Il 12 e 13 settembre si è tenuta, a Roma, la Conferenza
nazionale sui cambiamenti climatici. L'iniziativa è stata
promossa dal ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e
del Mare.
Lo stesso ministro, Pecoraro Scanio, ha aperto i lavori commentando i
dati centrati sulla situazione italiana. Sebbene quello dei cambiamenti
climatici non sia tema da affrontare con un'analisi ristretta nel tempo
o focalizzata su aree di una limitata parte del globo, ascoltare dalla
sua voce che, in Italia, la temperatura è aumentata di 1,4 gradi
negli ultimi 50 anni mentre la media mondiale segna un più 0,7
gradi nell'intero secolo, che le piogge sono diminuite del 5%
nell'ultimo secolo e sempre più caratterizzate da episodi di
forte intensità, che i ghiacciai alpini hanno perso metà
del loro volume e il 30% della loro superficie in meno di un secolo,
che la maggior parte dei fiumi italiani sta subendo riduzioni
progressive delle portate medie mentre aumenta la variabilità
tra piene e secche, non può che suscitare allarme e
preoccupazione.
I dati sui cambiamenti climatici in atto sono stati associati alle
stime dei possibili costi che graveranno sulla collettività per
rimediare alle conseguenze negative del fenomeno.
Il riferimento non è legato esclusivamente ai danni subiti dagli
agricoltori o dagli operatori turistici, ma contabilizza, tra l'altro,
i costi legati al dissesto idrogeologico, alla difesa delle coste,
all'approvvigionamento dell'acqua potabile, all'aumento dei ricoveri e
dei decessi determinato dalle ondate di caldo e dalla diffusione di
malattie i cui agenti patogeni si diffondono in zone, oggi
climaticamente più calde, del sud Europa.
La stima di tali costi ammonterebbe ad almeno di 50 miliardi di euro l'anno.
Oggi, solo in termini di anidride carbonica, il più abbondante
gas serra, vengono emesse a livello mondiale tra 26 e 28 miliardi di
tonnellate l'anno.
Il pianeta, con l'attività fotosintetica delle piante sulla
terraferma e delle alghe negli oceani, è in grado di assorbire
oggi solo 12 miliardi di tonnellate, vale a dire il 40% circa delle
emissioni. In futuro, se i processi di deforestazione e
cementificazione continuassero ai ritmi attuali, le capacità di
assorbimento diminuirebbero ulteriormente.
Nel Mediterraneo, ad esempio, lo scorso inverno l'assorbimento della
CO2 è sceso del 30 % perché la temperatura del mare era
di due gradi sopra la media. Questo ha determinato un'anomalia nella
circolazione delle correnti marine (in particolare la corrente del
golfo di Trieste) che ne rimescolano le acque, a ciò è
seguito un calo della produttività legato, in prima battuta,
proprio alla diminuzione delle micro-alghe che stanno alla base della
catena alimentare.
"Le emissioni di gas serra rischiano di crescere del 34% da qui al
2020, invece di diminuire del 20% rispetto ai livelli del 1990,
contrariamente a quando deciso dai ministri dell'Ambiente europei". Lo
ha detto Corrado Clini, direttore generale per la Ricerca ambientale
per lo Sviluppo del Ministero dell'Ambiente.
Tra i paesi industrializzati, in Europa, sono Italia, Spagna,
Portogallo e Grecia, i più esposti ai danni dei cambiamenti
climatici questi paesi avrebbero quindi maggiore interesse a correre
velocemente ai ripari.
Per il Commissario Straordinario dell'APAT (l'Agenzia per la protezione
dell'ambiente) Giancarlo Viglione, la Prima Conferenza nazionale sul
clima, dovrà servire "per colmare il gap esistente tra l'Italia
e altri Paesi, per quanto riguarda le politiche ambientali, creando gli
elementi guida per una strategia di adattamento".
In effetti, questo summit di politici, scienziati e associazioni nasce
ufficialmente come spinta alla ricerca di soluzioni pratiche per
arginare i crescenti problemi provocati dal clima "impazzito".
Gli esperti le chiamano "misure di adattamento" ma più
francamente potremmo sostenere che si vogliono attenuare le conseguenze
peggiori dell'effetto serra ponendo la massima attenzione a non mettere
in discussione il sistema economico.
Per capire qual è il "clima" politico vale la pena di riportare
alcune delle dichiarazioni dei responsabili di governo che si sono
alternati sul palcoscenico allestito a Roma.
Prodi ha sostenuto la necessità di una "maggiore consapevolezza
e attenzione, concretizzabili in due azioni prioritarie: contenimento o
mitigazione e adattamento, ossia ricercare le misure necessarie per
vivere nel miglior modo possibile la situazione climatica" per poi
sottolineare che "serve una nuova alleanza con la natura, anche
perché essa rappresenta un fattore di sviluppo, eliminando il
preconcetto che l'ambiente rappresenti soltanto un costo serve
ripensare – non abbandonare – la produzione di energia e i
trasporti, in funzione del rispetto del nostro pianeta e il più
possibile condivisi nel mondo". Ed infine, "C'è bisogno di uno
sforzo di persuasione ma anche il coraggio di prendere decisioni che
possono portare divisioni nella società, ma dobbiamo convincerci
che partire ora garantisce competitività dopo".
