Fra poco festa grande in Vaticano. E anche in Spagna non saranno in
pochi, c'è da crederci, a festeggiare. A fine mese, infatti,
Benedetto XVI, per non essere da meno del predecessore, primatista
incontrastato nella specialità del "santo triplo",
promuoverà un'altra inforcata di santi e beati spagnoli –
si parla di cinquecento – tutti, non c'è bisogno di dirlo,
"vittime incolpevoli" anche se spesso armate di tutto punto, del popolo
spagnolo, che cercò di liberarsi, estirpando il male alla
radice, dell'influenza sulla vita del paese esercitata dal clero
più retrivo, oppressivo e feroce dell'Europa intera.
Stando a quanto si è potuto leggere nei giornali, tale
dichiarata intenzione di santificare questi cinquecento preti e
religiosi uccisi nei primi giorni della vittoriosa risposta alla
sollevazione di Franco e dei suoi macellai, si inserisce
provocatoriamente all'interno di una crisi, per ora latente ma pronta a
manifestarsi più apertamente, tra il governo Zapatero e la
Conferenza episcopale spagnola. Crisi che si sta manifestando anche
nella decisione governativa di cancellare la memoria di Franco e del
franchismo dalla toponomastica, rendendo, per decreto, illegittima ogni
intestazione di strade o aree pubbliche al passato regime.
Come si sa, da un punto di vista formale, e non solo formale
ovviamente, il "movimiento" dei generali fu un'operazione, del tutto
illegittima, che trovò le sue ragioni soprattutto
nell'insopprimibile istinto di conservazione di una casta ottusa e
chiusa, non solo a qualsiasi accenno di progresso, ma anche a qualsiasi
forma di umanità. Chi, all'interno dello schieramento
reazionario, era mosso da qualcosa che non fosse solo il più
gretto interesse, ma da quello che, con benevolo eufemismo, potremmo
definire "ideale", intendeva per tale solamente l'oscuro desiderio di
riportare l'intera società sotto la efficace cappa tenebrosa
delle gerarchie ecclesiastiche, per le quali cilicio e scapolari
rappresentavano il massimo di ogni aspirazione.
Naturale quindi che tale sollevazione, ancorché illegittima,
venne benedetta, appoggiata e santificata da tutti i vescovi spagnoli
– solo uno fra loro si astenne - giustamente terrorizzati
all'idea di vedere in pericolo non solo onori e prebende ma anche il
ruolo fino a quel momento di loro competenza. Si parlò di
"crociata" e certo non a caso, sapendo bene di quali efferatezze siano
state testimoni le crociate nella storia. Altrettanto naturale, di
conseguenza, che un proletariato cosciente, definitivamente emancipato
dalla mefitica influenza clericale, abbia cercato, e in un primo
momento ci sia felicemente riuscito, a neutralizzare radicalmente i
tentativi di ricacciare nel buio l'intera società.
La guerra civile spagnola, così come la rivoluzione che prese
corpo in quegli anni, fu indubbiamente uno degli episodi più
tragici, in perdite umane, della storia di questi ultimi secoli. Non
v'è bisogno di ricordare quanto sia stata alta la posta in
gioco, quanto dura la lotta fra gli aneliti di libertà e
solidarietà, di cui gli anarchici e i libertari furono sinceri
sostenitori, e le feroci trame oppressive del potere che aveva
ininterrottamente soggiogato la Spagna. E quanto fu "definitiva" la
volontà, da una parte e dall'altra, di impedire la vittoria del
nemico. Non poteva essere diversamente, quindi, che questa
volontà si esprimesse come una forza incontenibile e
sconvolgente: da una parte un popolo che finalmente riprende in mano,
armi in pugno, il proprio destino e la propria libertà, troppo a
lungo delegati a cacicchi e señoritos, e dall'altra un potere
oligarchico e feudale determinato a soffocare in un bagno di sangue la
"rivolta degli straccioni".
L'intenzione vaticana di innalzare alla gloria degli altari i religiosi
caduti combattendo militarmente, e quella governativa – che
vorremmo, ma non possiamo, giudicare in buona fede - di stabilire per
decreto cosa è legittimo e cosa no, non sono che la
manifestazione speculare di uno stesso disegno, che pur partendo da
prospettive opposte, alla fin dei conti insegue lo stesso fine: la
mistificazione e cancellazione del portato rivoluzionario e
antiautoritario che caratterizzò, a differenza di tutte le altre
guerre civili, la guerra civile spagnola. Ci sembra perfettamente
naturale, dunque, che l'impeto antiautoritario che mise con le spalle
al muro potere laico e potere religioso, potere dello Stato e potere
della Chiesa, continui a turbare i sonni di quanti rappresentano oggi,
a distanza di settant'anni, le stesse istanze di allora. Quelle che, in
una parentesi straordinaria, furono cancellate in nome della
libertà.
MoM