Il carattere classista della scuola delle ultime riforme scolastiche
emerge con forza, giorno per giorno, attraverso una lunga serie di
provvedimenti e leggi regionali studiate e approvate da chi –
come al solito – di formazione capisce ben poco.
Il valore sociale dell'istruzione crolla definitivamente, l'educazione
si fa sempre più "certificativa" e, anziché abbatterle,
vengono marcate ancora di più le differenze socioculturali di
partenza di ogni individuo. Niente a che vedere con le idee di
scuola/territorio come "comunità educante", di
responsabilità condivisa nell'educazione, di promozione della
libertà.
L'educazione/formazione torna ad essere il rituale di iniziazione a una
società stratificata, orientata verso il consumo progressivo di
servizi sempre più costosi e che si basa esclusivamente su
standard eurostatunitensi pianificati su larga scala.
Abbiamo a lungo criticato il modello di "scuola-azienda" ed il concetto
di "istruzione-merce": la giunta regionale dell'ex-sindacalista
Ottaviano De Turco ci propone ora la "filiera scolastica".
I. Scuola media
Il cosiddetto "doppio percorso formativo" – sistema dei licei e
IFP (Istruzione e Formazione Professionale) – previsto dalla
Berlinguer-Moratti era stato tanto contestato perché avrebbe
potuto creare precoci effetti retroattivi a partire dalla scuola media,
imponendo la scelta sul futuro percorso all'età di 13 anni.
Altro fattore di discriminazione geografico-territoriale duramente
criticato, la concessione alle regioni dell'Istruzione e della
Formazione Professionale (L. Cost. 17 ottobre 2001 n. 3), che affidava
alle amministrazioni locali l'onere delle spese necessarie al suo
sostentamento e la totale facoltà di programmare l'offerta
formativa integrata tra istruzione e formazione professionale,
stabilire i contributi per le scuole non statali, determinare il
calendario scolastico, etc… Fu ampiamente dimostrato che tutto
ciò si sarebbe potuto realizzare attraverso una distorta
interpretazione del concetto "continuità scuola-lavoro", e
cioè attraverso l'ingresso di capitali pubblico-privato cui
subordinare totalmente didattica e ricerca.
Ma l'8 agosto 2007 circola voce di un "potenziamento dei laboratori
scientifici e tecnologici per le scuole medie superiori abruzzesi e la
promozione della cultura tecnico-scientifica a partire dalla scuola
media inferiore". Un protocollo d'intesa sottoscritto tra la Regione e
l'Ufficio scolastico regionale per l'attuazione dei macroprogetti di
innovazione, competitività e governance, approvato dalla Giunta
regionale su proposta dell'assessore al Lavoro e alla Formazione
Fernando Fabbiani (ex CGIL, ora PdCI). In pratica, anziché
aprire le porte della scuola media alla complessità culturale
del territorio, la si aggancia subdolamente alle volontà dei
politici al potere e al carro dei mercanti del capitale, rendendola
ancor meno autonoma di quanto oggi non sia nei confronti dell'industria
e degli industriali.
L'Ufficio scolastico regionale dovrebbe individuare e proporre alla
Direzione Politiche attive del Lavoro della Regione quaranta scuole
medie (dieci per ogni provincia) da sostenere nell'attuazione di visite
guidate in centri di ricerca ed aziende. Ma non finisce qui. L'intesa
prevede interventi che coinvolgono tutta la così definita
"filiera scolastica" primaria e secondaria, a partire addirittura dalla
scuola materna e fino al diploma di scuola media superiore. È la
legge di mercato che con la sua logica irrompe definitivamente in
classe: finanziamenti per 500.000 euro finalizzati alla "promozione
della cultura tecnico-scientifica" per la scuola media; 702.000 euro
per la scuola secondaria di secondo grado per il "potenziamento delle
attrezzature di laboratorio"; 400.000 euro per entrambi gli ordini di
scuola per "rafforzare la conoscenza anche dei genitori sui percorsi
scolastici tecnico-scientifici"; infine 500.000 euro destinati
all'intera "filiera scolastica" per rafforzare le competenze
metodologiche e sperimentali dei docenti di scuole di ogni ordine e
grado".
II. Come completare l'obbligo scolastico
L'imposizione a 13 anni della scelta tra licei e formazione
professionale, praticamente irreversibile, verrà ovviamente
fatta dalle famiglie in base alle loro possibilità economiche.
È palese la volontà di gettare sin da subito le basi per
l'attuazione di un vero e proprio segmento differenziale di massa (in
sintonia con le idee dell'ex-ministro Moratti e di Forza Italia), che
per la maggior parte del corpo studentesco si arresterà alla
formazione professionale.
Apparentando gli Istituti Professionali di stato alla formazione
professionale delle regioni e – come previsto sempre nella
riforma Moratti – con l'idea di eliminare gli istituti tecnici,
si ha come unico scopo quello di togliere di mezzo diplomi spendibili
immediatamente nel mondo del lavoro e che contemporaneamente davano
immediato accesso alle facoltà universitarie. Si vuol togliere
la possibilità di quella opzione intermedia che oggi è
rappresentata dagli istituti tecnici e che risulta tra l'altro la
più apprezzata (36,7% di iscritti a fronte di un 22,3% dei
professionali e un 20% dei licei scientifici).
