Umanità Nova, n.29 del 23 settembre 2007, anno 87

V-Day: simboli di rivolta per una piazza borghese. E poi le liste. Col bollino


Si è detto e scritto molto del V-Day e del suo indubbio successo. Migliaia di persone coinvolte, grande entusiasmo tra organizzatori e partecipanti, e la raccolta di trecentomila firme per la proposta di legge di iniziativa popolare avanzata da Beppe Grillo e dai suoi sostenitori.
Questa mobilitazione è stata per molti aspetti sorprendente, ma a sorprendersi di più sono stati tutti quelli che finora si erano curati poco o nulla di ciò che Beppe Grillo aveva coltivato negli ultimi anni sfruttando uno dei più potenti mezzi di comunicazione che la storia umana ricordi, Internet.
In pochissimo tempo, infatti, il comico genovese ha saputo utilizzare la rete telematica creando una miscela vincente fatta di satira politica, denuncia sociale e controinformazione. Ha allestito un blog, ovvero una specie di diario personale aggiornato quotidianamente, e lo ha riempito di notizie, di approfondimenti, di articoli sui temi più disparati con un unico filo conduttore: riflettere – ridendoci sopra, ma neanche tanto – sulle inefficienze e le ingiustizie piccole e grandi del sistema-Italia (e non solo) invitando gli utenti della rete a dire la loro, in piena libertà, così come solo Internet sa garantire. In breve, il blog di Grillo è riuscito a coagulare l'interesse di migliaia di persone, che a sua volta hanno condiviso i loro sfoghi e le loro opinioni amplificandoli a dismisura attraverso il tam-tam telematico che è la caratteristica principale di questo strumento comunicativo: orizzontale, di accesso immediato, virtualmente autonomo. Gli amici di Beppe Grillo!, come amano definirsi i suoi estimatori, hanno poi creato dei Meet-Up, delle piccole comunità virtuali in cui discutere e scambiare informazioni sulla base degli spunti offerti da Grillo nel suo blog. Praticamente quasi ogni capoluogo di provincia ha oggi un Meet-Up di riferimento, e sono stati proprio questi "comitati" virtuali a organizzare di città in città le raccolte di firme per il V-Day.
L'iniziativa – tanto per entrare nel vivo delle nostre considerazioni – non è nata dal basso ma è stata dettata dall'alto, nei tempi come nelle modalità, proprio da Beppe Grillo. L'idea era quella di concentrare e concretizzare in una giornata la rabbia e l'insoddisfazione della sua comunità telematica in un unico e popolare sberleffo: vaffanculo, V-Day. Destinatari di questo sfogo i politici, i partiti, le istituzioni e più in generale tutto ciò che in Italia non va nel verso giusto: la malapolitica, la malasanità, la corruzione, l'inquinamento, gli sprechi e chi più ne ha più ne metta.
Dopo il V-Day le reazioni del mondo politico e intellettuale sono state a dir poco isteriche. Da destra e da sinistra il coro è stato unanime nell'accusare Grillo di qualunquismo, populismo e demagogia. Ovviamente, non poteva mancare il riferimento all'antipolitica, uno dei termini più in voga nel dibattito attuale e che serve a definire e delegittimare tutto ciò che non rientra nei classici canoni della rappresentanza istituzionale. Unica voce fuori dal coro, l'inquietante adesione del ministro Antonio Di Pietro (convinto fautore del TAV e di ogni altra cementificazione selvaggia) che ha partecipato al V-Day plaudendo ovviamente alle istanze più forcaiole e giustizialiste dell'iniziativa.
