Umanità Nova, n.34 del 28 ottobre 2007, anno 87

Vaticano. Beati i franchisti


Fra poco festa grande in Vaticano. E anche in Spagna non saranno in pochi, c'è da crederci, a festeggiare. A fine mese, infatti, Benedetto XVI, per non essere da meno del predecessore, primatista incontrastato nella specialità del "santo triplo", promuoverà un'altra inforcata di santi e beati spagnoli – si parla di cinquecento – tutti, non c'è bisogno di dirlo, "vittime incolpevoli" anche se spesso armate di tutto punto, del popolo spagnolo, che cercò di liberarsi, estirpando il male alla radice, dell'influenza sulla vita del paese esercitata dal clero più retrivo, oppressivo e feroce dell'Europa intera.
Stando a quanto si è potuto leggere nei giornali, tale dichiarata intenzione di santificare questi cinquecento preti e religiosi uccisi nei primi giorni della vittoriosa risposta alla sollevazione di Franco e dei suoi macellai, si inserisce provocatoriamente all'interno di una crisi, per ora latente ma pronta a manifestarsi più apertamente, tra il governo Zapatero e la Conferenza episcopale spagnola. Crisi che si sta manifestando anche nella decisione governativa di cancellare la memoria di Franco e del franchismo dalla toponomastica, rendendo, per decreto, illegittima ogni intestazione di strade o aree pubbliche al passato regime.
Come si sa, da un punto di vista formale, e non solo formale ovviamente, il "movimiento" dei generali fu un'operazione, del tutto illegittima, che trovò le sue ragioni soprattutto nell'insopprimibile istinto di conservazione di una casta ottusa e chiusa, non solo a qualsiasi accenno di progresso, ma anche a qualsiasi forma di umanità. Chi, all'interno dello schieramento reazionario, era mosso da qualcosa che non fosse solo il più gretto interesse, ma da quello che, con benevolo eufemismo, potremmo definire "ideale", intendeva per tale solamente l'oscuro desiderio di riportare l'intera società sotto la efficace cappa tenebrosa delle gerarchie ecclesiastiche, per le quali cilicio e scapolari rappresentavano il massimo di ogni aspirazione.
Naturale quindi che tale sollevazione, ancorché illegittima, venne benedetta, appoggiata e santificata da tutti i vescovi spagnoli – solo uno fra loro si astenne - giustamente terrorizzati all'idea di vedere in pericolo non solo onori e prebende ma anche il ruolo fino a quel momento di loro competenza. Si parlò di "crociata" e certo non a caso, sapendo bene di quali efferatezze siano state testimoni le crociate nella storia. Altrettanto naturale, di conseguenza, che un proletariato cosciente, definitivamente emancipato dalla mefitica influenza clericale, abbia cercato, e in un primo momento ci sia felicemente riuscito, a neutralizzare radicalmente i tentativi di ricacciare nel buio l'intera società.
La guerra civile spagnola, così come la rivoluzione che prese corpo in quegli anni, fu indubbiamente uno degli episodi più tragici, in perdite umane, della storia di questi ultimi secoli. Non v'è bisogno di ricordare quanto sia stata alta la posta in gioco, quanto dura la lotta fra gli aneliti di libertà e solidarietà, di cui gli anarchici e i libertari furono sinceri sostenitori, e le feroci trame oppressive del potere che aveva ininterrottamente soggiogato la Spagna. E quanto fu "definitiva" la volontà, da una parte e dall'altra, di impedire la vittoria del nemico. Non poteva essere diversamente, quindi, che questa volontà si esprimesse come una forza incontenibile e sconvolgente: da una parte un popolo che finalmente riprende in mano, armi in pugno, il proprio destino e la propria libertà, troppo a lungo delegati a cacicchi e señoritos, e dall'altra un potere oligarchico e feudale determinato a soffocare in un bagno di sangue la "rivolta degli straccioni".
L'intenzione vaticana di innalzare alla gloria degli altari i religiosi caduti combattendo militarmente, e quella governativa – che vorremmo, ma non possiamo, giudicare in buona fede - di stabilire per decreto cosa è legittimo e cosa no, non sono che la manifestazione speculare di uno stesso disegno, che pur partendo da prospettive opposte, alla fin dei conti insegue lo stesso fine: la mistificazione e cancellazione del portato rivoluzionario e antiautoritario che caratterizzò, a differenza di tutte le altre guerre civili, la guerra civile spagnola. Ci sembra perfettamente naturale, dunque, che l'impeto antiautoritario che mise con le spalle al muro potere laico e potere religioso, potere dello Stato e potere della Chiesa, continui a turbare i sonni di quanti rappresentano oggi, a distanza di settant'anni, le stesse istanze di allora. Quelle che, in una parentesi straordinaria, furono cancellate in nome della libertà.

MoM

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