Come è noto, un segno certo di crisi sociale è
l'intrecciarsi di tensioni dal basso e di conflitti interni alle
élite dominanti. Infatti, se è vero che le classi
dominanti tendono a fare blocco a fronte di rivendicazioni radicali di
quelle subalterne, è altrettanto vero che il conflitto di classe
accentua le difficoltà dei gruppi dominanti a far funzionare
ordinatamente la macchina del dominio.
In situazioni del genere, le iniziative del blocco dominante o di sue
frazioni particolari possono determinare contraccolpi imprevisti e
nocive agli stessi che le promuovono.
Se, come nella situazione presente, si intreccia una forte tensione
antifiscale che unifica, in qualche modo lavoro autonomo, lavoro
dipendente e lo stesso sistema delle imprese con una domanda di salario
e di reddito da parte del lavoro dipendente, se la classe politica
è caduta nel discredito generale e si mostra incapace, in una
qualche misura, di mediare le pressioni contrastanti che subisce e le
sue stesse lacerazioni interne, se lo stesso, più robusto,
apparato sindacale deve fare i conti con una serie di pressioni sul
fronte salariale è evidente che siamo in una classica situazione
di crisi.
Naturalmente crisi non vuol dire affatto che si diano meccanicamente
possibilità di sviluppo di conflitto aperto, al contrario
è assolutamente possibile che se ne esca mediante una qualche
razionalizzazione del dominio a scapito delle sue frazioni meno
adeguate alla fase che attraversiamo ma è altrettanto evidente
che le fasi di crisi aprono prospettive interessanti alla critica
radicale dell'esistente.
Può essere interessante, in fasi come l'attuale, ragionare sui
controfuochi che frazioni dell'élite possono attivare.
Abbiamo, nel periodo passato, assistito a varie ed interessanti operazioni.
- l'indizione da parte della sinistra della maggioranza di una
manifestazione a favore e contro il governo per il 20 ottobre. Un caso
di manifestazione schizofrenica come raramente se ne sono viste;
- l'adozione di misure blandamente, assai blandamente, antifiscali in
finanziaria da parte del governo intrecciate a qualche operazione di
moralizzazione della classe politica;
- la richiesta, da parte della confindustria, di tagliare le tasse sui
salari in modo da ridurre la pressione dei lavoratori sulle imprese;
- l'indizione, miracolo della democrazia reale, da parte di CGIL-CISL-UIL sugli accordi presi a luglio con il governo.
È, insomma, evidente, lo sforzo di dare sfogo, in direzione
democratica, alla tensione che sale dal basso. Una presa di posizione,
un voto, una promessa, uno schiaffo ed una carezza non si negano a
nessuno.
D'altro canto, piaccia o meno a lor signori, milioni di lavoratori e
diverse importanti categorie sono in attesa della chiusura di contratti
importanti e la questione è assolutamente centrale in questo
periodo.
CGIL-CISL-UIL hanno, di conseguenza, deciso, almeno nel settore del
pubblico impiego e della scuola, di mostrare la faccia feroce e, visto
che la contrattazione non si chiudeva, di chiamare i lavoratori allo
sciopero.
È interessante rilevare che l'indizione di sciopero per il
pubblico impiego era per venerdì 26 ottobre e, per la scuola,
per sabato 27 ottobre. Non si è, di conseguenza, nemmeno
ipotizzata l'unificazione dei lavoratori e si è corteggiata una
dimensione corporativa che i sindacati istituzionali denunciano con
forza quando settori di lavoratori entrano in lotta sfuggendo al loro
controllo. Per di più, indire lo sciopero della scuola il sabato
significa, in partenza, coinvolgere circa la metà del personale.
Insomma, un'indizione di sciopero meramente formale che tale si
è compiutamente dimostrata con la firma di un contratto della
scuola. Lo sciopero della scuola di CGIL-CISL-UIL è, a questo
punto scomparso nei cieli d'Albania.
Si tratterà ora di entrare nel merito di un contratto che non
recupera l'inflazione e non garantisce, non è una novità,
nemmeno il recupero dell'inflazione mentre, e questa è una
parziale novità, non copre nemmeno gli arretrati normalmente
previsti dai contratti.
Questo a livello categoriale mentre è aperta la vertenza generale su salari, pensioni, welfare.
Vedremo nei fatti se i controfuochi che i diversi soggetti
istituzionali hanno messo in campo funzioneranno o saranno, come a
volte capita, fonte di estensione dell'incendio.
Cosimo Scarinzi