Il successo della mobilitazione è stato ottenuto con grande scaltrezza e con una notevole disinvoltura nel manipolare simboli e contenuti. Da un punto di vista mediatico, lo staff di Grillo ha dimostrato di saperci fare persino nella scelta del logo ufficiale della mobilitazione: la V di vaffanculo è copiata dalla V di Vendetta, il celebre fumetto di Alan Moore reso ancor più famoso da una recente trasposizione cinematografica che ha riscosso un grande successo soprattutto tra il pubblico giovanile. V for Vendetta è un personaggio speciale, una sorta di giustiziere che combatte il potere definendosi esplicitamente – più nel fumetto originale che nel successivo film – anarchico. E, da anarchico, agisce in prima persona invitando esplicitamente il popolo alla sovversione e alla distruzione di ogni potere. Ma se la V originale riesce a far saltare in aria il parlamento britannico sia fisicamente sia nel cuore della gente che alla fine prende coscienza, la V di Beppe Grillo si limita invece a chiedere, molto più modestamente, una riforma del parlamento italiano con una proposta di legge che si articola in tre punti: no alla presenza di condannati in parlamento, ineleggibilità di un parlamentare dopo due legislature, elezione diretta di tutti i candidati da parte dei cittadini senza il filtro delle segreterie dei partiti. Tutto qui? Sì, tutto qui. Di rivoluzionario, l'incazzatura di Grillo e dei suoi ammiratori ha solo un accattivante logo e l'uso spregiudicato di proclami e dichiarazioni di fuoco dello stesso leader del V-Day: «Io non voglio fare un partito, io li voglio distruggere i partiti, perché sono il cancro della democrazia, siamo noi che dobbiamo riappropriarci della politica».
Detto fatto: per riappropriarsi della politica, Beppe Grillo ha già annunciato il progetto di metter su delle liste civiche che potranno presentarsi alle prossime elezioni comunali.
Manco a dirlo, questo è lo sbocco che si profila all'orizzonte per incanalare tutta la carica antipartitica, la rabbia, l'insoddisfazione e la frustrazione emerse in mesi e mesi di dibattiti più o meno virtuali fra gente che aveva comunque espresso un disagio e una voglia di cambiamento. A leggere tra le righe, le dichiarazioni più ragionate di Beppe Grillo a pochi giorni dal V-Day fornivano un quadro meno barricadero e assai più rassicurante di tutta quanta l'iniziativa: «Il milione di persone che è sceso in piazza, in modo composto, senza bandiere, senza il più piccolo incidente dovrebbe essere ringraziato. È la valvola di sfogo di una pentola a pressione che potrebbe scoppiare». E ancora, dal palco della festa de L'Unità: «La nostra forza è non prenderci sul serio. Ci abbracciamo e ci vogliamo bene e grazie a noi, che abbiamo fatto una cosa straordinaria, milioni di persone non scenderanno in strada per spaccare tutto». Non temete, abbiamo scherzato.
Geniale. Utilizzando le parole giuste al momento giusto, Grillo ha fatto montare una mobilitazione squisitamente borghese e moderata camuffandola con i simboli dell'immaginario rivoluzionario. La distruzione dei partiti fatta a colpi di petizioni, il rovesciamento del sistema ottenuto a suon di liste civiche. Si spiegano così molto meglio le critiche di molti esponenti politici al V-Day: Beppe Grillo è un competitore che ha dimostrato di raccogliere il favore di trecentomila potenziali voti che nessuno, a destra come a sinistra, può permettersi di ignorare.
Grillo & C. non sono temuti per le loro velleità antipartitiche ma perché rappresentano essi stessi un "partito", un movimento d'opinione, un bacino di consenso da tenere d'occhio specialmente alla luce della sua originalità. Se movimento si può definire, quello del V-Day rappresenta un unicum almeno nel panorama italiano. La mobilitazione più liquida e postmoderna che sia mai stata realizzata, nata e cresciuta esclusivamente tra monitor e tastiere, lontano dalle lotte e dagli ambiti di riferimento tradizionali dei movimenti sociali classici. Un ceto medio che, pur facendo riferimento all'area politica del centrosinistra, dimostra di avere scarsa fiducia nell'attuale classe dirigente, Partito democratico compreso.
