Si è detto e scritto molto del V-Day e del suo indubbio
successo. Migliaia di persone coinvolte, grande entusiasmo tra
organizzatori e partecipanti, e la raccolta di trecentomila firme per
la proposta di legge di iniziativa popolare avanzata da Beppe Grillo e
dai suoi sostenitori.
Questa mobilitazione è stata per molti aspetti sorprendente, ma
a sorprendersi di più sono stati tutti quelli che finora si
erano curati poco o nulla di ciò che Beppe Grillo aveva
coltivato negli ultimi anni sfruttando uno dei più potenti mezzi
di comunicazione che la storia umana ricordi, Internet.
In pochissimo tempo, infatti, il comico genovese ha saputo utilizzare
la rete telematica creando una miscela vincente fatta di satira
politica, denuncia sociale e controinformazione. Ha allestito un blog,
ovvero una specie di diario personale aggiornato quotidianamente, e lo
ha riempito di notizie, di approfondimenti, di articoli sui temi
più disparati con un unico filo conduttore: riflettere –
ridendoci sopra, ma neanche tanto – sulle inefficienze e le
ingiustizie piccole e grandi del sistema-Italia (e non solo) invitando
gli utenti della rete a dire la loro, in piena libertà,
così come solo Internet sa garantire. In breve, il blog di
Grillo è riuscito a coagulare l'interesse di migliaia di
persone, che a sua volta hanno condiviso i loro sfoghi e le loro
opinioni amplificandoli a dismisura attraverso il tam-tam telematico
che è la caratteristica principale di questo strumento
comunicativo: orizzontale, di accesso immediato, virtualmente autonomo.
Gli amici di Beppe Grillo!, come amano definirsi i suoi estimatori,
hanno poi creato dei Meet-Up, delle piccole comunità virtuali in
cui discutere e scambiare informazioni sulla base degli spunti offerti
da Grillo nel suo blog. Praticamente quasi ogni capoluogo di provincia
ha oggi un Meet-Up di riferimento, e sono stati proprio questi
"comitati" virtuali a organizzare di città in città le
raccolte di firme per il V-Day.
L'iniziativa – tanto per entrare nel vivo delle nostre
considerazioni – non è nata dal basso ma è stata
dettata dall'alto, nei tempi come nelle modalità, proprio da
Beppe Grillo. L'idea era quella di concentrare e concretizzare in una
giornata la rabbia e l'insoddisfazione della sua comunità
telematica in un unico e popolare sberleffo: vaffanculo, V-Day.
Destinatari di questo sfogo i politici, i partiti, le istituzioni e
più in generale tutto ciò che in Italia non va nel verso
giusto: la malapolitica, la malasanità, la corruzione,
l'inquinamento, gli sprechi e chi più ne ha più ne metta.
Dopo il V-Day le reazioni del mondo politico e intellettuale sono state
a dir poco isteriche. Da destra e da sinistra il coro è stato
unanime nell'accusare Grillo di qualunquismo, populismo e demagogia.
Ovviamente, non poteva mancare il riferimento all'antipolitica, uno dei
termini più in voga nel dibattito attuale e che serve a definire
e delegittimare tutto ciò che non rientra nei classici canoni
della rappresentanza istituzionale. Unica voce fuori dal coro,
l'inquietante adesione del ministro Antonio Di Pietro (convinto fautore
del TAV e di ogni altra cementificazione selvaggia) che ha partecipato
al V-Day plaudendo ovviamente alle istanze più forcaiole e
giustizialiste dell'iniziativa.
