Nazisti in Israele? Sarebbe come dire laziali ben riconoscibili nella
curva della Roma e viceversa, punk in un raduno mod, vegani ad una
sagra dell'asado e via dicendo. Al di là delle burle sembra
incredibile che persone di probabile, ma su questo ci tornerò,
appartenenza ebraica inneggino a massacratori del loro stesso popolo.
Sarebbe come se i Lakota-Cheyenne festeggiassero il generale Custer
come eroe nazionale. Paradossi della storia? Evitiamo subito le
facilonerie di sorta, ovvero quelle che paragonerebbero gli abitanti di
Israele ai nazisti, in una specie di improbabile paradigma comparativo
che unificherebbe i massacri dei campi di sterminio e della seconda
guerra mondiale agli eccidi, orrendi, perpetuati contro il popolo
palestinese. Ogni nefandezza ha la sua storia, ma lo stato d'Israele si
comporta niente più niente meno che come qualsiasi stato
nazionale militarizzato (la Russia con la Cecenia, l'Iraq con il
Kurdistan.), il cui nazionalismo ha toni spesso esasperati quanto
montati con sapiente intelligenza propagandistica, su cui pesa
un'influenza di elevato spessore delle componenti religiose ortodosse,
che da altre parti verrebbero definite integraliste, coadiuvate e
sostenute in un unico disegno statuale militare dagli elementi laici
del sionismo storico, che ha affidato, per l'appunto, alle componenti
nazionaliste religiose di regolamentare il ritorno degli ebrei
convertiti in Israele. Dall'altra parte il sionismo laico si è
attribuitola facoltà di sostenere, fuori dalla normativa dei
convertiti, chi è ebreo e chi no sulla base di regole astratte
di discendenza parentale lineare, una volta di esclusiva pertinenza
delle donne (matrilineare) ed ora, a quanto pare anche riconoscendo un
nonno, maschio ed ebreo, nel novero dei parenti, come condizione per
poter usufruire della Legge del Ritorno.
La Legge del Ritorno fu approvata nel luglio del 1950 per accordare
automaticamente ed immediatamente la cittadinanza israeliana agli ebrei
di tutto il mondo, nella prospettiva di porre Israele come rifugio
dalle persecuzioni e per favorire l'ideale del ritorno del popolo
ebraico nella Terra d'Israele. Inizialmente la Legge consentiva di
attribuire la cittadinanza ai soli ebrei, figli di madre ebrea, ma un
emendamento del 1970 estese il diritto di cittadinanza anche ai
familiari dell'ebreo che richieda la cittadinanza, pur non essendo loro
ebrei.
Negli anni, e soprattutto a seguito dell'immigrazione di massa dagli
anni '90 di persone provenienti dall'ex Unione Sovietica, ci si
è chiesti se la Legge del Ritorno debba essere riformulata o
addirittura abolita. La controversia sulla sua democraticità
tocca anche il delicato problema delle conversioni: attualmente le
procedure di conversione alla religione ebraica sono, come tutte le
questioni inerenti al diritto di famiglia, di esclusiva competenza
delle autorità rabbiniche ortodosse israeliane. Questo fa
sì che vengano riconosciute in Israele solo le conversioni
eseguite secondo le regole della corrente ortodossa, escludendo di
fatto buona parte degli ebrei nord-americani, che sono principalmente
aderenti alle correnti tradizionaliste e liberali.
Israele differisce anche dalle altre democrazie liberali in un altro
senso, cioè nella "democrazia senza confini". La Legge del
Ritorno che conferisce a qualunque ebreo un "diritto al ritorno" riduce
ulteriormente la differenza fra cittadinanza reale e potenziale. Solo
gli ebrei hanno il diritto di immigrare creando un sistema in cui
individui al di fuori dello stato hanno maggiori diritti di pretendere
la cittadinanza di quelli (non ebrei) che risiedono entro i confini
dello stato di Israele.
Il quesito, non ozioso, riguarda la definizione di ebraicità,
determinazione sulla quale si scannano ad oggi gli ebrei di tutto il
mondo e si scannarono in passato, non senza diverse contraddizioni,
tutte le legislazioni antisemite dei regimi nazi-fascisti e
collaborazionisti dell'Europa tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta
del novecento. Prendiamo ad esempio la Germania nazista: "(...) in
virtù del primo decreto allegato alla legge sulla protezione del
sangue tedesco e dell'onore tedesco del 14 novembre 1935, gli ebrei a
metà, cioè coloro che ora venivano chiamati Mischlinge di
primo grado, non potevano sposare ariani (da quel momento
Deutschblutige, letteralmente 'di sangue tedesco') o ebrei per un
quarto (secondo la nuova terminologia, i Mischlinge di secondo grado),
mentre i Mischlinge di secondo grado non potevano sposare ebrei o
mezzi-ebrei. L'intenzione, dietro questo decreto supplementare, era
chiaramente che coloro che possedevano un quarto di sangue ebraico
sarebbero stati assorbiti nella sezione Deutschblutige della
popolazione sposando 'persone di ceppo tedesco', mentre gli ebrei a
metà sarebbero stati assorbiti nella popolazione ebraica
sposando solo ebrei."
Dunque, secondo l'attuale legislazione di Israrele è ebreo anche
chi ha un nonno maschio ebreo come i nazisti cristiani di provenienza
Russa, la cui percezione di se stessi forse era un tantino diversa,
mentre nella legislazione nazista di Norimberga del 1935 sarebbero
stati considerati come Mischlinge di secondo grado, quindi dei
quasi-ariani in grado di "purificare" il loro sangue grazie a matrimoni
con persone "ariane".
Non voglio naturalmente entrare nella questione della definizione di
ebraicità, sulla quale non ho, né vorrei avere competenze
di merito.
Quello su cui invece mi preme ragionare è sull'utilizzo di
un'identità, o di una identificazione, per escludere o includere
persone da un territorio, fino a sterminarle come fu per il nazismo,
dalle sue risorse (acqua, casa, lavoro...) e credo che l'attribuzione
dei diritti sulla discendenza di sangue (jus sanguinis) non possa che
portare a conseguenze disastrose. Ma per condurre alle estreme
conseguenze questo discorso penso anche che la scelta del genere umano
di recintare con la forza il diritti di proprietà delle persone
e sulle persone, gli Stati, non possa che rinforzare le guerre, il
militarismo, lo sfruttamento e l'esclusione. Sarebbe ora di ripensare,
oltre gli Stati, e contro il capitalismo nuove forme di convivenza del
genere umano.
Pietro Stara