Il Libano torna in fiamme. A distanza di poco più di un anno
dall'invasione del paese dei Cedri da parte dell'esercito israeliano e
dall'inizio dell'intervento franco-italiano nella martoriata terra del
Levante, a Beirut sono di nuovo tornate a parlare le autobomba. Il
deputato maronita Antoine Ghanem, delle Falangi cristiane, gruppo della
destra cattolica orientale appartenente al blocco governativo guidato
da Siniora, premier sunnita portavoce dell'élite filo-saudita
alleato sul piano internazionale con Francia ed USA, è saltato
in aria in un attentato che ha comportato la morte di altre otto
persone e il ferimento di alcune decine. L'attentato è avvenuto
pochi giorni prima dell'elezione da parte del Parlamento di Beirut del
nuovo Capo dello Stato. Ma è avvenuto anche pochi giorni dopo il
raid dell'aviazione israeliana che ha distrutto "qualcosa" nel
territorio siriano. Attorno a questo raid regna il più assoluto
riserbo tanto a Tel Aviv che a Damasco; questo non ha impedito ai
commentatori americani e ai loro alleati europei di sbizzarrirsi nelle
più mirabolanti ipotesi che vanno dall'incendio di un deposito
di armi iraniane destinato agli Hezbollah, fino alla presenza in
territorio siriano di materiale nucleare dismesso del Regime di Pyong
Yang a seguito dell'accordo con Washington che prevede la rinuncia da
parte del regime della Corea del Nord a cercare di dotarsi dell'arma
atomica, e girato ai siriani in cambio di vil denaro. Naturalmente
queste spiegazioni non sono accompagnate da alcuna prova di
veridicità ma si basano sulla tavoletta neo-con sull'Asse del
male e sulle "oggettive comunanza d'intenti" tra i regimi non amici
degli USA in giro per la terra.
Un'altra coincidenza che non si dovrebbe dimenticare parlando di
quest'attentato è quella con l'improvvisa accelerazione della
crisi iraniana con le dichiarazioni sulla necessità di
"prepararsi alla guerra in Iran" rilasciate dall'attuale Ministro degli
Esteri di Parigi, Bernard Kouchner, socialista e fondatore dei "medici
senza frontiere" ma legato strettamente a Washington. Tali
dichiarazioni, non smentite successivamente dall'autore, e confermate
dal silenzio del Presidente francese Sarkozy, a loro volta sono state
rilasciate in previsione del discorso del Presidente iraniano
appartenente all'estrema destra islamica Amhadinejad alla
sessantaduesima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Un bell'intrico
internazionale del quale la cosa più certa è il
rafforzamento delle pressioni internazionali nei confronti dell'Iran e
il costante lavorio ai fini dell'isolamento di Teheran capeggiato da
Washington e Parigi, ma che trova alleati interessati nell'area, da Tel
Aviv alle capitali arabe di orientamento sunnita che temono un Iran
superpotenza regionale e guida per le popolazioni islamiche di tutta
l'area. Lo stesso colpo alla Siria andrebbe visto in quest'ottica: a
distanza di tre giorni dall'incursione dell'aviazione israeliana in
territorio siriano il premier di Tel Aviv Olmert ha rilasciato delle
incredibili dichiarazioni nelle quali si offriva a Damasco la pace e la
restituzione di gran parte delle alture del Golan, occupate da Israele
nel 1967 e oggi grande ostacolo sulla strada di un trattato di pace tra
le due capitali. Per finire la Segretaria di Stato USA, Condoleeza Rice
faceva capire che Damasco sarebbe stata probabilmente invitata alla
conferenza di pace sulla Palestina che Washington ha intenzione di
tenere nelle prime settimane di Novembre. Insomma un colpo di bastone e
una carota per il Presidente Assad e per il suo regime, nemico degli
americani, laico e nazionalista (la famiglia del Presidente appartiene
all'Islam laico e progressista alawita), ma abbastanza pratico da
accettare i necessari compromessi con l'Occidente, come l'alleanza con
gli USA contro Saddam Hussein nel 1991 ha decisamente dimostrato. Vista
da quest'ottica, i recenti avvenimenti assumono il carattere di azioni
occidentali volte a isolare Teheran dall'unico alleato locale e, nel
contempo utili a dimostrare a quest'ultimo la propria
inferiorità militare e la necessità di restare neutrale
davanti all'aggressione all'Iran.
Se questo è il quadro internazionale in cui matura l'attentato
di Beirut, è necessario però collegare questo quadro agli
avvenimenti locali che vedono l'autobomba cadere proprio nel momento
utile per evitare un compromesso tra l'alleanza drusa, sunnita e
maronita del premier Siniora e quella sciita con i maroniti
nazionalisti di Michel Aoun, sul nome del prossimo Presidente della
Repubblica. Quest'ultimo per la Costituzione dev'essere cristiano
maronita, e secondo un patto di "coesione nazionale" varato tra le due
fazioni, avrebbe dovuto essere eletto da due terzi del Parlamento.
Questo compromesso andava incontro alle necessità
dell'opposizione di evitare il confronto armato mantenendo però
un potere di veto all'interno della complicata geografia etno-politica
del paese dei Cedri. L'uccisione del deputato anti-siriano, quindi,
è utile a chi nei due campi preferirebbe evitare ogni
compromesso ed ogni patto che impedisca lo scivolare del paese in una
nuova guerra civile che, a questo punto, sarebbe parte di una
più generale guerra medio orientale che vedrebbe centinaia di
migliaia di morti e lo sconvolgimento delle frontiere e degli equilibri
oggi esistenti.
Gruppi filo-siriani legati a settori dei servizi segreti di Damasco che
si oppongono alla linea di compromesso del Presidente Assad, piuttosto
che l'inteligence di Tel Aviv o dei paesi occidentali più anti-
siriani come USA e Francia, potrebbero essere gli autori di
quest'omicidio, ma non si deve sottovalutare l'ipotesi che l'autobomba
sia stata piazzata dagli uomini del partito Druso di Walid Jumblatt
contrari ad ogni compromesso con l'opposizione. Certo che questa bomba
scoppiata cinque giorni dopo che il Presidente sciita del Parlamento
Berri (appartenente ad Amal e non ad Hezbollah) aveva proposto la
"coesione nazionale" e il quorum dei due terzi, e quattro giorni dopo
che il Patriarca maronita Sfeir, vero e proprio padre non solo
spirituale della maggioranza aveva chiesto al governo di accettare la
proposta, pare messa apposta per favorire il partito della guerra e per
consentire agli USA di continuare il loro velleitario e distruttivo
piano di "Nuovo Medio Oriente" che ha finora partorito la distruzione
della comunità palestinese, l'invasione dell'Iraq e lo stato di
collasso di paesi come il Libano e la Giordania.
Il rischio evidente che oggi quest'area del pianeta corre è
quello di sprofondare in una sorta di guerra civile permanente
alimentata dall'interesse neo coloniale dei paesi occidentali, e da
quello degli USA della Gran Bretagna e della Francia in primo luogo,
decisi ad appropriarsi delle richhezze energetiche locali o, in
alternativa, a non lasciare a nessuno la possibilità di
utilizzarle.
Giacomo Catrame