Il successo della mobilitazione è stato ottenuto con grande
scaltrezza e con una notevole disinvoltura nel manipolare simboli e
contenuti. Da un punto di vista mediatico, lo staff di Grillo ha
dimostrato di saperci fare persino nella scelta del logo ufficiale
della mobilitazione: la V di vaffanculo è copiata dalla V di
Vendetta, il celebre fumetto di Alan Moore reso ancor più famoso
da una recente trasposizione cinematografica che ha riscosso un grande
successo soprattutto tra il pubblico giovanile. V for Vendetta è
un personaggio speciale, una sorta di giustiziere che combatte il
potere definendosi esplicitamente – più nel fumetto
originale che nel successivo film – anarchico. E, da anarchico,
agisce in prima persona invitando esplicitamente il popolo alla
sovversione e alla distruzione di ogni potere. Ma se la V originale
riesce a far saltare in aria il parlamento britannico sia fisicamente
sia nel cuore della gente che alla fine prende coscienza, la V di Beppe
Grillo si limita invece a chiedere, molto più modestamente, una
riforma del parlamento italiano con una proposta di legge che si
articola in tre punti: no alla presenza di condannati in parlamento,
ineleggibilità di un parlamentare dopo due legislature, elezione
diretta di tutti i candidati da parte dei cittadini senza il filtro
delle segreterie dei partiti. Tutto qui? Sì, tutto qui. Di
rivoluzionario, l'incazzatura di Grillo e dei suoi ammiratori ha solo
un accattivante logo e l'uso spregiudicato di proclami e dichiarazioni
di fuoco dello stesso leader del V-Day: «Io non voglio fare un
partito, io li voglio distruggere i partiti, perché sono il
cancro della democrazia, siamo noi che dobbiamo riappropriarci della
politica».
Detto fatto: per riappropriarsi della politica, Beppe Grillo ha
già annunciato il progetto di metter su delle liste civiche che
potranno presentarsi alle prossime elezioni comunali.
Manco a dirlo, questo è lo sbocco che si profila all'orizzonte
per incanalare tutta la carica antipartitica, la rabbia,
l'insoddisfazione e la frustrazione emerse in mesi e mesi di dibattiti
più o meno virtuali fra gente che aveva comunque espresso un
disagio e una voglia di cambiamento. A leggere tra le righe, le
dichiarazioni più ragionate di Beppe Grillo a pochi giorni dal
V-Day fornivano un quadro meno barricadero e assai più
rassicurante di tutta quanta l'iniziativa: «Il milione di persone
che è sceso in piazza, in modo composto, senza bandiere, senza
il più piccolo incidente dovrebbe essere ringraziato. È
la valvola di sfogo di una pentola a pressione che potrebbe
scoppiare». E ancora, dal palco della festa de L'Unità:
«La nostra forza è non prenderci sul serio. Ci abbracciamo
e ci vogliamo bene e grazie a noi, che abbiamo fatto una cosa
straordinaria, milioni di persone non scenderanno in strada per
spaccare tutto». Non temete, abbiamo scherzato.
Geniale. Utilizzando le parole giuste al momento giusto, Grillo ha
fatto montare una mobilitazione squisitamente borghese e moderata
camuffandola con i simboli dell'immaginario rivoluzionario. La
distruzione dei partiti fatta a colpi di petizioni, il rovesciamento
del sistema ottenuto a suon di liste civiche. Si spiegano così
molto meglio le critiche di molti esponenti politici al V-Day: Beppe
Grillo è un competitore che ha dimostrato di raccogliere il
favore di trecentomila potenziali voti che nessuno, a destra come a
sinistra, può permettersi di ignorare.
Grillo & C. non sono temuti per le loro velleità
antipartitiche ma perché rappresentano essi stessi un "partito",
un movimento d'opinione, un bacino di consenso da tenere d'occhio
specialmente alla luce della sua originalità. Se movimento si
può definire, quello del V-Day rappresenta un unicum almeno nel
panorama italiano. La mobilitazione più liquida e postmoderna
che sia mai stata realizzata, nata e cresciuta esclusivamente tra
monitor e tastiere, lontano dalle lotte e dagli ambiti di riferimento
tradizionali dei movimenti sociali classici. Un ceto medio che, pur
facendo riferimento all'area politica del centrosinistra, dimostra di
avere scarsa fiducia nell'attuale classe dirigente, Partito democratico
compreso.
Ma, nonostante i limiti, la timidezza e la genericità demagogica
delle sue rivendicazioni, il successo del V-Day è un segnale
importante che non va comunque sottovalutato. Al di là della
furbizia di Grillo (che è riuscito nell'intento di tornare a far
parlare di sé dopo anni di isolamento artistico), centinaia di
migliaia di persone hanno dimostrato un malessere, un'insofferenza nei
confronti di ciò che ci circonda. La critica ai partiti e alla
classe politica è uno dei motori principali di questa
mobilitazione, e quando vengono espresse istanze di partecipazione
diretta alla gestione della cosa pubblica, gli anarchici non possono
restare indifferenti.
