All'indomani del Concilio Vaticano II, che aveva recepito e fatte
proprie alcune istanze sociali progressiste, le frange clericali
più conservatrici sono state spiazzate e messe in minoranza dai
tanti che desideravano un rinnovamento radicale all'interno della
chiesa.
Da allora le cose sono evidentemente cambiate e il cammino percorso
dalle gerarchie e da parte del laicato per riportare ordine nella
chiesa è stato parallelo a quello compiuto dalla politica per
restaurare la "pace sociale".
In questa impresa reazionaria il nuovo papa ha giocato un ruolo
fondamentale, perseguitando già negli anni '80 alcuni teologi
dissidenti e tentando (con successi insperati) di omologare il pensiero
teologico attraverso l'azione sbirresca dell'ex Sant'Uffizio da lui
presieduto e la pubblicazione di alcuni documenti che hanno raggiunto
lo scopo di mettere in discussione l'autonomia della ricerca teologica.
Trent'anni di punizioni, minacce, sospensioni, scomuniche, non sono
trascorsi invano, e oggi le gerarchie vaticane sembrano essere riuscite
ad allontanare la teologia dal confronto con la vita reale,
restituendola alla speculazione sul sesso degli angeli che, sola,
garantisce uniformità e obbedienza al magistero papale.
In quanto italiani quello che succede nella chiesa ci interessa
perché, attraverso strade che non riguardano certo la
provvidenza divina, ma il ben più concreto controllo vaticano
sulla politica locale, le decisioni del clero, per quanto lontane anni
luce dalla pratica quotidiana della stragrande maggioranza della
popolazione, rischiano sempre di essere tramutate in legge.
Così non può non preoccuparci l'attenzione con la quale
il mondo politico guarda ai nuovi dictat che la chiesa, pacificata e
imbrigliata qualsiasi opposizione, è adesso in grado di lanciare
alla modernità tutta.
Il processo di revisione critica e di attacco alla modernità che
la chiesa vaticana ha partorito negli anni del tandem Wojtyla-Ratzinger
si è tradotto, per quello che ci riguarda, nel "progetto
culturale cristiano" che Ruini ha lanciato nel lontano settembre 1994,
quando tangentopoli aveva ormai spezzato l'unità politica dei
cattolici.
Il nuovo scenario creatosi all'indomani della fine dei grandi partiti
politici italiani del dopoguerra è stato interpretato dalla CEI
come "occasione" e non solo come sconfitta di un modello di presenza
dei cattolici in politica.
Dal '94, appunto, Ruini ha continuamente ribadito la necessità
di uniformità della chiesa, alla quale si doveva affiancare, di
fatto, l'uniformità di una società che sembrava sfuggita
di mano al pensiero unico di matrice clericale.
La divisione dei cattolici all'interno dei blocchi di centro destra e
centrosinistra è diventata occasione per la proposta sempre
più aggressiva del "progetto culturale", costringendo, per di
più, il centrosinistra nel ruolo di bambino discolo tenuto
sempre a scusarsi per il permanere al proprio interno di quelle frange
di "estremisti" che ancora sognano un nuovo umanesimo, a fronte
dell'imbarbarimento sociale cui assistiamo attoniti.
Mentre la sinistra riceve continue bacchettate e viene messa in castigo
dietro la lavagna, la destra invece si mostra il partner per eccellenza
della reazione clericale, svendendo a ogni piè sospinto, e senza
la minima vergogna, il proprio, presunto, patrimonio liberale.
Obiettivo del progetto culturale, al di là delle dichiarazioni
"antipolitiche" di facciata dello stesso Ruini, che da sempre lo ha
caldeggiato e che continua a propinarlo attraverso la mimica del
proprio clone Bagnasco, di fatto si sposa perfettamente con la visione
del mondo delle destre e del nuovo papa, e con il desiderio di questi
di farla finita con i pensieri deboli che attraversano la pratica
quotidiana (non sempre la mente) dei contemporanei, storditi da una
libertà sempre più virtuale, sempre più costruita
a tavolino.
Le tematiche, le urgenze del vaticano, pienamente recepite dal progetto
culturale dei vescovi italiani, sono arcinote: rivedere la legge
sull'aborto, impedire una legislazione laica sull'eutanasia e le
staminali, continuare a ghettizzare gli omosessuali e impedire i PACS,
rilanciare una visione del mondo negativa e monolitica.
Questo è il progetto culturale, in quest'ottica CEI e papa si
sono incontrati in quello che si sta rivelando un abbraccio liberticida
in grado di soffocare la nostra società.
In Italia i frutti del nuovo conformismo clericale si sono visti in
occasione del referendum sulla fecondazione assistita, quando Ruini
è stato capace di coordinare una rete vastissima di
associazioni, parrocchie, movimenti, che in sinergia hanno lavorato per
il fallimento del referendum e che sono stati incredibilmente
rafforzati dalla vittoria che un mondo laico, poco consapevole della
propria debolezza, ha loro offerto su di un piatto d'argento.
