Umanità Nova, n.32 del 14 ottobre 2007, anno 87

Birmania: San Patrignano dalla parte dei militari. Mostri del proibizionismo



A parte i soliti fanatici marxisti-leninisti irriducibilmente fedeli al motto infantile "i nemici dei miei nemici sono i miei amici" che si sono scoperti dalla parte dei militari birmani appena questi sono stati criticati moderatamente dal Governo USA, proprio nei giorni in cui venivano scatenate la violenza e la repressione a Rangoon e nelle altre principali città del paese, la giunta birmana ha trovato altri amici in Italia: i torturatori del lager di San Patrignano. Sul suo sito e attraverso un comunicato-stampa, la Comunità di San Patrignano ha invitato a non demonizzare il governo birmano ed ha elogiato la dittatura del Myanmar per i risultati ottenuti contro il traffico di droga. Negli ultimi anni, le coltivazioni di oppio sarebbero infatti diminuite dell'80%, grazie anche ai finanziamenti delle Nazioni Unite.
I metodi e i risultati della Junta birmana nella lotta al narcotraffico sono stati così efficacemente riassunti dal sito droghe.aduc.it:
"- sospetti narcotrafficanti torturati e uccisi dagli agenti antinarcotici;
- il Governo lascia che alcuni capi del narcotraffico continuino a produrre oppio in cambio di un loro aiuto a reprimere la resistenza;
- eradicazione selettiva, ovvero eradicazione esclusiva dei coltivatori nelle zone in cui operano organizzazioni antigovernative;
- campi espropriati a contadini ora coltivati da ex ufficiali dell'esercito;
- su 22 cittadine dichiarate "liberate da oppio" da Governo e Unodc (l'agenzia Onu sulledroghe), almeno 11 continuano a coltivarlo;
- se una città viene liberata dall'oppio, le altre vicine cominciano a produrre lontano dagli occhi dell'Unodc;
- esodo di massa di contadini dalle aree che rientrano nel progetto delle Nazioni Unite sulle colture alternative a causa dell'imposizione di tasse troppo alte (The Transnational Institute). Secondo l'Onu ed il Governo Usa, sarebbero un milioni i rifugiati nei Paesi limitrofi e all'interno del Paese;
- il Myanmar ha il più alto numero di bambini soldati al mondo (Rapporto Onu);
- I bambini soldato partono dall'età di 11 anni (Human Rights Watch);
- Il 20 percento dell'esercito è composto di minori (Coalition to Stop the Use of Child Soldiers);
- uso militare della violenza sessuale su donne e bambini come strumento di repressione;
- la produzione di metanfetamine, prodotte in laboratori nascosti, continua a crescere;
- per tre anni consecutivi, la Casa Bianca giudica gli sforzi antidroga della dittatura di Burma "dimostrabilmente falliti", e definisce il Paese uno dei maggiori centri del narcotraffico al mondo;
- lo stesso programma dell'Unodc che oggi finanzia le colture alternative in Myanmar, ha finanziato per anni la dittatura talebana in Afganistan (oggi il primo produttore di oppio al mondo);
- servizi segreti militari coinvolti nel narcotraffico;
- arresti e tortura dei familiari dei contadini per "incoraggiarli" a scegliere colture alternative all'oppio;
- arresto di giovani donne che hanno denunciato violenze sessuali dei soldati".
È comprensibile che i metodi del regime birmano (che ogni anno celebra con un grande falò di sostanze sequestrate e parate militari il suo impegno contro il narcotraffico) piacciano a quelli di San Patrignano. In fin dei conti, la storia della comunità "terapeutica" fondata da Vincenzo Muccioli è la storia delle torture, delle botte, degli stupri, dei metodi più crudeli di lavaggio del cervello e di privazione della dignità umana di cui hanno dato testimonianza decine di inchieste giornalistiche e giudiziarie.

Nel nome della guerra alla droga ogni crudeltà può essere giustificata. Il 26 giugno scorso, in occasione della celebrazione della Giornata Internazionale contro le Droghe, la Rete asiatica contro la Pena di Morte (ADPAN), membro di Amnesty International, ha espresso la sua crescente preoccupazione per il fatto che in vari Paesi di Asia e Oceania, la pena di morte venga comminata più per reati legati alla droga che per altri delitti, quando la tendenza mondiale è di limitare la pena capitale. Sono 16 i Paesi dell'Asia e del Pacifico che applicano la pena di morte per reati di traffico e possesso di droghe e non esistono peraltro prove convincenti che questi metodi abbiano prodotto un calo nel consumo e nel traffico di stupefacenti. In Cina, per esempio, le cifre della polizia mostrano che il numero di consumatori è aumentato del 35% tra il 2000 e il 2005. In Vietnam, la BBC ha citato un funzionario, il quale ha dichiarato che, nel 2005, la quantità di droga sequestrata dai servizi doganali è aumentata del 400% sul 2004, malgrado l'uso della pena di morte.
Poiché in molti Paesi dell'Asia la pena capitale è circondata dal segreto, non si può sapere esattamente quante siano le condanne eseguite per reati legati alla droga, ma numerosi rapporti dimostrerebbero che nei Paesi del Sudest Asiatico come Indonesia, Malaysia, Singapore, Thailandia e Vietnam, la maggioranza dei casi di pena di morte sono legati alla droga. Inoltre, nel Brunei, in India, Laos, Thailandia, Corea del Nord, Singapore e Malaysia, la pena capitale è obbligatoria per alcuni reati di droga, ciò che impedisce ai giudici di tener conto delle circostanze attenuanti. Addirittura Malaysia, Cina e Singapore, non applicano la presunzione d'innocenza ai reati legati alla droga, bensì la presunzione di colpevolezza. In Cina, le autorità negli ultimi anni hanno approfittato della Giornata Internazionale contro le Droghe per realizzare un gran numero di esecuzioni. Tra il 13 e il 26 giugno del 2006, Amnesty International ne ha registrate 55 per reati di droga.
Tutto questo avviene nella più totale indifferenza dei governi del cosiddetto Occidente che quando parla di esportazione dei diritti umani, intende dire bombardamenti e tappeto e invasioni militari. Solo pochi mesi fa, al termine di una visita di tre giorni in Iran, Antonio Maria Costa, direttore dell'Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (Unodc), ha riempito di apprezzamenti il Governo di quel Paese (dove coloro che sono accusati di traffico di droga vengono impiccati pubblicamente nelle piazze) proprio per l'impegno nella lotta al narcotraffico. D'altra parte anche in Italia, con la Legge Fini attualmente in vigore la pena da 6 a 20 anni (che può essere ridotta a da uno a 6 anni se il giudice a propria totale discrezione stabilisce che si tratta di "fatti di lieve entità") per la detenzione di tutte le droghe proibite supera quelle previste dal Codice Penale per reati come il tentato omicidio, lo stupro e le lesioni gravissime...

robertino

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