Umanità Nova, n.29 del 23 settembre 2007, anno 87

Razzismo e indifferenza. Livorno: niente lutto per i bambini rom


Lo scorso 10 agosto quattro bambini rom, Eva, Danchiu, Lenuca e Dengi, sono morti carbonizzati nell'incendio delle baracche in cui vivevano sotto un cavalcavia alla periferia di Livorno.
I pompieri, avvertiti da automobilisti di passaggio, arrivano sul luogo e trovano, nel giro di pochissimi minuti un incendio che sta divampando in modo formidabile; solo dopo averlo spento si rendono conto che dentro alle baracche c'erano anche quattro bambini. Dovrebbero scattare indagini tecniche e scientifiche sull'origine del rogo, ma il magistrato incaricato decide di indirizzare l'intervento sulla responsabilità dei genitori, due coppie di rom. Niente di più facile: i pompieri li hanno incontrati mentre si allontanavano dall'incendio, erano agitati, confusi, ma soprattutto non avrebbero detto che nelle baracche c'erano i bambini; dopo la scoperta dei cadaveri una coppia nega addirittura la paternità della bambina, ritrattando solo nei giorni successivi, una volta avviate le pratiche dell'identificazione del DNA. L'identikit del mostro era quindi disponibile da subito: zingari, bugiardi, senza attaccamento ai figli e pronti a disconoscerli. E subito sono scattati gli arresti, con l'imputazione di abbandono di minore aggravata dalla circostanza di morte. Nient'altro è emerso finora a carico dei genitori, che pure sono ancora in carcere. In nessun altro caso di cronaca recente si possono rilevare analogie: nessuno ha imputato la Franzoni, per esempio, di aver lasciato da solo il figlio più piccolo per accompagnare l'altro a scuola, né i coniugi inglesi in vacanza in Portogallo, di aver lasciato soli i figli per andare a cena fuori; in questi casi le indagini hanno riguardato esclusivamente la ricerca delle responsabilità dirette nella morte dei figli. Nel caso di Livorno si agisce in modo diverso e più severo, quindi discriminante e razzista, proprio dove necessiterebbero maggiori cautele legate alla valutazione del contesto culturale differente e del degrado sociale.
Da un mese in carcere, senza nessuno che dia loro voce, senza trasmissioni televisive speciali, senza ufficio stampa che diffonda le loro ragioni.
Eppure hanno provato a dire la loro verità, prima di venire arrestati. Hanno parlato di aggressori, forse albanesi o marocchini, che li hanno minacciati gridando in italiano, hanno detto di essersi allontanati per cercare aiuto, di aver visto da lontano svilupparsi poi l'incendio, in modo improvviso. Quella dell'aggressione doveva essere una pista di indagine, ma la magistratura, pur non scartando questa ipotesi, ha privilegiato quella dell'incuria genitoriale. Eppure, oltre alla testimonianza dei familiari delle vittime, alla quale, in altri casi, si dà il massimo rilievo, ci sono stati elementi non da poco che avvalorerebbero l'ipotesi dolosa esterna.
Il 18 agosto, una settimana dopo la tragedia, arriva ai quotidiani locali un volantino di rivendicazione a firma GAPE (gruppo armato pulizia etnica); la sigla è sconosciuta, la rivendicazione viene giudicata inattendibile, ma il volantino c'è e gli autori, mitomani o no, sono razzisti. Gli inquirenti minimizzano, nonostante il ripetersi dallo scorso dicembre ad oggi, di inquietanti episodi di aggressione ai danni di barboni, immigrati, o persone che vivono in condizioni di estrema marginalità e nonostante che quasi tutti queste aggressioni siano caratterizzate da incendi o tentativi di incendio. Gli inquirenti continuano a snobbare accanitamente l'ipotesi dell'attentato anche quando la vicenda assume carattere internazionale con l'intervento diretto del governo rumeno che invita a non sottovalutare la pista dolosa esterna e a vigilare contro le tendenze xenofobe. Pochi giorni fa, a distanza di un mese, il perito chimico incaricato dei rilievi dichiara che le modalità di propagazione dell'incendio sarebbero state tanto improvvise, violente e veloci da ipotizzare una "sollecitazione del fuoco esterna alle baracche": pista dolosa dunque; anche i pompieri, tra l'altro, notarono una propagazione dell'incendio anomala per violenza e rapidità. Ovviamente gli inquirenti si sono affrettati a ridimensionare le dichiarazioni del chimico, definendole ufficiose e non definitive, ma l'ipotesi dell'aggressione, nonostante tutto, riemerge costantemente, mentre, a distanza di oltre un mese, non vengono reperite altre imputazioni a carico dei genitori dei bambini.
La città ha reagito a questa tragedia con distacco e indifferenza, talora con insofferenza, nonostante si trattasse di quattro bambini morti da soli tra atroci sofferenze.
I commercianti hanno mostrato più apertamente disprezzo e arroganza, giungendo ad inquietanti comportamenti di "disubbidienza civile" che sono stati tranquillamente tollerati dalle autorità cittadine.
A poche ore dalla tragica morte dei bambini, il sindaco emette, per la serata dell'11 agosto, un'ordinanza di sospensione della festa cittadina organizzata dall'amministrazione comunale nel centro storico, revocando la concessione delle licenze commerciali in deroga. Commercianti, ristoratori, ambulanti, nel pomeriggio del giorno 11 impongono immediatamente un incontro con l'assessore al turismo - bottegaio egli stesso - il quale concorda di disattendere l'ordinanza, senza che peraltro il sindaco l'abbia revocata o modificata. Nell'impunità più totale, nei giorni successivi i commercianti rivendicano la loro violazione dell'ordinanza sui quotidiani locali, autodenominandosi, con il sostegno di alcuni cittadini e politici razzisti, Comitato Antiipocrisia.
Analogo atteggiamento di arroganza si verifica un mese dopo, il 14 settembre, giorno dei funerali dei bambini in cui viene proclamato il lutto cittadino, tranquillamente ed ostentatamente snobbato.
In questo contesto di profondo degrado sociale, politico e culturale, si evidenzia anche la debolezza della "miglior sinistra" livornese; per chi si affida al meccanismo della delega scegliendosi dei rappresentanti doveva essere scontato chiedere le dimissioni dell'assessore al turismo, ma nessuno ha osato farlo. Percepibili anche gli imbarazzi della componente antagonista, inconsuetamente silente sulla vicenda; forse il fatto che i genitori dei bambini abbiano parlato, nelle loro confuse dichiarazioni, di aggressori albanesi e marocchini che minacciavano in lingua italiana può essere risultata spiazzante; eppure non è mancato, con il volantino di rivendicazione, neppure la più classica tipologia di razzismo.
I funerali di Eva, Danchiu, Lenuca e Dengi si sono svolti venerdì 14 settembre; nei giorni immediatamente precedenti alle madri dei bambini vengono concessi gli arresti domiciliari in  un alloggio messo a disposizione; i padri, pure se con la stessa imputazione, restano in carcere; uno di loro tenta il suicidio nella notte tra sabato 15 e domenica 16.

Patrizia



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