Ma, nonostante i limiti, la timidezza e la genericità demagogica delle sue rivendicazioni, il successo del V-Day è un segnale importante che non va comunque sottovalutato. Al di là della furbizia di Grillo (che è riuscito nell'intento di tornare a far parlare di sé dopo anni di isolamento artistico), centinaia di migliaia di persone hanno dimostrato un malessere, un'insofferenza nei confronti di ciò che ci circonda. La critica ai partiti e alla classe politica è uno dei motori principali di questa mobilitazione, e quando vengono espresse istanze di partecipazione diretta alla gestione della cosa pubblica, gli anarchici non possono restare indifferenti.
Siamo sicuri che moltissima gente ha partecipato alla realizzazione del V-Day con l'entusiasmo di chi, in perfetta buona fede, ritiene che firmare a favore di una legge di iniziativa popolare per rendere più efficiente e "pulito" il parlamento possa essere un atto rivoluzionario capace di apportare un cambiamento significativo. La crisi della politica italiana è un fatto innegabile: la classe dirigente, insipiente e impresentabile, non riscuote più alcuna fiducia ed è percepita sempre di più come una casta autoreferenziale e lontana dagli interessi concreti del paese.
Noi non sappiamo a chi o a cosa si riferisce Grillo quando afferma che il V-Day è servito a evitare che milioni di persone scendessero in strada per spaccare tutto.
L'unica cosa che riusciamo a cogliere è lo stile da pompiere, da mediatore del conflitto che si affretta a spegnere i bollenti spiriti della massa dopo averla incendiata abbastanza strumentalmente.
E noi cosa facciamo? In questo momento storico, l'anarchismo dovrebbe – come si suol dire – fare furore perché, di fatto, ci sono tutte le condizioni per un suo radicamento capillare nel dibattito su come concepire e realizzare una società diversa con una migliore e più efficiente organizzazione delle risorse.
Lo scollamento tra cittadini e istituzioni si fa sempre più evidente ed è questa la breccia che dovremmo essere capaci di allargare soprattutto per evitare che si verifichino clamorosi equivoci come quello del V-Day. Chi, se non gli anarchici, dovrebbe dire a tutte queste persone che le istituzioni e il potere non sono riformabili ma sono essi stessi l'origine della disuguaglianza e della gerarchia?
Chi, se non gli anarchici, dovrebbe avere il compito di far presente che la partecipazione diretta non passa attraverso la delega a questo o a quel candidato di una lista civica ma si concretizza, al contrario, nelle rivendicazioni autonome, nelle lotte autogestite, nel rifiuto delle cariche istituzionali a qualsiasi livello? Chi, se non gli anarchici e i libertari, dovrebbe invitare e coinvolgere le persone nelle lotte quotidiane per i diritti, per la difesa dell'ambiente dalla devastazione, per un accesso equo alle risorse, per l'autogestione dei servizi e della società? Chi, se non gli anarchici, deve mettere in guardia da leader vecchi e nuovi che usano la buona fede delle persone per accumulare consenso e potere? Queste sono le sfide che ripropongono, nella loro stringente attualità, la necessità concreta dell'anarchia.
Un'idea, un metodo, una prassi che può aprire infinite opportunità ma che non si deve smettere mai di sottoporre all'attenzione dell'opinione pubblica come alternativa praticabile per un cambiamento che sia autentico e radicale. Può darsi che quando le persone discutono di democrazia diretta, di assunzione di responsabilità o di eliminazione dei partiti, il pensiero dell'anarchia le sfiori anche solo per un istante. Ma poi subentra la paura che no, non si può fare: troppo pericolosa, utopistica, bella ma impossibile.
E allora non lasciamoci sfuggire le mille occasioni che la fase attuale ci offre: diciamolo sempre, chiaro e tondo, che la libertà non si ottiene con le petizioni e non ha bisogno di capipopolo virtuali che prima aizzano alla ribellione e poi rientrano nei ranghi delle liste civiche. Sbarazzarsi dei partiti e delle istituzioni significa cominciare da subito a fare da sé, perché se c'è qualcosa di cui hanno veramente paura i governanti è che la gente si rimbocchi le maniche per autogestire la società, contro e fuori i palazzi del potere, senza capi, senza sudditi, senza gerarchie.
È l'anarchia, bella e possibile.

TAZ laboratorio di comunicazione libertaria



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