Ma l'eliminazione dei tecnici nasconde anche altri intenti:
- compensare la richiesta di manodopera inviando minorenni a lavorare gratuitamente al servizio dei padroni d'azienda;
- ampliare il canale dell'istruzione e formazione professionale a
scapito degli istituti tecnici poiché buona parte della
formazione professionale è in mano ai salesiani e ad altre
congregazioni religiose.
Il diritto allo studio e l'obbligo scolastico si trasformano in
diritto/dovere, che attraverso la formula dell'apprendistato può
essere completato. All'età di 15 anni infatti, ragazzi meno
fortunati potranno scegliere per la formazione professionale
provinciale/regionale, considerata a tutti gli effetti "percorso
formativo". Il principio che irradia l'opera era già conosciuto
sotto il nome di "alternanza scuola-lavoro", cioè un
allargamento a dismisura degli stage di raccordo col mondo del lavoro,
di interi mesi passati dagli studenti direttamente a lavorare presso
terzi.
E anche questo diventa realtà. Notizie del 9 agosto 2007
informano che la Regione Abruzzo e l'Ufficio scolastico regionale
attivano percorsi formativi integrati per "l'assolvimento dell'obbligo
formativo" finanziati con 806.400 euro (resi disponibili da appositi
fondi assegnati alla Regione dal ministero del Lavoro ed eventualmente
dal ministero della Pubblica istruzione).
Di cosa si tratta?
La giunta regionale, sempre su proposta dell'assessore al Lavoro e alla
Formazione, approva l'accordo territoriale stipulato tra Regione e
Ufficio scolastico regionale per attivare percorsi riservati a ragazzi
in età compresa tra i 14 e 18. Le figure professionali da
formare sono in totale tredici. Come da copione, i corsi si articolano
in attività didattiche presso gli Istituti Professionali o gli
organismi di formazione, in attività di laboratorio, visite
guidate presso imprese e, ovviamente, in stage.
L'apprendistato viene definitivamente equiparato a tutti gli effetti ai
fini dell'assolvimento dell'obbligo scolastico agli altri percorsi di
istruzione e formazione, per cui frequentare corsi con un numero
considerevole di ore di formazione e lavorare avranno lo stesso valore
formativo.
III. La formazione privata del sindacato cattolico
Facciamo un passo indietro.
Nel giugno 2005, sempre per mano dell' assessore "comunista" Fabbiani,
passavano indisturbate (fummo in pochi a denunciarne le inevitabili
conseguenze) le delibere regionali 583 e 1071, approvate con la solita
unanimità e con parere positivo di CGIL, CISL, UIL. In breve, le
delibere riguardavano l'apprendistato professionalizzante, la
trasformazione di società pubbliche in società a
prevalente capitale pubblico e il progetto P.A.R.I. (leggi:
sfruttamento minorile e ultralegalizzazione della precarietà nel
pubblico): un meccanismo che permetteva anche a CGIL, CISL e UIL di
gestire fondi pubblici per realizzare corsi privati di formazione
professionale.
Nel luglio 2007 esplode il caso dello Ial (Istituto addestramento
lavoratori) Abruzzo e Molise, ente di formazione della CISL: i conti
non tornano, nei bilanci c'è una voragine che si allarga a
dismisura, si parla di perdite per 35 milioni di euro. Ovviamente di
fondi pubblici. Una montagna di denaro arrivata dall'Unione europea
assegnata allo Ial dalla Regione.
Negli ultimi anni lo Ial ha organizzato centinaia di corsi per ognuno
dei quali sono stati incassati, mediamente, 60-70 mila euro. Ma la
maggior parte degli insegnanti non sono stati retribuiti (effetto
P.A.R.I.). E neppure i tantissimi ragazzi che hanno seguito i corsi,
sono stati pagati. Lo Ial costantemente rinviava il momento dei
rimborsi ma i soldi già non c'erano più.
Allo scandalo seguono decine di denunce, emergono gli scoperti con gli
istituti di credito e i fornitori; i contributi non versati all'Inps e
le tasse evase che l'Agenzia delle entrate dovrebbe recuperare –
e che adesso si vorrebbe far ricadere sulle spalle dello Stato –
ammontano a oltre 10 milioni di euro. Nello sfascio si ritrovano
catapultati anche i dipendenti, che rischiano il licenziamento.
IV. Gli istituti tecnici
Come sottolineava Confindutria nel 2005, il vero potere è nel
controllo degli istituti tecnici. Per la confederazione gli istituti
tecnici sono l'asse portante della scuola superiore in Italia (36,7% di
allievi iscritti) ed un loro arretramento culturale o, peggio ancora,
la loro sparizione, comporterebbe grossi problemi soprattutto per la
reperibilità dei quadri intermedi necessari alla produzione. Ma
dietro tali affermazioni c'era ben altro: Confindustria reclamava
manodopera gratuita rinnovabile di anno in anno e il timone di questo
settore formativo.
