In tempo di guerra i giornali
raccontano favole. Non si sminuisce la loro importanza rilevandole,
anzi, la si pone sul giusto terreno: sono un'arma psicologica. E il
«fronte interno» non è il meno rilevante dei fronti.
(Mario Isnenghi, Le guerre degli italiani)
La vicenda della cattura dei due agenti italiani del servizio segreto
militare (l'ex Sismi, oggi Aise: Agenzia informazioni sicurezza
esterna) e del loro collaboratore afgano, aldilà dell'effettiva
dinamica dei fatti, impossibile a qualsiasi verifica dato il vigente
controllo politico sulle informazioni riguardanti operazioni "coperte"
in area di conflitto, ha comunque messo in evidenza alcuni aspetti
dell'intervento militare italiano in Afganistan.
Tale intervento, parte integrante della missione Isaf-Nato, attualmente
vede l'impiego di 2.300 (2.400 secondo L'Espresso) militari italiani,
divisi tra Kabul e la provincia di Herat; il contingente comprende
un'unità di manovra, il Battle Group 3, e altri reparti di
supporto, compresa una componente elicotteristica con AB.212, operanti
a Kabul e la Task Force Lince dislocata ad Herat dove vi sono anche
reparti speciali e un patetico nucleo della Guardia di Finanza che
dovrebbe addestrare la polizia doganale afgana. Sempre ad Herat vi sono
dislocati gli elicotteri d'attacco A.129 Mangusta e gli aerei
teleguidati Uav Predator. La sicurezza della base italiana è
assicurata da una compagnia dell'esercito albanese, armata e addestrata
dallo stato italiano.
Dal prossimo dicembre, come è stato sommessamente ammesso,
saranno inviati - per almeno 8 mesi - ulteriori rinforzi consistenti in
250 militari, per sostenere la responsabilità di comando assunto
dalle forze italiane nella regione di Kabul.
Secondo la versione ufficiale, il 22 settembre quando erano stati
rapiti, i due agenti (a quanto pare, veterani dei reparti specializzati
in operazioni non convenzionali) stavano operando nella zona di
Shindand, nell'estremo sud della provincia di Herat. Ovviamente, non
è stata fornita alcuna informazione sulla loro missione, ma di
certo non si trattava di una semplice ricognizione, dato che è
una zona dove è forte la presenza della guerriglia filotalebana
e per questo è sottoposta ai continui bombardamenti Usa e Nato.
Il 27 aprile scorso, decine di civili erano stati sterminati dalle
bombe da una tonnellata sganciate dai bombardieri B-1 sui villaggi
della zona.
Il blitz per "liberare" i prigionieri compiuto il 24 settembre dai
reparti speciali britannici e italiani (ma sembra anche tedeschi),
stante alle informazioni rese note, sarebbe avvenuto ancora più
a sud, nella provincia di Farah dove, sotto il Comando regionale ovest
italiano, opera un Prt statunitense. Una zona dove le azioni della
guerriglia e i bombardamenti sono ancora più intensi, tanto che
in luglio centinaia di civili erano morti sotto le bombe nel distretto
Babaluk. Sempre nella stessa zona, il 24 settembre tre contractor
afgani di una società privata Usa sono stati uccisi e altri
dieci risultano dispersi, dopo un agguato della guerriglia. In
quest'area operano anche i circa 200 militari italiani dei reparti
speciali della Task Force 45, impegnati a fianco dei commilitoni
statunitensi nel contrasto antiguerriglia, ai confini della tormentata
provincia di Helmand.
Operazioni congiunte tra reparti speciali italiani e degli altri
contingenti ne sarebbero state compiute numerose, anche se tutte
coperte da segreto. Fonti della Nato rivelarono per la prima volta il
ruolo dei reparti speciali italiani un anno fa, nell'ambito
dell'operazione Wiconda Pincer, condotta a fianco dei Berretti Verdi
statunitensi nell'area di Farah. La TF-45 è la più
consistente struttura operativa delle forze speciali italiane dai tempi
della Somalia. Secondo alcune rivelazioni, aliquote di tali reparti
sono entrate in azione anche a Kandahar e Helmand, ossia ben fuori dal
dai confini della provincia di Herat di competenza italiana, alla
faccia di chi in parlamento continua a discutere dei caveaut d'ingaggio.
Peraltro, secondo alcune indiscrezioni anche di origine afgana, tutti i
reparti italiani sono impegnati quasi quotidianamente in conflitti a
fuoco, resi noti solo in presenza di perdite tra le forze
dell'Isaf (solo dall'inizio dell'anno circa 180).
I reparti italiani fanno parte anche della Forza rapida di reazione a
composizione mista italo-spagnola che, al febbraio scorso, comprendeva
una compagnia di parà spagnoli e 220 militari italiani
(parà del 9° reggimento d'assalto Col Moschin, incursori del
Comsubin e parà del 66° reggimento Trieste della Brigata
Aeromobile Friuli).
Molto attivi sarebbero anche gli agenti del Ris, il servizio di intelligence dell'esercito.
Secondo fonti ufficiali della Difesa, risalenti allo scorso anno, circa
80 militari italiani (compresi appartenenti a reparti speciali)
partecipano ad un programma Nato di addestramento delle truppe del
neo-costituito Esercito Afgano, secondo le tecniche e le procedure che
i militari statunitensi hanno, fino ad oggi, insegnato ai soldati
afgani.
L'epilogo tragico del blitz, compreso il sospetto che i due ''italiani
speciali'' (così come li ha definiti il ministro della Difesa
Parisi) siano stati colpiti dal cosiddetto fuoco amico, non può
quindi essere semplicemente considerato un ''incidente'' come ha fatto
la ministra Bonino; ma è del tutto inseribile in un contesto di
guerra quale quello afgano in cui due agenti dei servizi militari, con
incarichi segreti, sono preferibili morti piuttosto che vivi in mano al
nemico.
Degna comunque di nota, la versione ufficiale ad uso e consumo
dell'opinione pubblica che esalta sia il ruolo dei due agenti
dell'intelligence militare che la determinazione nel liberarli
annientando la banda dei rapitori; così come va sottolineata la
sorprendente retorica del ministro Parisi: "erano lì non per una
gita di piacere o per il desiderio di conoscere l'Afganistan, ma erano
stati mandati lì in nome della Repubblica e dell'Italia per
contribuire a mantenere la sicurezza e la pace nel mondo".
E, per prevenire i consueti quanto paradossali richiami al rispetto
dell'articolo 11 della Costituzione da parte dei pacifisti e della
sinistra di governo, il cattolico Parisi non ha perso l'occasione per
legittimare, anche eticamente, la guerra globale e l'interventismo
italiano: "Noi sappiamo che i confini della patria, della repubblica
non coincidono con quelli che apprendiamo nella storia e nella
geografia, ma coincidono sempre più col mondo intero, e di
questo dobbiamo farci carico".
Ben altre le parole del padre del militare ferito mortalmente: "Mio
figlio ormai è morto in Afganistan, lì c'è la
guerra (…) Non si saprà mai la verità (…)
Tutti assassini, Prodi e Berlusconi".
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