Pegah Emambakhsh la cittadina iraniana rifugiatasi in Inghilterra per
sfuggire a una condanna a morte per omosessualità è stata
liberata dal CPT dov'era rinchiusa ed è al momento ospite di
amici a Sheffield. Adesso il suo status secondo la legge britannica non
è più quello di persona accusata di immigrazione
clandestina ma di rifugiata in attesa di permesso di soggiorno. Nelle
prossime 2 settimane Pegah sarà ascoltata per la prima volta
dalla Corte d'Appello e nei 5 mesi seguenti proseguirà l'iter
giudiziario che potrebbe portare alla concessione dell'asilo politico.
Com'è noto, la donna era fuggita nel Regno Unito dopo che la sua
compagna era stata arrestata e aveva chiesto asilo. Dopo due anni di
attesa l'asilo era stato negato ed il 13 agosto scorso era stata
arrestata per essere deportata a Teheran, dove l'attendeva una condanna
certa a 100 frustate comminate con un nerbo semirigido e tagliente e
probabilmente la condanna alla lapidazione, essendosi dichiarata
lesbica e avendo chiesto aiuto, atteggiamento che le leggi iraniane
equiparano a immoralità e cospirazione, ovvero reati capitali.
La sua vicenda era stata però al centro di un'intensa
mobilitazione internazionale (in cui si era particolarmente distinto in
Italia il gruppo EveryOne): in poche settimane sono stati organizzati
sit in davanti ad ambasciate e consolati, petizioni via internet ed
anche la singolare protesta "Flowers for Pegah" che aveva portato nel
CPT dov'era detenuta quasi 30mila mazzi di fiori per l'iraniana
intasando la struttura burocratico-postale del lager per migranti dove
non era consentito consegnare posta (solo per la commozione di un
secondino Pegah aveva ricevuto alcuni petali). Il successo delle
iniziative ha catalizzato l'attenzione anche dei media, c'è
stato il rituale e pelosissimo interessamento di politicanti di mezza
Europa, lo stesso governo Prodi si è spinto fino a far
ipotizzare un possibile trasferimento di Pegah in Italia (e subito dopo
aver dichiarato la propria disponibilità, i ministri hanno
iniziato a rendersi irreperibili per gli attivisti del Gruppo EveryOne
che chiedevano il loro aiuto), ma è stata la determinazione di
chi non ha interrotto la catena della solidarietà a costringere
per ora il sistema giudiziario inglese a tornare sui propri passi,
anche se l'iter della domanda d'asilo non è assolutamente
concluso e la deportazione di Pegah in Iran è una
possibilità che rimane purtroppo aperta.
Don Gelmini, invece, sta sprofondando sempre di più nello
scandalo in cui si ritrova coinvolto dopo gli articoli di alcuni
quotidiani ad agosto, che svelarono agli italiani l'esistenza di
un'inchiesta segretissima sul guru dell'ultraproibizionismo nostrano
per molestie e violenze sessuali.
Mentre ogni giorno i dispacci aggiungono nuovi particolari sulle
scabrose vicende che lo hanno visto protagonista, Don Gelmini si
ritrova abbandonato anche da chi in un primo momento ne aveva preso le
difese, come i politici e gli intellettuali di destra che (usi a venire
valorosamente in soccorso al vincitore) lo hanno subito scaricato dopo
che è venuto di fuori il suo burrascoso passato di ex detenuto
per truffa e corruzione, con tanto di testimonianza del suo ex
direttore di carcere che ha dichiarato di averlo dovuto tenere in
isolamento per le sue "profferte di promiscuità".
Se inizialmente erano solo sei le persone che avevano raccontato le
violenze, un'altra cinquantina di ex internati delle Comunità
Incontro durante l'estate si è presentata spontaneamente davanti
al pubblico ministero di Terni per presentare formale denuncia contro
don Gelmini, accusandolo di averli molestati, insidiati, ricattati, a
volte violentati. Due di loro, tra l'altro, hanno raccontato di aver
subito abusi quando erano minorenni. Mentre i giudici mettono in
evidenza come gli episodi raccontati siano molto circostanziati, che
alcuni abbiano anche indicato testimoni in grado di confermare le
proprie dichiarazioni, don Pierino viene anche scaricato dai suoi
"colleghi". Un altro famoso prete antidroga, don Mazzi, chiamato in
causa da uno dei ragazzi «accusatori» di don Gelmini, non
solo ha confermato che effettivamente quel ragazzo gli raccontò
degli abusi, ma ha aggiunto che gli furono raccontati anche altri
episodi del genere.
