Umanità Nova, n.30 del 30 settembre 2007, anno 87

Rom a Torino. Tra sgomberi e resistenza


Dall'ultima volta che ne abbiamo scritto su Umanità Nova, riguardo alla questione Rom a Torino (giugno 2007) poco è cambiato. Sgomberi e violenze nei confronti dei rom si acuiscono in città. Nella prima settimana di settembre ben tre campi, come trionfalmente annunciavano i giornali cittadini, sono stati sgomberati, tutti e tre situati nelle periferie della città, sia verso sud che ad est. Sgomberi che hanno la caratteristica di non ottenere per niente il risultato voluto ed immaginato, ovvero la sparizione totale dei rom dalla città. Al massimo questi interventi sparpagliano le famiglie sul territorio, si creano nuovi campi più piccoli o imboscati o si ingrossano quelli già esistenti.
L'ultimo episodio di sgombero ha avuto per protagonisti un centinaio di persone (rom rumeni) insediate in un campo ai confini tra Torino e Settimo Torinese. Sgomberati e da una settimana assestati sul bordo della strada. Non c'è alcun tipo di progetto o iniziativa che fa seguito alle ordinanze di sgombero e così persone che già vivono in condizioni terribili si trovano dall'oggi al domani in situazioni ancora peggiori, sbattute in mezzo alla strada, senza neanche il piccolo conforto della baracca e di quel poco di risorse che un campo abusivo riesce comunque ad avere.
In questo ultimo caso, come già aveva fatto agli inizi di aprile un numeroso gruppo di famiglie, i rom non ci sono stati a farsi trattare un ennesima volta come bestiame ed hanno organizzato di loro spontanea iniziativa, giovedì 20 settembre, un presidio davanti al comune di Torino. Presidio annunciato e partecipato da circa un centinaio di persone, donne e bambini compresi che hanno tenuto la piazza, alcuni senza aver mangiato e bevuto per tutta la giornata, fino alle sette di sera, quando finalmente una delegazione di assessori si è degnata di accogliere alcuni rappresentanti del presidio.
Non che l'incontro abbia avuto buon esito, tutt'altro, perché in quella sede gli assessori hanno ribadito che non ci sono spazi di manovra per il comune per pensare ad alcuna forma di soluzione, ne l'ipotesi di nuovi "campi sosta", né i margini di tolleranza che potrebbero in questi mesi lasciare un po' di respiro ai rom, dare a chi di loro lo desideri la possibilità di insediarsi in maniera più stabile sul territorio, magari cercarsi e trovare lavoro – ora che la Romania è nella Comunità Europea non c'è più il capestro del permesso di soggiorno a rendere la vita ancora più impossibile a chi voglia uscire dalla condizione di disagio -, permettere un programma di inserimento scolastico decente per i figli. Nulla di fatto dunque, ancora per tutto questo autunno e l'inverno prossimo sarà quindi un susseguirsi di sgomberi e nuovi insediamenti, in sintonia con gli umori della politica e le inutili prove di forza del Comune che con il vessillo della legalità in realtà si accanisce dove è più facile guadagnare consenso a buon mercato tra gli elettori.
Nella stessa giornata intanto il vice console rumeno era in città, accompagnato da giornalisti e fotografi si è fatto un giro nei campi, debitamente scortato dai funzionari del comune che erano evidentemente molto imbarazzati dal fuori programma di dover ammettere davanti al console che un gruppo di famiglie aveva invaso il salotto buono della città protestando per la repressione esasperata di cui erano bersaglio. È stato anche abbozzato un contatto telefonico con i presidianti davanti al Comune, vano tentativo di instaurare un dialogo con i rom che stavano protestando i quali però si sono rifiutati di parlare con il rappresentante dello stato rumeno. È facile comprenderne le ragioni: in questi anni la Romania non solo non ha affrontato il problema delle condizioni di vita di una grossa percentuale di persone che abitano nel paese (impossibile trovare lavoro se sei rom, discriminazioni evidenti nelle scuole, nella sanità etc.), ma si è reso responsabile, attraverso gli apparati polizieschi, di vere e proprie azioni repressive, o ha esplicitamente rinunciato ad impedire episodi di violenza ed intolleranza da parte della popolazione, di fatto appoggiandoli tacitamente. Le trattative in corso in questi mesi tra il governo italiano e quello rumeno stanno andando nella direzione di negoziare le cifre che lo stato italiano, o la Comunità Europea, dovrebbero sborsare perché il governo rumeno chiuda le frontiere e si tenga i rom in casa. Questa è la peggiore delle ipotesi, molto simile ad analoghi progetti che coinvolgono gli stranieri migranti dall'Africa, dove esistono già dei centri di permanenza temporanea, in Libia per esempio, dove si rinchiudono i migranti pescati ad attraversare il deserto, con il tacito consenso ed i finanziamenti degli europei. Un cpt lontano dagli occhi non fa vergogna...
Tra uno sgombero e l'altro seguono intanto gli articoli deliranti sui media cittadini, che fanno gara l'un con l'altro a dipingere la situazione a tinte fosche, con l'intento di convincere i cittadini a sentirsi in una situazione di insicurezza ed assedio, al quale si può rispondere solo con una maggior repressione e la presenza sempre più massiccia delle forze di polizia.
Se la repressione si accanisce, si registra però una crescente attenzione da parte dei movimenti in città per quanto succede, si iniziano a stampare i primi volantini di denuncia e di solidarietà ai rom, la presenza degli italiani all'ultimo presidio è stata evidente, soprattutto gli anarchici, ma anche operatori dei servizi che con i rom lavorano, qualche cittadino si fa sentire dai microfoni di radio blackout o sulle mailing list di movimento manifestando la sua solidarietà.
Forse i Rom non sono più soli...

Luchino


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