E l'Abruzzo le fa questo regalo. La costituzione di poli formativi
sperimentali per realizzare percorsi di istruzione e formazione tecnica
superiore (Ifts) diventa realtà: con un fondo di un milione e
seicentomila euro, nell'agosto 2007 la Giunta regionale, su proposta
dell'assessore al Lavoro e alla Formazione, ne delibera l'attuazione.
La filiera dell'industria culturale non ha fine. I poli sperimentali
Ifts (rivolti a persone in possesso di diploma di scuola secondaria di
secondo grado in età compresa tra i 19 e 32 anni) sono
costituiti in forma di associazione temporanea di scopo (Ats) composta
da almeno due istituti di istruzione secondaria superiore tecnica o
professionale, un'impresa operante nel settore di riferimento del polo,
con sede operativa nella provincia di localizzazione del polo stesso,
una Università abruzzese, un Centro di ricerca con sede in
Abruzzo, un soggetto accreditato dalla Regione Abruzzo per la
macrotipologia "Formazione superiore".
I poli formativi sperimentali, sebbene con localizzazione provinciale,
hanno valenza regionale, così che al partenariato possano
aderire anche soggetti localizzati in altre province della regione
purché competenti riguardo al settore economico. La
programmazione regionale dei percorsi Ifts prevede per ogni polo
formativo la realizzazione di azioni di sistema e di accompagnamento e
due percorsi formativi, con l'obiettivo di attuare un sistema di piena
e totale dipendenza tra istruzione scolastica ed universitaria,
formazione e imprese.
Il fondo di un milione e seicentomila euro è così ripartito:
- duecentomila euro per realizzare azioni di sistema e di accompagnamento;
- un milione e quattrocentomila euro per realizzare i percorsi formativi.
I poli realizzeranno due percorsi sulla base di figure professionali
ovviamente individuate "dal comitato di programmazione regionale".
Il cerchio si chiude: anche nei tecnici, didattica e ricerca finiscono nella ragnatela dell'impresa.
V. Alta formazione
Tagliando i fondi pubblici per la ricerca, sul corpo docente e
sull'Università è fin troppo evidente che si vuole
impoverire, depotenziandola, la formazione pubblica, proponendo come
unica alternativa l'Università privata. Le manovre, a livello
nazionale e locale, sono di esplicita natura privatista: gli atenei,
per poter sopravvivere, dovranno aprire le loro porte per cercare
finanziamenti e sponsorizzazioni. Se le Università pubbliche
saranno in gran parte finanziate da capitale privato proveniente da
industrie e industriali (quando le Università private già
ricevono buona parte di fondi pubblici) provate ad immaginare alla
differenza sostanziale che si verrà a creare tra gli atenei del
Nord e quelli del Sud; tra grandi poli universitari e Università
"di provincia"; tra facoltà scientifiche e tecnologiche e
facoltà umanistiche.
Ma in una regione come l'Abruzzo, chi potrebbe mai essere il "privato"
talmente potente e interessato per poter competere su un terreno
così allettante?
Ogni commento è inutile:
"L'Aquila, 3 agosto 2007. Nasce a L'Aquila l'Istituto superiore di
scienze religiose 'Fides et Ratio', dopo Milano unico istituto inserito
all'interno dell'università pontificia lateranense. Lo hanno
annunciato stamani nel corso di una conferenza stampa, l'arcivescovo
metropolita dell'Aquila, monsignor Giuseppe Molinari ed il preside
dell'Istituto, padre Alberto Valentini. L'istituto superiore religioso,
riconosciuto dalla Santa Sede e dallo Stato italiano, sorto per dare
una formazione filosofico-teologica ai fedeli laici e ai religiosi che
intendono dedicarsi all'insegnamento della religione cattolica nelle
scuole di ogni ordine e grado, offre un piano quinquennale di studi,
suddiviso in un primo triennio ed un successivo biennio di
specializzazione. Al termine del triennio si ottiene il diploma in
scienze religiose, nel successivo biennio, si consegue il magistero in
scienze religiose (laurea specialistica) che costituisce titolo per
l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e
grado. Coloro che già hanno conseguito il magistero (ovvero i 4
anni di studio con il vecchio ordinamento) possono ottenere,
frequentando un anno, la laurea specialistica".
Mentre l'Università pubblica, privata di risorse, è
destinata al più totale fallimento, l'Istituto superiore di
scienze religiose ottiene una sede di tre piani in via San Marciano,
una biblioteca da 850 metri quadrati con 120 mila volumi e –
oltre il danno la beffa – un primo finanziamento regionale per
700 mila euro!
In agosto accadeva tutto questo. Già famosi in tutt'Italia per
la smisurata retribuzione percepita (durante e dopo il mandato), gli
assessori abruzzesi d'estate non sono andati in vacanza ma hanno
continuato a lavorare per noi.
Osservatorio Sociale AQ