Umanità Nova, n.30 del 30 settembre 2007, anno 87

Roma: conferenza sul clima. Il business ambientale


Il 12 e 13 settembre si è tenuta, a Roma, la Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici. L'iniziativa è stata promossa dal ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Lo stesso ministro, Pecoraro Scanio, ha aperto i lavori commentando i dati centrati sulla situazione italiana. Sebbene quello dei cambiamenti climatici non sia tema da affrontare con un'analisi ristretta nel tempo o focalizzata su aree di una limitata parte del globo, ascoltare dalla sua voce che, in Italia, la temperatura è aumentata di 1,4 gradi negli ultimi 50 anni mentre la media mondiale segna un più 0,7 gradi nell'intero secolo, che le piogge sono diminuite del 5% nell'ultimo secolo e sempre più caratterizzate da episodi di forte intensità, che i ghiacciai alpini hanno perso metà del loro volume e il 30% della loro superficie in meno di un secolo, che la maggior parte dei fiumi italiani sta subendo riduzioni progressive delle portate medie mentre aumenta la variabilità tra piene e secche, non può che suscitare allarme e preoccupazione.
I dati sui cambiamenti climatici in atto sono stati associati alle stime dei possibili costi che graveranno sulla collettività per rimediare alle conseguenze negative del fenomeno.
Il riferimento non è legato esclusivamente ai danni subiti dagli agricoltori o dagli operatori turistici, ma contabilizza, tra l'altro, i costi legati al dissesto idrogeologico, alla difesa delle coste, all'approvvigionamento dell'acqua potabile, all'aumento dei ricoveri e dei decessi determinato dalle ondate di caldo e dalla diffusione di malattie i cui agenti patogeni si diffondono in zone, oggi climaticamente più calde, del sud Europa.
La stima di tali costi ammonterebbe ad almeno di 50 miliardi di euro l'anno.
Oggi, solo in termini di anidride carbonica, il più abbondante gas serra, vengono emesse a livello mondiale tra 26 e 28 miliardi di tonnellate l'anno.
Il pianeta, con l'attività fotosintetica delle piante sulla terraferma e delle alghe negli oceani, è in grado di assorbire oggi solo 12 miliardi di tonnellate, vale a dire il 40% circa delle emissioni. In futuro, se i processi di deforestazione e cementificazione continuassero ai ritmi attuali, le capacità di assorbimento diminuirebbero ulteriormente.
Nel Mediterraneo, ad esempio, lo scorso inverno l'assorbimento della CO2 è sceso del 30 % perché la temperatura del mare era di due gradi sopra la media. Questo ha determinato un'anomalia nella circolazione delle correnti marine (in particolare la corrente del golfo di Trieste) che ne rimescolano le acque, a ciò è seguito un calo della produttività legato, in prima battuta, proprio alla diminuzione delle micro-alghe che stanno alla base della catena alimentare.
"Le emissioni di gas serra rischiano di crescere del 34% da qui al 2020, invece di diminuire del 20% rispetto ai livelli del 1990, contrariamente a quando deciso dai ministri dell'Ambiente europei". Lo ha detto Corrado Clini, direttore generale per la Ricerca ambientale per lo Sviluppo del Ministero dell'Ambiente.
Tra i paesi industrializzati, in Europa, sono Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, i più esposti ai danni dei cambiamenti climatici questi paesi avrebbero quindi maggiore interesse a correre velocemente ai ripari.
Per il Commissario Straordinario dell'APAT (l'Agenzia per la protezione dell'ambiente) Giancarlo Viglione, la Prima Conferenza nazionale sul clima, dovrà servire "per colmare il gap esistente tra l'Italia e altri Paesi, per quanto riguarda le politiche ambientali, creando gli elementi guida per una strategia di adattamento".
In effetti, questo summit di politici, scienziati e associazioni nasce ufficialmente come spinta alla ricerca di soluzioni pratiche per arginare i crescenti problemi provocati dal clima "impazzito".
Gli esperti le chiamano "misure di adattamento" ma più francamente potremmo sostenere che si vogliono attenuare le conseguenze peggiori dell'effetto serra ponendo la massima attenzione a non mettere in discussione il sistema economico.
Per capire qual è il "clima" politico vale la pena di riportare alcune delle dichiarazioni dei responsabili di governo che si sono alternati sul palcoscenico allestito a Roma.
Prodi ha sostenuto la necessità di una "maggiore consapevolezza e attenzione, concretizzabili in due azioni prioritarie: contenimento o mitigazione e adattamento, ossia ricercare le misure necessarie per vivere nel miglior modo possibile la situazione climatica" per poi sottolineare che "serve una nuova alleanza con la natura, anche perché essa rappresenta un fattore di sviluppo, eliminando il preconcetto che l'ambiente rappresenti soltanto un costo serve ripensare – non abbandonare – la produzione di energia e i trasporti, in funzione del rispetto del nostro pianeta e il più possibile condivisi nel mondo". Ed infine, "C'è bisogno di uno sforzo di persuasione ma anche il coraggio di prendere decisioni che possono portare divisioni nella società, ma dobbiamo convincerci che partire ora garantisce competitività dopo".
