Umanità Nova, n.31 del 7 ottobre 2007, anno 87

Afganistan. Favole di guerra



In tempo di guerra i giornali raccontano favole. Non si sminuisce la loro importanza rilevandole, anzi, la si pone sul giusto terreno: sono un'arma psicologica. E il «fronte interno» non è il meno rilevante dei fronti.
(Mario Isnenghi, Le guerre degli italiani)

La vicenda della cattura dei due agenti italiani del servizio segreto militare (l'ex Sismi, oggi Aise: Agenzia informazioni sicurezza esterna) e del loro collaboratore afgano, aldilà dell'effettiva dinamica dei fatti, impossibile a qualsiasi verifica dato il vigente controllo politico sulle informazioni riguardanti operazioni "coperte" in area di conflitto, ha comunque messo in evidenza alcuni aspetti dell'intervento militare italiano in Afganistan.
Tale intervento, parte integrante della missione Isaf-Nato, attualmente vede l'impiego di 2.300 (2.400 secondo L'Espresso) militari italiani, divisi tra Kabul e la provincia di Herat; il contingente comprende un'unità di manovra, il Battle Group 3, e altri reparti di supporto, compresa una componente elicotteristica con AB.212, operanti a Kabul e la Task Force Lince dislocata ad Herat dove vi sono anche reparti speciali e un patetico nucleo della Guardia di Finanza che dovrebbe addestrare la polizia doganale afgana. Sempre ad Herat vi sono dislocati gli elicotteri d'attacco A.129 Mangusta e gli aerei teleguidati Uav Predator. La sicurezza della base italiana è assicurata da una compagnia dell'esercito albanese, armata e addestrata dallo stato italiano.
Dal prossimo dicembre, come è stato sommessamente ammesso, saranno inviati - per almeno 8 mesi - ulteriori rinforzi consistenti in 250 militari, per sostenere la responsabilità di comando assunto dalle forze italiane nella regione di Kabul.
Secondo la versione ufficiale, il 22 settembre quando erano stati rapiti, i due agenti (a quanto pare, veterani dei reparti specializzati in operazioni non convenzionali) stavano operando nella zona di Shindand, nell'estremo sud della provincia di Herat. Ovviamente, non è stata fornita alcuna informazione sulla loro missione, ma di certo non si trattava di una semplice ricognizione, dato che è una zona dove è forte la presenza della guerriglia filotalebana e per questo è sottoposta ai continui bombardamenti Usa e Nato. Il 27 aprile scorso, decine di civili erano stati sterminati dalle bombe da una tonnellata sganciate dai bombardieri B-1 sui villaggi della zona.
Il blitz per "liberare" i prigionieri compiuto il 24 settembre dai reparti speciali britannici e italiani (ma sembra anche tedeschi), stante alle informazioni rese note, sarebbe avvenuto ancora più a sud, nella provincia di Farah dove, sotto il Comando regionale ovest italiano, opera un Prt statunitense. Una zona dove le azioni della guerriglia e i bombardamenti sono ancora più intensi, tanto che in luglio centinaia di civili erano morti sotto le bombe nel distretto Babaluk. Sempre nella stessa zona, il 24 settembre tre contractor afgani di una società privata Usa sono stati uccisi e altri dieci risultano dispersi, dopo un agguato della guerriglia. In quest'area operano anche i circa 200 militari italiani dei reparti speciali della Task Force 45, impegnati a fianco dei commilitoni statunitensi nel contrasto antiguerriglia, ai confini della tormentata provincia di Helmand.
Operazioni congiunte tra reparti speciali italiani e degli altri contingenti ne sarebbero state compiute numerose, anche se tutte coperte da segreto. Fonti della Nato rivelarono per la prima volta il ruolo dei reparti speciali italiani un anno fa, nell'ambito dell'operazione Wiconda Pincer, condotta a fianco dei Berretti Verdi statunitensi nell'area di Farah. La TF-45 è la più consistente struttura operativa delle forze speciali italiane dai tempi della Somalia. Secondo alcune rivelazioni, aliquote di tali reparti sono entrate in azione anche a Kandahar e Helmand, ossia ben fuori dal dai confini della provincia di Herat di competenza italiana, alla faccia di chi in parlamento continua a discutere dei caveaut d'ingaggio.
Peraltro, secondo alcune indiscrezioni anche di origine afgana, tutti i reparti italiani sono impegnati quasi quotidianamente in conflitti a fuoco, resi noti solo in presenza di perdite tra le forze dell'Isaf  (solo dall'inizio dell'anno circa 180).
I reparti italiani fanno parte anche della Forza rapida di reazione a composizione mista italo-spagnola che, al febbraio scorso, comprendeva una compagnia di parà spagnoli e 220 militari italiani (parà del 9° reggimento d'assalto Col Moschin, incursori del Comsubin e parà del 66° reggimento Trieste della Brigata Aeromobile Friuli).
Molto attivi sarebbero anche gli agenti del Ris, il servizio di intelligence dell'esercito.
Secondo fonti ufficiali della Difesa, risalenti allo scorso anno, circa 80 militari italiani (compresi appartenenti a reparti speciali) partecipano ad un programma Nato di addestramento delle truppe del neo-costituito Esercito Afgano, secondo le tecniche e le procedure che i militari statunitensi hanno, fino ad oggi, insegnato ai soldati afgani.
L'epilogo tragico del blitz, compreso il sospetto che i due ''italiani speciali'' (così come li ha definiti il ministro della Difesa Parisi) siano stati colpiti dal cosiddetto fuoco amico, non può quindi essere semplicemente considerato un ''incidente'' come ha fatto la ministra Bonino; ma è del tutto inseribile in un contesto di guerra quale quello afgano in cui due agenti dei servizi militari, con incarichi segreti, sono preferibili morti piuttosto che vivi in mano al nemico.
Degna comunque di nota, la versione ufficiale ad uso e consumo dell'opinione pubblica che esalta sia il ruolo dei due agenti dell'intelligence militare che la determinazione nel liberarli annientando la banda dei rapitori; così come va sottolineata la sorprendente retorica del ministro Parisi: "erano lì non per una gita di piacere o per il desiderio di conoscere l'Afganistan, ma erano stati mandati lì in nome della Repubblica e dell'Italia per contribuire a mantenere la sicurezza e la pace nel mondo".
E, per prevenire i consueti quanto paradossali richiami al rispetto dell'articolo 11 della Costituzione da parte dei pacifisti e della sinistra di governo, il cattolico Parisi non ha perso l'occasione per legittimare, anche eticamente, la guerra globale e l'interventismo italiano: "Noi sappiamo che i confini della patria, della repubblica non coincidono con quelli che apprendiamo nella storia e nella geografia, ma coincidono sempre più col mondo intero, e di questo dobbiamo farci carico".
Ben altre le parole del padre del militare ferito mortalmente: "Mio figlio ormai è morto in Afganistan, lì c'è la guerra (…) Non si saprà mai la verità (…) Tutti assassini, Prodi e Berlusconi".

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