompetenza e
l'assessore ai servizi sociali da un anno aveva ordinato agli
assistenti sociali di non entrare nell'area. Nel frattempo, alcuni
cittadini pavesi "dissidenti", riuniti nel Circolo Pasolini, si sono
attrezzati per dare una mano anche formulando delle proposte concrete
per risolvere la situazione. Persino proposte inquadrate nella logica
dell'accettabilità borghese e miranti a favorire l'integrazione
nella società cittadina con un ricovero decente ed un lavoro
umile come richiesto dalla comunità dei rom, e poi sottoscritte
da centinaia di concittadini sono state rigettate nonostante
contemplassero la sottoscrizione di un patto di socialità e
legalità che prevedeva il rispetto dell'obbligo scolastico per i
minori e il rispetto delle regole di "convivenza civile": ovvero la
rinuncia all'accattonaggio, ai furti e alla prostituzione.
Invece, il Comune continua a latitare tra le manifestazioni di
neofascisti e dell'opposizione di centro destra. La strategia del
Sindaco è chiara e si chiama "guerra a bassa intensità"
ovvero creare terra bruciata intorno ai nemici e abbassare la
capacità di difesa: "continui comunicati alla stampa in cui si
ribadisce l'intenzione di allontanare tutti i Rom, di non concedere
loro nessuna forma di aiuto, di non avere nessuna tolleranza. Si cerca
di separare donne e bambini dagli uomini, si offre aiuto solo ad alcuni
creando invidie e diffidenze nella comunità, si minaccia
continuamente lo sgombero definitivo invitando ad andarsene
spontaneamente". Infine, si cominciano a demolire le baracche
costringendo la comunità a condividere spazi sempre ridotti
mentre il Sindaco dichiara: "Un avvertimento prima di passare allo
sgombero vero e proprio... facciamo capire che non stiamo scherzando.
Da lì devono andarsene. I rom sono già stati aiutati
troppo"
Si arriva al 30 agosto il giorno dello sgombero forzato alla ex-Snia.
Il Comune probabilmente si aspetta che i rom siano completamente
isolati e che siano, conseguentemente, obbligati ad allontanarsi da
Pavia con i propri (inesistenti) mezzi e, invece, la rete di
solidarietà intorno a questi sfollati è presente con in
prima fila il Circolo Pasolini e i rom rimangono in strada ad aspettare
una soluzione. Viene montata solo una tenda della protezione civile:
"uomini, donne, bambini… dormono all'aperto con la sola
protezione del cellophane, vergognosamente abbandonati da istituzioni
che si dicono democratiche". Ma il peggio deve ancora venire: alle 7
del mattino del 3 settembre avviene lo sgombero e solo alle ore 20,15
parte il convoglio che dovrebbe portare i rom in una nuova
destinazione. La carovana viene fatta viaggiare di notte per tutta la
provincia improvvisando soluzioni estemporanee ma trova alcuni
amministratori di paesi vicini che si vogliono sdraiare per terra per
non permettere il passaggio della colonna mentre altrove gli abitanti
minacciano di attaccare il convoglio urlando slogan razzisti.
"Così si decide di tornare verso Pavia, con destinazione prima
il parcheggio dello Stadio poi la decisione di ospitarli per la notte
in una delle palestre del Palasport".
A questo punto, anche La Provincia Pavese deve abbandonare
l'amministrazione comunale al destino che si è scelto e la
presidente Pierangela Fiorani arriva a scrivere che la recente vicenda
dei rom "consegna Pavia alla vergogna del mondo… grazie agli
improvvidi comportamenti del sindaco e dei suoi assessori, e con il
concorso delle altre istituzioni che hanno brillato e brillano per
l'assenza o per i loro tentennamenti…". Altri giornali nazionali
come il Corriere, La Repubblica, il Manifesto e Liberazione avevano
già imboccato la stessa strada. L'assessore di Rifondazione si
dimette in polemica non con il sindaco, bensì con il suo
partito, che aveva criticato lo sgombero forzato dell'ex Snia.
Alla fine i rom vengono in qualche modo sistemati a sorpresa a Pieve
Porto Morone (curia di Lodi), in alcuni cascinali abbandonati e
requisiti dal Prefetto senza acqua, luce né cibo, in una tenda
di una comunità cattolica o in case private. L'odissea rom
sembra finita ma l'atteggiamento autoritario e improvvido del Sindaco
Capitelli ha esasperato una piazza già accesa dai latrati di
leghisti e fascisti, provocando un clima in provincia che è
stato definito da Mississipi Burning. Se nel quartiere San Pietro di
Pavia (dove si trova la ex Snia) una manifestazione fascista/leghista
di luglio aveva raccolto solo uno sparuto gruppo di residenti ed era
stata efficacemente contrastata dagli antifascisti pavesi, l'ondata
d'intolleranza è stata molto pesante presso alcuni degli
insediamenti che li accolgono con minacce e violenze dirette anche ai
volontari. Questi attacchi vengono spesso da gente superficiale e piena
di pregiudizi facilmente gestibile da leghisti e neofascisti che,
grazie a questa situazione, hanno guadagnato visibilità e
agibilità.
Ultimi aggiornamenti: alcuni rom sono fuggiti terrorizzati dall'assedio
neofascista a Pieve e la notte del venerdì 7 hanno trovato
ricovero presso il Barattolo non essendo le autorità competenti
in grado di trovare un'altra sistemazione. Il collettivo, che stava
proponendo un'iniziativa antiproibizionista sui "Saperi Proibiti"
pubblicamente definita "una porcheria indegna" dall'assessore ai
servizi sociali, ha deciso di accogliere questi disperati mentre i
potenti della "città internazionale dei saperi" proponevano il
dibattito con Mario Calabresi su "memoria e legalità" in Piazza
Grande nel contesto del Festival dei Saperi organizzato dal Comune.
Qualcuno presente sospetta che il dirottamento dei rom sul Barattolo
sia strumentale a impedirne di fatto le attività sociali e
ricorda che lo spazio sociale è destinato "a far politica e non
assistenza" ma, in fondo, non è anche questa politica?
Marco Gastoni