Umanità Nova, n.28 del 16 settembre 2007, anno 87

Pavia: l'odissea dei rom. Zuppa alla pavese


Se gli zingari sono un popolo non omologabile forse hanno scelto la città sbagliata: Pavia è diventata il laboratorio dell'omologazione imposta dai potentati cittadini. Una città dove il connubio chiesa, università, burocrazia, commercio ha prodotto un delirio di intolleranza e di ostilità nei confronti di qualsiasi diversità non ascrivibile alla cultura borghese o, al massimo, radical-chic. In città è attiva una sede di Forza Nuova proprio accanto al Centro Sociale Autogestito Barattolo e da anni si registrano atti d'intolleranza nei confronti di persone colpevoli di non conformarsi all'ideale dominante: gruppi di estrema destra con la connivenza di elementi leghisti hanno conquistato per lunghi periodi il centro cittadino minacciando e malmenando chiunque si opponesse alla loro prepotenza, nell'assenza di una risposta istituzionale.
Questo modello indubbiamente ha attratto una clientela borghese che trova a Pavia un luogo magico: stradine lastricate di ciottoli, chiese e torri medievali e passeggiate in un'atmosfera d'altri tempi. Se il cagnolino della signora lascia il ricordino sul selciato mica lei si sporca le mani di cacca ma se qualche studente rompe un bicchiere davanti a casa sua allora tolleranza zero: scatta la denuncia. Infatti, l'esperienza mistico-medievale richiede un controllo militare del territorio e che nessuno possa disturbare la quiete di chi si sveglia presto per andare a lavorare, neanche le decine di migliaia di studenti che tengono in piedi l'economia parassitaria della città. Di conseguenza, ordinanze del Sindaco, la diessina Capitelli, per chiudere alle dieci i bar "rumorosi". Fortunatamente, non tutti i pavesi sono scappati da questa situazione e sopravvivono alcune sacche di dissenso che però rischiano l'isolamento sotto un costante fuoco d'interdizione dei poteri costituiti.