La società papalina ha ritrovato in questo modo una compattezza
che sembrava aver perso in occasione di divorzio e aborto, quando
tantissimi cattolici avevano voltato le spalle alle proprie gerarchie.
Se in Italia si piange, altrove non c'è sicuramente da ridere.
Dove non arriva il progetto culturale della CEI, arriva però la
"Congregazione per la Dottrina della Fede" che, utilizzando il fatidico
documento "Dominus Jesus", scritto da Ratzinger nel 2000 e da questi
utilizzato per impedire l'autonomia dei teologi e imporre il pensiero
unico vaticano alla chiesa tutta, ha messo sotto processo l'ennesimo
teologo, Peter C. Phan.
Lo studioso è accusato di annacquare i principi cristiani, in
quanto sostenitore di una concezione interreligiosa che non metterebbe
sufficientemente in luce la centralità di Cristo.
In pratica il povero teologo pensa che anche nelle altre religioni ci
sia salvezza, ma questo pensiero considerato debole, relativista e
"calabrache", non piace alla wehrmacht vaticana agli ordini di
Benedetto alle crociate.
Sempre rispetto allo scenario USA, il solito Sant'Uffizio si è
appena pronunciato in merito a due domande poste dalla conferenza
episcopale statunitense e sorte dal dibattito scatenato dal caso
dell'americana Terri Schiavo, cui era stata interrotta l'alimentazione
artificiale dopo quindici anni di vita vegetativa.
Le domande erano circa l'obbligatorietà della somministrazione
di cibo e acqua al paziente in stato vegetativo (la congregazione
risponde di sì, ovviamente), e la possibilità di
sospendere cibo e acqua al paziente in stato vegetativo quando i medici
hanno accertato che non recupererà mai la coscienza (indovinate?
La congregazione risponde di no).
Ora, in questo accanimento psicologico e materiale che la curia romana
sta scatenando contro gli esseri umani e la loro libertà
c'è una cosa che sorprende: la chiesa non ha mai veramente
considerato la vita umana come un valore assoluto. Mai.
La chiesa ha sempre ucciso, torturato, sostenuto guerre, alleanze
politico-militari. Coccola i militari, mantiene nel proprio catechismo
(quello di Ratzinger) pena di morte e guerra giusta.
Per i papi la vita umana di fatto non è assoluta e questo
principio non è altro che una vuota affermazione, negata
sistematicamente dalla necessità di rinnovare l'alleanza che la
chiesa, fin dai primi secoli della sua esistenza, ha stretto con i
poteri forti.
I compromessi cui la chiesa è scesa hanno riguardato soprattutto
la necessità di negare o annacquare la dottrina della
non-violenza, che i cristiani hanno sempre tradito e che solo Tolstoj
avrà il coraggio, dopo due millenni di violenze e infamie
clericali, di riesumare, subendo la scomunica della chiesa ortodossa.
Il concetto di vita assoluta, di vita che addirittura dal momento del
concepimento diviene sacra, non è altro che un feticcio, un
simulacro di verità dietro la quale si nascondono coloro che,
ammantati dei migliori sentimenti, stanno di nuovo rigettando
l'umanità nel baratro dell'universalismo cattolico, nel pozzo
nero del pensiero pre-rinascimentale di una religiosità che ogni
giorno di più si fa pervasiva.
La vita come valore assoluto è il paravento che permette ai
papisti, e a tutta la classe politica trasversale che li rappresenta,
di mettere in discussione la possibilità della scelta
individuale, la possibilità stessa, cioè, di esercitare
delle opzioni morali alla luce di un'etica laica e progredita. I
diritti individuali, che tanto la politica contemporanea sembra
garantire, sono in realtà ciò che più i poteri
forti temono, perché l'esercizio di questi è una palestra
di libertà frequentata la quale gli esseri umani vengono con
più fatica restituiti a quel ruolo gregario cui sempre li si
vorrebbe costretti.
A chi ancora non crede nella capacità della chiesa di
contribuire decisamente all'involuzione della società tutta, a
chi pensa che la storia vada avanti su di una direttrice progressiva ed
evolutiva, non resta che ricordare come nel tempo la chiesa è
stata capace di inventare nemici, streghe, saraceni, crociate e roghi,
come l'involuzione sociale sia stata una pratica corrente del
cristianesimo, capace di vere e proprie conversioni alla barbarie, che
queste si compissero dietro l'impulso del malleus maleficarum o del
fanatico predicatore di crociate.
La stessa capacità involutiva è presente e possiamo
vederla all'opera nella religione musulmana, all'interno della quale
assistiamo ad una progressiva radicalizzazione di contenuti e pratiche
oscurantiste e dove le giovani generazioni recuperano la simbolica, gli
abbigliamenti, gli atteggiamenti che le vecchie sembravano aver
rifiutato in nome di una modernizzazione pluralista.
Resta quindi, oggi più che mai, la necessità di seguire
con attenzione le mosse che le gerarchie sociali, laiche o clericali
che siano, compiono.
La libertà non è mai conquistata una volta per tutte,
è la posta in gioco nella lotta quotidiana tra potere e
contropotere.
Paolo Iervese