Io tradurrei le sue frasi così: "I problemi ambientali offrono una splendida opportunità per nuovi investimenti, le imprese possono ricavare alti profitti. È ancora presto per abbandonare la produzione di energia basata sui combustibili fossili e possiamo continuare a spostare merci da una parte all'altra del globo, anche se questo può apparire logicamente assurdo, basta che sia funzionale al mercato globale. Le soluzioni sono quelle di chi comanda ma… concederemo dei margini di trattativa. Cercheremo di convincere tutti della bontà dei nostri intenti ma se non ci riuscissimo siamo pronti ad imporci costi quel costi. Come paese industrializzato del nord del mondo dobbiamo mantenere un ruolo predominante raffilando l'arma della competitività".
Se quella sopra vi apparisse un'interpretazione eccessivamente cruda delle parole del presidente del consiglio come commentare le dichiarazioni del più esplicito Bersani?
I gas serra – dice Bersani ministro dello sviluppo industriale - bisogna assolutamente ridurli", ma …. "per tenere il passo tecnologico bisogna insistere con un sistema basato sul vincolo dei criteri di razionalità (…) della Germania vediamo la parte verde, ma lì si fa ricorso al carbone per il triplo della produzione italiana", per quanto riguarda le rinnovabili "si tratta di un mercato da incentivare" pur senza dimenticare il nucleare.
Certo, "lanciare oggi un piano nucleare significherebbe mettere in bolletta una cifra paurosa - continua il ministro - sarebbe più serio dire come stiamo facendo: entriamo con tutti e due i piedi nella ricerca sul nucleare di nuova generazione".
Detto fatto, il 17 settembre, qualche giorno dopo la conclusione dei lavori della conferenza, nel corso di una riunione della GNEP (Global Nuclear Energy Partnership), l'Italia ha formalmente prenotato un posto nel programma di ricerca internazionale sulle centrali nucleari del futuro che, in anticipo sui risultati della ricerca, vengono già propagandate come più sicure, prive di scorie radioattive, basate su tecnologie non utilizzabili per le armi nucleari… capito?
Per concludere il trittico non poteva mancare il richiamo di Confindustria. "Il mondo dell'impresa - spiega la vicepresidente Emma Marcegaglia - è convinta di dover svolgere un ruolo e di avere una responsabilità, ma serve pragmatismo. Non è lasciando l'Italia al buio che si fa tutela ambientale. Sono necessari investimenti in infrastrutture come i rigassificatori".
Anche in Europa non si sta con le mani in mano, da Bruxelles, secondo quanto riportato nel Libro verde sull'adattamento al cambiamento climatico. L'Ue è pronta a mettere in campo una serie di misure, dalle più morbide a quelle radicali, che coinvolgeranno i governi, le autorità regionali, locali e tutti i cittadini. Si parte dalle cosiddette "azioni soft", come il taglio agli sprechi idrici, il cambiamento delle rotazioni e della semina dei raccolti e l'uso di sementi resistenti alle siccità. Per arrivare a quelle "hard" e molto costose, come l'innalzamento degli argini di canali e dighe, lo spostamento di porti, industrie e città costruite in aree costiere particolarmente basse o a rischio di inondazioni, nonché la costruzione di nuove centrali per sostituire quelle idroelettriche, destinate a chiudere i battenti.
Nello stesso testo si può leggere che "…se si muoveranno per prime le aziende europee diventeranno leader mondiali in strategie e tecnologie per l'adattamento al surriscaldamento, con tanto di nuove opportunità di export e posti di lavoro". Per stare più tranquilli, in contemporanea, si studiano nuovi servizi finanziari e assicurativi in grado di rispondere alle crescenti esposizioni ai rischi.
Quindi affari per tutti? Sì, per tutti quelli che sono pronti a sfruttare ogni occasione per incrementare i propri profitti, al di sopra ed oltre ogni riconoscimento di responsabilità; con l'ipocrisia di chi, ieri in nome del progresso, oggi anche in quello del rispetto dell'ambiente non rinuncia allo sfruttamento.
Risulta alquanto timida l'affermazione del ministro dell'Università Fabio Mussi che, sottolineando la necessità di rivedere profondamente l'intero modello di sviluppo economico, ha detto: "Il capitalismo nella sua forma attuale è incompatibile con il pianeta Terra".
Dal nostro punto di vista, è il capitalismo in quanto tale ad essere incompatibile con qualsiasi reale progresso di un'umanità integrata nell'ecosistema Terra.
Di fatto, le conseguenze negative dei cambiamenti climatici si accompagnano sempre più chiaramente con i processi di "ristrutturazione" del sistema capitalista.
Sarebbe opportuno evitare entrambi, per questo nessuna soluzione deve essere delegata.

MarTa


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