Umanità Nova, n.29 del 23 settembre 2007, anno 87

Nazisti in Israele? Un paradosso su cui riflettere. Identità ed esclusione


Nazisti in Israele? Sarebbe come dire laziali ben riconoscibili nella curva della Roma e viceversa, punk in un raduno mod, vegani ad una sagra dell'asado e via dicendo. Al di là delle burle sembra incredibile che persone di probabile, ma su questo ci tornerò, appartenenza ebraica inneggino a massacratori del loro stesso popolo. Sarebbe come se i Lakota-Cheyenne festeggiassero il generale Custer come eroe nazionale. Paradossi della storia? Evitiamo subito le facilonerie di sorta, ovvero quelle che paragonerebbero gli abitanti di Israele ai nazisti, in una specie di improbabile paradigma comparativo che unificherebbe i massacri dei campi di sterminio e della seconda guerra mondiale agli eccidi, orrendi, perpetuati contro il popolo palestinese. Ogni nefandezza ha la sua storia, ma lo stato d'Israele si comporta niente più niente meno che come qualsiasi stato nazionale militarizzato (la Russia con la Cecenia, l'Iraq con il Kurdistan.), il cui nazionalismo ha toni spesso esasperati quanto montati con sapiente intelligenza propagandistica, su cui pesa un'influenza di elevato spessore delle componenti religiose ortodosse, che da altre parti verrebbero definite integraliste, coadiuvate e sostenute in un unico disegno statuale militare dagli elementi laici del sionismo storico, che ha affidato, per l'appunto, alle componenti nazionaliste religiose di regolamentare il ritorno degli ebrei convertiti in Israele. Dall'altra parte il sionismo laico si è attribuitola facoltà di sostenere, fuori dalla normativa dei convertiti, chi è ebreo e chi no sulla base di regole astratte di discendenza parentale lineare, una volta di esclusiva pertinenza delle donne (matrilineare) ed ora, a quanto pare anche riconoscendo un nonno, maschio ed ebreo, nel novero dei parenti, come condizione per poter usufruire della Legge del Ritorno.

La Legge del Ritorno fu approvata nel luglio del 1950 per accordare automaticamente ed immediatamente la cittadinanza israeliana agli ebrei di tutto il mondo, nella prospettiva di porre Israele come rifugio dalle persecuzioni e per favorire l'ideale del ritorno del popolo ebraico nella Terra d'Israele. Inizialmente la Legge consentiva di attribuire la cittadinanza ai soli ebrei, figli di madre ebrea, ma un emendamento del 1970 estese il diritto di cittadinanza anche ai familiari dell'ebreo che richieda la cittadinanza, pur non essendo loro ebrei.
Negli anni, e soprattutto a seguito dell'immigrazione di massa dagli anni '90 di persone provenienti dall'ex Unione Sovietica, ci si è chiesti se la Legge del Ritorno debba essere riformulata o addirittura abolita. La controversia sulla sua democraticità tocca anche il delicato problema delle conversioni: attualmente le procedure di conversione alla religione ebraica sono, come tutte le questioni inerenti al diritto di famiglia, di esclusiva competenza delle autorità rabbiniche ortodosse israeliane. Questo fa sì che vengano riconosciute in Israele solo le conversioni eseguite secondo le regole della corrente ortodossa, escludendo di fatto buona parte degli ebrei nord-americani, che sono principalmente aderenti alle correnti tradizionaliste e liberali.
Israele differisce anche dalle altre democrazie liberali in un altro senso, cioè nella "democrazia senza confini". La Legge del Ritorno che conferisce a qualunque ebreo un "diritto al ritorno" riduce ulteriormente la differenza fra cittadinanza reale e potenziale. Solo gli ebrei hanno il diritto di immigrare creando un sistema in cui individui al di fuori dello stato hanno maggiori diritti di pretendere la cittadinanza di quelli (non ebrei) che risiedono entro i confini dello stato di Israele.
Il quesito, non ozioso, riguarda la definizione di ebraicità, determinazione sulla quale si scannano ad oggi gli ebrei di tutto il mondo e si scannarono in passato, non senza diverse contraddizioni, tutte le legislazioni antisemite dei regimi nazi-fascisti e collaborazionisti dell'Europa tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta del novecento. Prendiamo ad esempio la Germania nazista: "(...) in virtù del primo decreto allegato alla legge sulla protezione del sangue tedesco e dell'onore tedesco del 14 novembre 1935, gli ebrei a metà, cioè coloro che ora venivano chiamati Mischlinge di primo grado, non potevano sposare ariani (da quel momento Deutschblutige, letteralmente 'di sangue tedesco') o ebrei per un quarto (secondo la nuova terminologia, i Mischlinge di secondo grado), mentre i Mischlinge di secondo grado non potevano sposare ebrei o mezzi-ebrei. L'intenzione, dietro questo decreto supplementare, era chiaramente che coloro che possedevano un quarto di sangue ebraico sarebbero stati assorbiti nella sezione Deutschblutige della popolazione sposando 'persone di ceppo tedesco', mentre gli ebrei a metà sarebbero stati assorbiti nella popolazione ebraica sposando solo ebrei."
Dunque, secondo l'attuale legislazione di Israrele è ebreo anche chi ha un nonno maschio ebreo come i nazisti cristiani di provenienza Russa, la cui percezione di se stessi forse era un tantino diversa, mentre nella legislazione nazista di Norimberga del 1935 sarebbero stati considerati come Mischlinge di secondo grado, quindi dei quasi-ariani in grado di "purificare" il loro sangue grazie a matrimoni con persone "ariane".
Non voglio naturalmente entrare nella questione della definizione di ebraicità, sulla quale non ho, né vorrei avere competenze di merito.
Quello su cui invece mi preme ragionare è sull'utilizzo di un'identità, o di una identificazione, per escludere o includere persone da un territorio, fino a sterminarle come fu per il nazismo, dalle sue risorse (acqua, casa, lavoro...) e credo che l'attribuzione dei diritti sulla discendenza di sangue (jus sanguinis) non possa che portare a conseguenze disastrose. Ma per condurre alle estreme conseguenze questo discorso penso anche che la scelta del genere umano di recintare con la forza il diritti di proprietà delle persone e sulle persone, gli Stati, non possa che rinforzare le guerre, il militarismo, lo sfruttamento e l'esclusione. Sarebbe ora di ripensare, oltre gli Stati, e contro il capitalismo nuove forme di convivenza del genere umano.

Pietro Stara



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