Siamo sicuri che moltissima gente ha partecipato alla realizzazione del
V-Day con l'entusiasmo di chi, in perfetta buona fede, ritiene che
firmare a favore di una legge di iniziativa popolare per rendere
più efficiente e "pulito" il parlamento possa essere un atto
rivoluzionario capace di apportare un cambiamento significativo. La
crisi della politica italiana è un fatto innegabile: la classe
dirigente, insipiente e impresentabile, non riscuote più alcuna
fiducia ed è percepita sempre di più come una casta
autoreferenziale e lontana dagli interessi concreti del paese.
Noi non sappiamo a chi o a cosa si riferisce Grillo quando afferma che
il V-Day è servito a evitare che milioni di persone scendessero
in strada per spaccare tutto.
L'unica cosa che riusciamo a cogliere è lo stile da pompiere, da
mediatore del conflitto che si affretta a spegnere i bollenti spiriti
della massa dopo averla incendiata abbastanza strumentalmente.
E noi cosa facciamo? In questo momento storico, l'anarchismo dovrebbe
– come si suol dire – fare furore perché, di fatto,
ci sono tutte le condizioni per un suo radicamento capillare nel
dibattito su come concepire e realizzare una società diversa con
una migliore e più efficiente organizzazione delle risorse.
Lo scollamento tra cittadini e istituzioni si fa sempre più
evidente ed è questa la breccia che dovremmo essere capaci di
allargare soprattutto per evitare che si verifichino clamorosi equivoci
come quello del V-Day. Chi, se non gli anarchici, dovrebbe dire a tutte
queste persone che le istituzioni e il potere non sono riformabili ma
sono essi stessi l'origine della disuguaglianza e della gerarchia?
Chi, se non gli anarchici, dovrebbe avere il compito di far presente
che la partecipazione diretta non passa attraverso la delega a questo o
a quel candidato di una lista civica ma si concretizza, al contrario,
nelle rivendicazioni autonome, nelle lotte autogestite, nel rifiuto
delle cariche istituzionali a qualsiasi livello? Chi, se non gli
anarchici e i libertari, dovrebbe invitare e coinvolgere le persone
nelle lotte quotidiane per i diritti, per la difesa dell'ambiente dalla
devastazione, per un accesso equo alle risorse, per l'autogestione dei
servizi e della società? Chi, se non gli anarchici, deve mettere
in guardia da leader vecchi e nuovi che usano la buona fede delle
persone per accumulare consenso e potere? Queste sono le sfide che
ripropongono, nella loro stringente attualità, la
necessità concreta dell'anarchia.
Un'idea, un metodo, una prassi che può aprire infinite
opportunità ma che non si deve smettere mai di sottoporre
all'attenzione dell'opinione pubblica come alternativa praticabile per
un cambiamento che sia autentico e radicale. Può darsi che
quando le persone discutono di democrazia diretta, di assunzione di
responsabilità o di eliminazione dei partiti, il pensiero
dell'anarchia le sfiori anche solo per un istante. Ma poi subentra la
paura che no, non si può fare: troppo pericolosa, utopistica,
bella ma impossibile.
E allora non lasciamoci sfuggire le mille occasioni che la fase attuale
ci offre: diciamolo sempre, chiaro e tondo, che la libertà non
si ottiene con le petizioni e non ha bisogno di capipopolo virtuali che
prima aizzano alla ribellione e poi rientrano nei ranghi delle liste
civiche. Sbarazzarsi dei partiti e delle istituzioni significa
cominciare da subito a fare da sé, perché se c'è
qualcosa di cui hanno veramente paura i governanti è che la
gente si rimbocchi le maniche per autogestire la società, contro
e fuori i palazzi del potere, senza capi, senza sudditi, senza
gerarchie.
È l'anarchia, bella e possibile.
TAZ laboratorio di comunicazione libertaria