Io tradurrei le sue frasi così: "I problemi ambientali offrono
una splendida opportunità per nuovi investimenti, le imprese
possono ricavare alti profitti. È ancora presto per abbandonare
la produzione di energia basata sui combustibili fossili e possiamo
continuare a spostare merci da una parte all'altra del globo, anche se
questo può apparire logicamente assurdo, basta che sia
funzionale al mercato globale. Le soluzioni sono quelle di chi comanda
ma… concederemo dei margini di trattativa. Cercheremo di
convincere tutti della bontà dei nostri intenti ma se non ci
riuscissimo siamo pronti ad imporci costi quel costi. Come paese
industrializzato del nord del mondo dobbiamo mantenere un ruolo
predominante raffilando l'arma della competitività".
Se quella sopra vi apparisse un'interpretazione eccessivamente cruda
delle parole del presidente del consiglio come commentare le
dichiarazioni del più esplicito Bersani?
I gas serra – dice Bersani ministro dello sviluppo industriale -
bisogna assolutamente ridurli", ma …. "per tenere il passo
tecnologico bisogna insistere con un sistema basato sul vincolo dei
criteri di razionalità (…) della Germania vediamo la
parte verde, ma lì si fa ricorso al carbone per il triplo della
produzione italiana", per quanto riguarda le rinnovabili "si tratta di
un mercato da incentivare" pur senza dimenticare il nucleare.
Certo, "lanciare oggi un piano nucleare significherebbe mettere in
bolletta una cifra paurosa - continua il ministro - sarebbe più
serio dire come stiamo facendo: entriamo con tutti e due i piedi nella
ricerca sul nucleare di nuova generazione".
Detto fatto, il 17 settembre, qualche giorno dopo la conclusione dei
lavori della conferenza, nel corso di una riunione della GNEP (Global
Nuclear Energy Partnership), l'Italia ha formalmente prenotato un posto
nel programma di ricerca internazionale sulle centrali nucleari del
futuro che, in anticipo sui risultati della ricerca, vengono già
propagandate come più sicure, prive di scorie radioattive,
basate su tecnologie non utilizzabili per le armi nucleari…
capito?
Per concludere il trittico non poteva mancare il richiamo di
Confindustria. "Il mondo dell'impresa - spiega la vicepresidente Emma
Marcegaglia - è convinta di dover svolgere un ruolo e di avere
una responsabilità, ma serve pragmatismo. Non è lasciando
l'Italia al buio che si fa tutela ambientale. Sono necessari
investimenti in infrastrutture come i rigassificatori".
Anche in Europa non si sta con le mani in mano, da Bruxelles, secondo
quanto riportato nel Libro verde sull'adattamento al cambiamento
climatico. L'Ue è pronta a mettere in campo una serie di misure,
dalle più morbide a quelle radicali, che coinvolgeranno i
governi, le autorità regionali, locali e tutti i cittadini. Si
parte dalle cosiddette "azioni soft", come il taglio agli sprechi
idrici, il cambiamento delle rotazioni e della semina dei raccolti e
l'uso di sementi resistenti alle siccità. Per arrivare a quelle
"hard" e molto costose, come l'innalzamento degli argini di canali e
dighe, lo spostamento di porti, industrie e città costruite in
aree costiere particolarmente basse o a rischio di inondazioni,
nonché la costruzione di nuove centrali per sostituire quelle
idroelettriche, destinate a chiudere i battenti.
Nello stesso testo si può leggere che "…se si muoveranno
per prime le aziende europee diventeranno leader mondiali in strategie
e tecnologie per l'adattamento al surriscaldamento, con tanto di nuove
opportunità di export e posti di lavoro". Per stare più
tranquilli, in contemporanea, si studiano nuovi servizi finanziari e
assicurativi in grado di rispondere alle crescenti esposizioni ai
rischi.
Quindi affari per tutti? Sì, per tutti quelli che sono pronti a
sfruttare ogni occasione per incrementare i propri profitti, al di
sopra ed oltre ogni riconoscimento di responsabilità; con
l'ipocrisia di chi, ieri in nome del progresso, oggi anche in quello
del rispetto dell'ambiente non rinuncia allo sfruttamento.
Risulta alquanto timida l'affermazione del ministro
dell'Università Fabio Mussi che, sottolineando la
necessità di rivedere profondamente l'intero modello di sviluppo
economico, ha detto: "Il capitalismo nella sua forma attuale è
incompatibile con il pianeta Terra".
Dal nostro punto di vista, è il capitalismo in quanto tale ad
essere incompatibile con qualsiasi reale progresso di un'umanità
integrata nell'ecosistema Terra.
Di fatto, le conseguenze negative dei cambiamenti climatici si
accompagnano sempre più chiaramente con i processi di
"ristrutturazione" del sistema capitalista.
Sarebbe opportuno evitare entrambi, per questo nessuna soluzione deve essere delegata.
MarTa