Umanità Nova, n.31 del 7 ottobre 2007, anno 87

La sferza di Benedetto XVI. Attacco alla modernità



All'indomani del Concilio Vaticano II, che aveva recepito e fatte proprie alcune istanze sociali progressiste, le frange clericali più conservatrici sono state spiazzate e messe in minoranza dai tanti che desideravano un rinnovamento radicale all'interno della chiesa.
Da allora le cose sono evidentemente cambiate e il cammino percorso dalle gerarchie e da parte del laicato per riportare ordine nella chiesa è stato parallelo a quello compiuto dalla politica per restaurare la "pace sociale".
In questa impresa reazionaria il nuovo papa ha giocato un ruolo fondamentale, perseguitando già negli anni '80 alcuni teologi dissidenti e tentando (con successi insperati) di omologare il pensiero teologico attraverso l'azione sbirresca dell'ex Sant'Uffizio da lui presieduto e la pubblicazione di alcuni documenti che hanno raggiunto lo scopo di mettere in discussione l'autonomia della ricerca teologica.
Trent'anni di punizioni, minacce, sospensioni, scomuniche, non sono trascorsi invano, e oggi le gerarchie vaticane sembrano essere riuscite ad allontanare la teologia dal confronto con la vita reale, restituendola alla speculazione sul sesso degli angeli che, sola, garantisce uniformità e obbedienza al magistero papale.
In quanto italiani quello che succede nella chiesa ci interessa perché, attraverso strade che non riguardano certo la provvidenza divina, ma il ben più concreto controllo vaticano sulla politica locale, le decisioni del clero, per quanto lontane anni luce dalla pratica quotidiana della stragrande maggioranza della popolazione, rischiano sempre di essere tramutate in legge.
Così non può non preoccuparci l'attenzione con la quale il mondo politico guarda ai nuovi dictat che la chiesa, pacificata e imbrigliata qualsiasi opposizione, è adesso in grado di lanciare alla modernità tutta.
Il processo di revisione critica e di attacco alla modernità che la chiesa vaticana ha partorito negli anni del tandem Wojtyla-Ratzinger si è tradotto, per quello che ci riguarda, nel "progetto culturale cristiano" che Ruini ha lanciato nel lontano settembre 1994, quando tangentopoli aveva ormai spezzato l'unità politica dei cattolici.
Il nuovo scenario creatosi all'indomani della fine dei grandi partiti politici italiani del dopoguerra è stato interpretato dalla CEI come "occasione" e non solo come sconfitta di un modello di presenza dei cattolici in politica.
Dal '94, appunto, Ruini ha continuamente ribadito la necessità di uniformità della chiesa, alla quale si doveva affiancare, di fatto, l'uniformità di una società che sembrava sfuggita di mano al pensiero unico di matrice clericale.
La divisione dei cattolici all'interno dei blocchi di centro destra e centrosinistra è diventata occasione per la proposta sempre più aggressiva del "progetto culturale", costringendo, per di più, il centrosinistra nel ruolo di bambino discolo tenuto sempre a scusarsi per il permanere al proprio interno di quelle frange di "estremisti" che ancora sognano un nuovo umanesimo, a fronte dell'imbarbarimento sociale cui assistiamo attoniti.
Mentre la sinistra riceve continue bacchettate e viene messa in castigo dietro la lavagna, la destra invece si mostra il partner per eccellenza della reazione clericale, svendendo a ogni piè sospinto, e senza la minima vergogna, il proprio, presunto, patrimonio liberale.
Obiettivo del progetto culturale, al di là delle dichiarazioni "antipolitiche" di facciata dello stesso Ruini, che da sempre lo ha caldeggiato e che continua a propinarlo attraverso la mimica del proprio clone Bagnasco, di fatto si sposa perfettamente con la visione del mondo delle destre e del nuovo papa, e con il desiderio di questi di farla finita con i pensieri deboli che attraversano la pratica quotidiana (non sempre la mente) dei contemporanei, storditi da una libertà sempre più virtuale, sempre più costruita a tavolino.
Le tematiche, le urgenze del vaticano, pienamente recepite dal progetto culturale dei vescovi italiani, sono arcinote: rivedere la legge sull'aborto, impedire una legislazione laica sull'eutanasia e le staminali, continuare a ghettizzare gli omosessuali e impedire i PACS, rilanciare una visione del mondo negativa e monolitica.
Questo è il progetto culturale, in quest'ottica CEI e papa si sono incontrati in quello che si sta rivelando un abbraccio liberticida in grado di soffocare la nostra società.
In Italia i frutti del nuovo conformismo clericale si sono visti in occasione del referendum sulla fecondazione assistita, quando Ruini è stato capace di coordinare una rete vastissima di associazioni, parrocchie, movimenti, che in sinergia hanno lavorato per il fallimento del referendum e che sono stati incredibilmente rafforzati dalla vittoria che un mondo laico, poco consapevole della propria debolezza, ha loro offerto su di un piatto d'argento.