Ma torniamo alla vicenda dei Rom della ex-Snia che ha portato Pavia sulle prime pagine dei giornali. Dentro l'ex fabbrica hanno abitato a lungo almeno 230 persone in gran parte Rom con almeno 80 minori: in capanne, tra i rifiuti, senz'acqua e servizi igienici in un terreno infestato dai topi e inquinato da sostanze tossiche industriali. I bambini non hanno mai frequentato scuole e asili, e molti di loro a Pavia non sono mai stati vaccinati. L'amministrazione comunale ha brillato per la sua ormai collaudata assenza e incompetenza e l'assessore ai servizi sociali da un anno aveva ordinato agli assistenti sociali di non entrare nell'area. Nel frattempo, alcuni cittadini pavesi "dissidenti", riuniti nel Circolo Pasolini, si sono attrezzati per dare una mano anche formulando delle proposte concrete per risolvere la situazione. Persino proposte inquadrate nella logica dell'accettabilità borghese e miranti a favorire l'integrazione nella società cittadina con un ricovero decente ed un lavoro umile come richiesto dalla comunità dei rom, e poi sottoscritte da centinaia di concittadini sono state rigettate nonostante contemplassero la sottoscrizione di un patto di socialità e legalità che prevedeva il rispetto dell'obbligo scolastico per i minori e il rispetto delle regole di "convivenza civile": ovvero la rinuncia all'accattonaggio, ai furti e alla prostituzione.
Invece, il Comune continua a latitare tra le manifestazioni di neofascisti e dell'opposizione di centro destra. La strategia del Sindaco è chiara e si chiama "guerra a bassa intensità" ovvero creare terra bruciata intorno ai nemici e abbassare la capacità di difesa: "continui comunicati alla stampa in cui si ribadisce l'intenzione di allontanare tutti i Rom, di non concedere loro nessuna forma di aiuto, di non avere nessuna tolleranza. Si cerca di separare donne e bambini dagli uomini, si offre aiuto solo ad alcuni creando invidie e diffidenze nella comunità, si minaccia continuamente lo sgombero definitivo invitando ad andarsene spontaneamente". Infine, si cominciano a demolire le baracche costringendo la comunità a condividere spazi sempre ridotti mentre il Sindaco dichiara: "Un avvertimento prima di passare allo sgombero vero e proprio... facciamo capire che non stiamo scherzando. Da lì devono andarsene. I rom sono già stati aiutati troppo"
Si arriva al 30 agosto il giorno dello sgombero forzato alla ex-Snia. Il Comune probabilmente si aspetta che i rom siano completamente isolati e che siano, conseguentemente, obbligati ad allontanarsi da Pavia con i propri (inesistenti) mezzi e, invece, la rete di solidarietà intorno a questi sfollati è presente con in prima fila il Circolo Pasolini e i rom rimangono in strada ad aspettare una soluzione. Viene montata solo una tenda della protezione civile: "uomini, donne, bambini… dormono all'aperto con la sola protezione del cellophane, vergognosamente abbandonati da istituzioni che si dicono democratiche". Ma il peggio deve ancora venire: alle 7 del mattino del 3 settembre avviene lo sgombero e solo alle ore 20,15 parte il convoglio che dovrebbe portare i rom in una nuova destinazione. La carovana viene fatta viaggiare di notte per tutta la provincia improvvisando soluzioni estemporanee ma trova alcuni amministratori di paesi vicini che si vogliono sdraiare per terra per non permettere il passaggio della colonna mentre altrove gli abitanti minacciano di attaccare il convoglio urlando slogan razzisti. "Così si decide di tornare verso Pavia, con destinazione prima il parcheggio dello Stadio poi la decisione di ospitarli per la notte in una delle palestre del Palasport".
A questo punto, anche La Provincia Pavese deve abbandonare l'amministrazione comunale al destino che si è scelto e la presidente Pierangela Fiorani arriva a scrivere che la recente vicenda dei rom "consegna Pavia alla vergogna del mondo… grazie agli improvvidi comportamenti del sindaco e dei suoi assessori, e con il concorso delle altre istituzioni che hanno brillato e brillano per l'assenza o per i loro tentennamenti…". Altri giornali nazionali come il Corriere, La Repubblica, il Manifesto e Liberazione avevano già imboccato la stessa strada. L'assessore di Rifondazione si dimette in polemica non con il sindaco, bensì con il suo partito, che aveva criticato lo sgombero forzato dell'ex Snia.
Alla fine i rom vengono in qualche modo sistemati a sorpresa a Pieve Porto Morone (curia di Lodi), in alcuni cascinali abbandonati e requisiti dal Prefetto senza acqua, luce né cibo, in una tenda di una comunità cattolica o in case private. L'odissea rom sembra finita ma l'atteggiamento autoritario e improvvido del Sindaco Capitelli ha esasperato una piazza già accesa dai latrati di leghisti e fascisti, provocando un clima in provincia che è stato definito da Mississipi Burning. Se nel quartiere San Pietro di Pavia (dove si trova la ex Snia) una manifestazione fascista/leghista di luglio aveva raccolto solo uno sparuto gruppo di residenti ed era stata efficacemente contrastata dagli antifascisti pavesi, l'ondata d'intolleranza è stata molto pesante presso alcuni degli insediamenti che li accolgono con minacce e violenze dirette anche ai volontari. Questi attacchi vengono spesso da gente superficiale e piena di pregiudizi facilmente gestibile da leghisti e neofascisti che, grazie a questa situazione, hanno guadagnato visibilità e agibilità.
Ultimi aggiornamenti: alcuni rom sono fuggiti terrorizzati dall'assedio neofascista a Pieve e la notte del venerdì 7 hanno trovato ricovero presso il Barattolo non essendo le autorità competenti in grado di trovare un'altra sistemazione. Il collettivo, che stava proponendo un'iniziativa antiproibizionista sui "Saperi Proibiti" pubblicamente definita "una porcheria indegna" dall'assessore ai servizi sociali, ha deciso di accogliere questi disperati mentre i potenti della "città internazionale dei saperi" proponevano il dibattito con Mario Calabresi su "memoria e legalità" in Piazza Grande nel contesto del Festival dei Saperi organizzato dal Comune. Qualcuno presente sospetta che il dirottamento dei rom sul Barattolo sia strumentale a impedirne di fatto le attività sociali e ricorda che lo spazio sociale è destinato "a far politica e non assistenza" ma, in fondo, non è anche questa politica?

Marco Gastoni


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