L'ultimo fine settimana ci ha offerto uno spaccato assai inquietante
e rappresentativo della tensione autoritaria che serpeggia nel paese.
Il Partito democratico si è finalmente dato il proprio leader,
ponendo fine a quell'insostenibile farsa della campagna elettorale
interna. Veltroni ha vinto, facendo man bassa di voti, e si propone
come salvatore della patria, nonché del centrosinistra. L'ultimo
atto della ributtante melassa buonista della campagna veltroniana
è stato il pranzo organizzato a casa di una famiglia operaia di
Barriera di Milano, popolare quartiere di Torino. Otto antipasti, un
primo, un secondo con due contorni e tre dolci per un menù
calabro-piemontese rigorosamente fatto in casa.
Ex operaio Fiat lui, ex operatrice scolastica lei, tre figli e tanta
voglia di guadagnarsi il quarto d'ora di celebrità: «Siamo
molto emozionati perché è una cosa che capita una volta
nella vita e siamo orgogliosi di essere stati scelti. Siamo consapevoli
di essere per qualche ora la famiglia più famosa
d'Italia». Il pacioso Veltroni ha ovviamente rincarato la dose e,
tra un affettato, una salsiccia e un vitello tonnato, si è
lanciato nell'improbabile affermazione secondo cui il Partito
democratico è «un luogo dove si trova la vita vera della
gente, non un luogo virtuale o astratto come spesso oggi è
diventata la politica». Sarà. Per il momento, la
vertiginosa caduta di stile del pranzo in una casa operaia ci fa
pensare a un uso della propaganda politica incredibilmente vecchio e
intrinsecamente autoritario: il leader si mischia per mezzora tra i
comuni mortali, condivide con loro la mensa, e li fa assurgere a
prototipo del paese reale per dimostrare di saperne interpretare i
bisogni in nome di una matrice comune. Il nostro ricordo corre
immediatamente a filmati in bianco e nero in cui dittatori pelati o
baffuti abbracciano bambini, impugnano picconi, ingurgitano bevande e
stringono mani qua e là. Questa cos'è?
Politica o antipolitica?
E dire che qualche ora dopo, mentre Veltroni digeriva i manicaretti
democratici, proprio ai margini di quel quartiere di Torino un terreno
abitato da Rom sarebbe stato dato alle fiamme a coronamento di un
periodo assai difficile per queste persone, costantemente minacciate di
sgombero e nel mirino repressivo del governo (di centrosinistra) del
capoluogo piemontese.
Sull'altra sponda del teatrino politico, i fascisti hanno fatto la loro
prova di forza. Centinaia di migliaia di persone hanno risposto
all'appello di Alleanza nazionale per una manifestazione contro il
governo Prodi i cui contenuti principali erano quelli di sempre:
più repressione e meno tasse. Molte le celtiche, i saluti romani
e tutto l'armamentario estetico-ideologico dei fascisti di casa nostra,
ma – nonostante tutto questo – i media non vi si sono
soffermati più di tanto a dimostrazione di uno sdoganamento
permanente di questi loschi figuri. Con questa mobilitazione, Fini
& C. hanno lanciato un chiaro segnale politico a Berlusconi e agli
altri alleati in vista di un regolamento di conti interno alla
coalizione di centrodestra per la ridefinizione dei poteri e della
leadership.
È stato proprio un brutto weekend in cui tutti hanno vinto, ma
dal quale buon senso e spirito critico sono usciti con le ossa rotte.
TAZ laboratorio di comunicazione libertaria