La società papalina ha ritrovato in questo modo una compattezza che sembrava aver perso in occasione di divorzio e aborto, quando tantissimi cattolici avevano voltato le spalle alle proprie gerarchie.
Se in Italia si piange, altrove non c'è sicuramente da ridere.
Dove non arriva il progetto culturale della CEI, arriva però la "Congregazione per la Dottrina della Fede" che, utilizzando il fatidico documento "Dominus Jesus", scritto da Ratzinger nel 2000 e da questi utilizzato per impedire l'autonomia dei teologi e imporre il pensiero unico vaticano alla chiesa tutta, ha messo sotto processo l'ennesimo teologo, Peter C. Phan.
Lo studioso è accusato di annacquare i principi cristiani, in quanto sostenitore di una concezione interreligiosa che non metterebbe sufficientemente in luce la centralità di Cristo.
In pratica il povero teologo pensa che anche nelle altre religioni ci sia salvezza, ma questo pensiero considerato debole, relativista e "calabrache", non piace alla wehrmacht vaticana agli ordini di Benedetto alle crociate.
Sempre rispetto allo scenario USA, il solito Sant'Uffizio si è appena pronunciato in merito a due domande poste dalla conferenza episcopale statunitense e sorte dal dibattito scatenato dal caso dell'americana Terri Schiavo, cui era stata interrotta l'alimentazione artificiale dopo quindici anni di vita vegetativa.
Le domande erano circa l'obbligatorietà della somministrazione di cibo e acqua al paziente in stato vegetativo (la congregazione risponde di sì, ovviamente), e la possibilità di sospendere cibo e acqua al paziente in stato vegetativo quando i medici hanno accertato che non recupererà mai la coscienza (indovinate? La congregazione risponde di no).
Ora, in questo accanimento psicologico e materiale che la curia romana sta scatenando contro gli esseri umani e la loro libertà c'è una cosa che sorprende: la chiesa non ha mai veramente considerato la vita umana come un valore assoluto. Mai.
La chiesa ha sempre ucciso, torturato, sostenuto guerre, alleanze politico-militari. Coccola i militari, mantiene nel proprio catechismo (quello di Ratzinger) pena di morte e guerra giusta.
Per i papi la vita umana di fatto non è assoluta e questo principio non è altro che una vuota affermazione, negata sistematicamente dalla necessità di rinnovare l'alleanza che la chiesa, fin dai primi secoli della sua esistenza, ha stretto con i poteri forti.
I compromessi cui la chiesa è scesa hanno riguardato soprattutto la necessità di negare o annacquare la dottrina della non-violenza, che i cristiani hanno sempre tradito e che solo Tolstoj avrà il coraggio, dopo due millenni di violenze e infamie clericali, di riesumare, subendo la scomunica della chiesa ortodossa.
Il concetto di vita assoluta, di vita che addirittura dal momento del concepimento diviene sacra, non è altro che un feticcio, un simulacro di verità dietro la quale si nascondono coloro che, ammantati dei migliori sentimenti, stanno di nuovo rigettando l'umanità nel baratro dell'universalismo cattolico, nel pozzo nero del pensiero pre-rinascimentale di una religiosità che ogni giorno di più si fa pervasiva.
La vita come valore assoluto è il paravento che permette ai papisti, e a tutta la classe politica trasversale che li rappresenta, di mettere in discussione la possibilità della scelta individuale, la possibilità stessa, cioè, di esercitare delle opzioni morali alla luce di un'etica laica e progredita. I diritti individuali, che tanto la politica contemporanea sembra garantire, sono in realtà ciò che più i poteri forti temono, perché l'esercizio di questi è una palestra di libertà frequentata la quale gli esseri umani vengono con più fatica restituiti a quel ruolo gregario cui sempre li si vorrebbe costretti.
A chi ancora non crede nella capacità della chiesa di contribuire decisamente all'involuzione della società tutta, a chi pensa che la storia vada avanti su di una direttrice progressiva ed evolutiva, non resta che ricordare come nel tempo la chiesa è stata capace di inventare nemici, streghe, saraceni, crociate e roghi, come l'involuzione sociale sia stata una pratica corrente del cristianesimo, capace di vere e proprie conversioni alla barbarie, che queste si compissero dietro l'impulso del malleus maleficarum o del fanatico predicatore di crociate.
La stessa capacità involutiva è presente e possiamo vederla all'opera nella religione musulmana, all'interno della quale assistiamo ad una progressiva radicalizzazione di contenuti e pratiche oscurantiste e dove le giovani generazioni recuperano la simbolica, gli abbigliamenti, gli atteggiamenti che le vecchie sembravano aver rifiutato in nome di una modernizzazione pluralista.
Resta quindi, oggi più che mai, la necessità di seguire con attenzione le mosse che le gerarchie sociali, laiche o clericali che siano, compiono.
La libertà non è mai conquistata una volta per tutte, è la posta in gioco nella lotta quotidiana tra potere e contropotere.

Paolo Iervese

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