Umanità Nova, n.31 del 7 ottobre 2007, anno 87

Libano. Fiamme tra i cedri



Il Libano torna in fiamme. A distanza di poco più di un anno dall'invasione del paese dei Cedri da parte dell'esercito israeliano e dall'inizio dell'intervento franco-italiano nella martoriata terra del Levante, a Beirut sono di nuovo tornate a parlare le autobomba. Il deputato maronita Antoine Ghanem, delle Falangi cristiane, gruppo della destra cattolica orientale appartenente al blocco governativo guidato da Siniora, premier sunnita portavoce dell'élite filo-saudita alleato sul piano internazionale con Francia ed USA, è saltato in aria in un attentato che ha comportato la morte di altre otto persone e il ferimento di alcune decine. L'attentato è avvenuto pochi giorni prima dell'elezione da parte del Parlamento di Beirut del nuovo Capo dello Stato. Ma è avvenuto anche pochi giorni dopo il raid dell'aviazione israeliana che ha distrutto "qualcosa" nel territorio siriano. Attorno a questo raid regna il più assoluto riserbo tanto a Tel Aviv che a Damasco; questo non ha impedito ai commentatori americani e ai loro alleati europei di sbizzarrirsi nelle più mirabolanti ipotesi che vanno dall'incendio di un deposito di armi iraniane destinato agli Hezbollah, fino alla presenza in territorio siriano di materiale nucleare dismesso del Regime di Pyong Yang a seguito dell'accordo con Washington che prevede la rinuncia da parte del regime della Corea del Nord a cercare di dotarsi dell'arma atomica, e girato ai siriani in cambio di vil denaro. Naturalmente queste spiegazioni non sono accompagnate da alcuna prova di veridicità ma si basano sulla tavoletta neo-con sull'Asse del male e sulle "oggettive comunanza d'intenti" tra i regimi non amici degli USA in giro per la terra.
Un'altra coincidenza che non si dovrebbe dimenticare parlando di quest'attentato è quella con l'improvvisa accelerazione della crisi iraniana con le dichiarazioni sulla necessità di "prepararsi alla guerra in Iran" rilasciate dall'attuale Ministro degli Esteri di Parigi, Bernard Kouchner, socialista e fondatore dei "medici senza frontiere" ma legato strettamente a Washington. Tali dichiarazioni, non smentite successivamente dall'autore, e confermate dal silenzio del Presidente francese Sarkozy, a loro volta sono state rilasciate in previsione del discorso del Presidente iraniano appartenente all'estrema destra islamica Amhadinejad alla sessantaduesima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Un bell'intrico internazionale del quale la cosa più certa è il rafforzamento delle pressioni internazionali nei confronti dell'Iran e il costante lavorio ai fini dell'isolamento di Teheran capeggiato da Washington e Parigi, ma che trova alleati interessati nell'area, da Tel Aviv alle capitali arabe di orientamento sunnita che temono un Iran superpotenza regionale e guida per le popolazioni islamiche di tutta l'area. Lo stesso colpo alla Siria andrebbe visto in quest'ottica: a distanza di tre giorni dall'incursione dell'aviazione israeliana in territorio siriano il premier di Tel Aviv Olmert ha rilasciato delle incredibili dichiarazioni nelle quali si offriva a Damasco la pace e la restituzione di gran parte delle alture del Golan, occupate da Israele nel 1967 e oggi grande ostacolo sulla strada di un trattato di pace tra le due capitali. Per finire la Segretaria di Stato USA, Condoleeza Rice faceva capire che Damasco sarebbe stata probabilmente invitata alla conferenza di pace sulla Palestina che Washington ha intenzione di tenere nelle prime settimane di Novembre. Insomma un colpo di bastone e una carota per il Presidente Assad e per il suo regime, nemico degli americani, laico e nazionalista (la famiglia del Presidente appartiene all'Islam laico e progressista alawita), ma abbastanza pratico da accettare i necessari compromessi con l'Occidente, come l'alleanza con gli USA contro Saddam Hussein nel 1991 ha decisamente dimostrato. Vista da quest'ottica, i recenti avvenimenti assumono il carattere di azioni occidentali volte a isolare Teheran dall'unico alleato locale e, nel contempo utili a dimostrare a quest'ultimo la propria inferiorità militare e la necessità di restare neutrale davanti all'aggressione all'Iran.
Se questo è il quadro internazionale in cui matura l'attentato di Beirut, è necessario però collegare questo quadro agli avvenimenti locali che vedono l'autobomba cadere proprio nel momento utile per evitare un compromesso tra l'alleanza drusa, sunnita e maronita del premier Siniora e quella sciita con i maroniti nazionalisti di Michel Aoun, sul nome del prossimo Presidente della Repubblica. Quest'ultimo per la Costituzione dev'essere cristiano maronita, e secondo un patto di "coesione nazionale" varato tra le due fazioni, avrebbe dovuto essere eletto da due terzi del Parlamento. Questo compromesso andava incontro alle necessità dell'opposizione di evitare il confronto armato mantenendo però un potere di veto all'interno della complicata geografia etno-politica del paese dei Cedri. L'uccisione del deputato anti-siriano, quindi, è utile a chi nei due campi preferirebbe evitare ogni compromesso ed ogni patto che impedisca lo scivolare del paese in una nuova guerra civile che, a questo punto, sarebbe parte di una più generale guerra medio orientale che vedrebbe centinaia di migliaia di morti e lo sconvolgimento delle frontiere e degli equilibri oggi esistenti.
Gruppi filo-siriani legati a settori dei servizi segreti di Damasco che si oppongono alla linea di compromesso del Presidente Assad, piuttosto che l'inteligence di Tel Aviv o dei paesi occidentali più anti- siriani come USA e Francia, potrebbero essere gli autori di quest'omicidio, ma non si deve sottovalutare l'ipotesi che l'autobomba sia stata piazzata dagli uomini del partito Druso di Walid Jumblatt contrari ad ogni compromesso con l'opposizione. Certo che questa bomba scoppiata cinque giorni dopo che il Presidente sciita del Parlamento Berri (appartenente ad Amal e non ad Hezbollah) aveva proposto la "coesione nazionale" e il quorum dei due terzi, e quattro giorni dopo che il Patriarca maronita Sfeir, vero e proprio padre non solo spirituale della maggioranza aveva chiesto al governo di accettare la proposta, pare messa apposta per favorire il partito della guerra e per consentire agli USA di continuare il loro velleitario e distruttivo piano di "Nuovo Medio Oriente" che ha finora partorito la distruzione della comunità palestinese, l'invasione dell'Iraq e lo stato di collasso di paesi come il Libano e la Giordania.
Il rischio evidente che oggi quest'area del pianeta corre è quello di sprofondare in una sorta di guerra civile permanente alimentata dall'interesse neo coloniale dei paesi occidentali, e da quello degli USA della Gran Bretagna e della Francia in primo luogo, decisi ad appropriarsi delle richhezze energetiche locali o, in alternativa, a non lasciare a nessuno la possibilità di utilizzarle.

Giacomo Catrame

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