Umanità Nova, n.29 del 23 settembre 2007, anno 87

Lo "strappo" della Fiom e il corteo del 20 ottobre. Gioco delle parti


Il voto contrario del comitato centrale Fiom al Protocollo del 23 luglio su previdenza e mercato del lavoro ha una molteplicità di significati e deve essere letto all'interno dell'attuale fase politica, alla luce, cioè, della nascita del Partito democratico e della manifestazione del 20 ottobre, indetta formalmente da Il Manifesto, Liberazione, Carta e da un gruppo di "personalità" di sinistra, manifestazione cui hanno aderito partiti e ministri di governo.
I vertici Fiom (vedi anche l'intervista al segretario Gianni Rinaldini su Il Manifesto del 16 settembre) ripetono che il voto in questione è un voto nel merito, non condivisibile, di un accordo sindacale: nella normale dialettica democratica si esprime un'opinione dissenziente, viene detto, e con ciò non si vuol certo far cadere il governo; anzi, si vuole contribuire a recuperare e rafforzare quel pezzo significativo di elettorato di sinistra messo a dura prova dal primo anno di governo Prodi ed in particolare dal deludente Protocollo del 23 luglio. In questo senso, manifestazione del 20 ottobre e No della Fiom si rafforzano a vicenda: sono operazioni di contenimento e recupero del disagio della sinistra elettorale e sindacale, disagio montante contro il presente governo. Di questo governo sono componenti i partiti cosiddetti della "sinistra radicale" (Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi, il nascente partitino di Sinistra democratica uscito dai DS confluiti nel Partito democratico). Il ceto dirigente Fiom è espressione e fa riferimento a questi partiti. La nascita del Pd ha in qualche modo terremotato l'alleanza che ha vinto le ultime elezioni, non solo perché la politica di rincorsa al centro che il Pd sta facendo ed intende fare al motto di "crescita&sicurezza" deve essere fatta a scapito del mondo del lavoro subordinato nel quale i partiti della c.d. "sinistra radicale" pescano il grosso del loro consenso; ma anche perché il Pd nasce "maggioritario", cioè farà di tutto per avere una legge elettorale maggioritaria che gli consenta di governare "quasi" da solo. È possibile che in occasione della finanziaria, venga trovato in parlamento un accordo, magari trasversale, sulla nuova legge elettorale. Sia il Pd che la "sinistra radicale" si giocano molto nella partita sulla legge elettorale, perché un sistema "alla francese", un maggioritario spinto, è gradito al Pd; mentre un sistema "alla tedesca", un sistema proporzionale con sbarramento (del 3 o 5% dei voti) piace più alla "sinistra radicale". Posizioni speculari si trovano nella casa delle libertà. A questo punto, nel mese di ottobre si svolgeranno, in serie: le primarie del Pd per confermare Veltroni alla guida del partito; la votazione tra "lavoratori e pensionati" per esprimere il gradimento sul Protocollo del 23 luglio; la manifestazione del 20 ottobre. Con il suo No, la Fiom si pone come coagulo del malcontento che è diffuso nel mondo del lavoro e come puntello della parte minoritaria del governo. Anzi, la scelta di essere minoranza visibile all'interno della CGIL e del governo ha la primaria funzione di legittimare il "gioco democratico", di legittimare, cioè, la richiesta di consenso dei rappresentati su decisioni già prese ed inemendabili dei rappresentanti. Proprio il fatto che il Protocollo del 23 luglio deve essere ancora tradotto in legge, consente alla minoranza governativa e sindacale di "pesarsi" prima di arrivare al voto sulla finanziaria e, molto probabilmente in contemporanea, sulla legge elettorale. L'operazione può apparire tutta interna alle logiche delle classi dirigenti, ma non è così. Il disagio nella società è vero ed ha a che fare con le condizioni materiali di vita di chi deve vivere del proprio lavoro. Ed è un disagio tutto politico. Fiom e sinistra di governo offrono a questo disagio un canale di sfogo istituzionale che consentirebbe loro di rilegittimarsi e di contare qualcosa, se minoranza dotata di una certa "massa critica", nel quadro politico-istituzionale che va delineandosi. La sfida per chi fa politica fuori e contro queste istituzioni è essere capace di impedire quanto più possibile che il disagio, la rabbia, la frustrazione attuali di chi lavora per campare siano incanalate in modo da rilegittimare le presenti istituzioni o si stemperino nel populismo e nel qualunquismo della cosiddetta antipolitica, da sempre molto utile e gradita alla "politica", al "potere", che dice di criticare, ma che piuttosto finisce sempre per tonificare e rigenerare.

W.B.



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