Tra l'altro è emerso che già nel 2002 Don Gelmini era
stato indagato per violenza sessuale, ma l'inchiesta era stata
rapidamente archiviata dell'ex procuratore di Terni, Cesare Martellino,
oggi rappresentante italiano ad Eurojust. È venuta fuori
un'intercettazione telefonica tra il magistrato e don Gelmini nella
quale Martellino avrebbe detto: «Dobbiamo vederci e pianificare
una strategia difensiva". Pochi giorni dopo la telefonata, i
collaboratori più stretti di don Gelmini si sono attivati per
convincere alcuni giovani a ritrattare. In almeno due casi avrebbero
cercato di incontrare chi aveva presentato la denuncia, avrebbero
offerto soldi e favori per tentare di mettere tutto a tacere. È
stato già accusato di favoreggiamento il braccio destro di Don
Gelmini, Pierluigi La Rocca. L'episodio che gli viene contestato risale
al novembre scorso, quando uno degli «accusatori» del
fondatore della comunità di recupero di tossicodipendenti scrive
la sua lettera di ritrattazione, precisando che quelle accuse se le era
inventate sotto gli effetti di psicofarmaci. Interrogato nuovamente,
l'ex accusatore ha ammesso di aver scritto sotto dettatura di La Rocca
che gli avrebbe dato anche un suggerimento sul nome dello psicofarmaco
da indicare. Incastrato dalle accuse, La Rocca ha provato a difendersi,
ammettendo di essersi trovato a casa del ragazzo nel giorno della
lettera di ritrattazione - ma non di aver suggerito cosa scrivere - e
soprattutto ha chiamato in causa un altro sacerdote, amico di don
Gelmini, don Ezio Miceli, che avrebbe «regalato» alla
famiglia del ragazzo ben 5 mila euro.
Dove non bastava la corruzione non è escluso purtroppo che siano
stati usati metodi molto più cruenti. È stato deciso di
riesaminare vecchi episodi, come quello di un ragazzo di San Marino,
Fabrizio Franciosi, allontanatosi dalla comunità perché a
conoscenza di episodi di abusi sessuali e poi ucciso a Rimini. Sul suo
caso, tuttora irrisolto, furono fatte investigazioni frettolose, senza
cercare nessun collegamento con le sue denunce sugli abusi sessuali
(che pure erano state presentate poche settimane prima dell'omicidio).
Solo ora che le protezioni istituzionali di Don Gelmini stanno venendo
meno, sono riprese le indagini sul suo assassinio...
Noam Chomsky, da parte sua, all'eco suscitata dalla lode riservatagli
da Bin Laden, che lo ha definito «uno dei più capaci fra
quelli che stanno dalla vostra parte», ha risposto che "La vera
notizia del video di Osama bin Laden non sta nel fatto che mi ha citato
ma nell'interessante similitudine fra le sue parole e il discorso fatto
dal Papa in Austria". Chomsky, ha puntato l'indice verso il fatto che
da un lato il leader di Al Qaeda ha difeso il modello fondamentalista
islamico di società, mentre dall'altro il Papa ha fatto
altrettanto con il modello cattolico rilanciando l'ostilità
assoluta della Chiesa nei confronti del diritto di praticare l'aborto.
La «similitudine» fra le parole di Bin Laden e del Papa sta
nel fatto di essere minacce che pesano sull'esercizio delle
libertà personali, provenienti da parte chi intende imporre al
prossimo forme diverse di assoluta intransigenza. «Osama dice
all'Occidente che o accetterà la vera fede o sarà
distrutto - riassume Chomsky - e Papa Benedetto dice all'Europa che o
accetterà la vera fede o sarà distrutta».
Nel nome della "vera fede" c'è sempre chi è pronto a
commettere ogni genere di crimini, da organizzare scudisciate e
fustigazioni pubbliche di omosessuali e peccatori a gestire
comunità-lager per devianti, mantenute con la corruzione, il
ricatto e la violenza. Per fortuna, c'è anche chi nel nome della
libertà è capace di mandare 30mila mazzi di fiori (e
qualche volta vincono i buoni...)
robertino