Umanità Nova, n.34 del 28 ottobre 2007, anno 87

Ricordando... Gianpaolo Verdecchia


La notte del 13 ottobre 2007, a Firenze, muore a 57 anni, Giampaolo Verdecchia. Cremato il 16, sabato 20 le sue ceneri sono disperse in Arno, all'Indiano.
Ho conosciuto Giampaolo a fine '68. È iniziata un'intensa attività politica e si è creata un'amicizia duratura. Dopo un'iniziale formazione marxista, aderisce all'anarchismo. Facevamo la staffetta fra scuole superiori e università, sempre sulla sua moto. Ha partecipato a varie situazioni studentesche e operaie in area fiorentina. Geometra con breve esperienza universitaria (studente di Cerrito), aveva lavorato come stradino. Anarco-sindacalista, ha intessuto duraturi rapporti con quanti potevano politicamente fare un tratto di strada insieme. Le lotte degli anni Settanta lo vedono in prima fila, in un percorso interrotto da vicende giudiziarie quando è arrestato per inesistente fiancheggiamento ad organizzazioni armate.
Dal carcere mi scriveva: "... in 32 (trentadue!) ore di interrogatorio continuato non mi hanno "pestato" ed io credo al solo scopo di non scuotermi, contando invece di fiaccarmi in modo più raffinato: colpendomi sugli affetti- (la Grazia incinta di 7 mesi dichiarata in arresto, perquisizioni ad amici carissimi di Milano e Venezia, minacce di rudi perquisizioni ai miei genitori ecc.)".
La lettura delle sue lettere mi riporta al clima dei giorni del primo arresto in notturna, brutale violento, nato dal convincimento del procuratore Vigna di avere davanti a sé uno tosto, che non tradiva né cedeva. Vera definizione. In realtà i suoi comportamenti ispirati a solidarietà internazionale, senza altro interesse, lo rendevano automaticamente inviso allo Stato. Pertanto, sulla base di una montatura, trascorre oltre un anno in carcere, perde il lavoro, gli viene minato l'equilibrio familiare.
Non si è perso d'animo. Si è re-inventato un lavoro da odontotecnico, creando un luogo di incontro di compagni e di amici verso i quali è sempre stato leale e generoso. Assiduo lettore, amava musica e teatro. Negli anni successivi all'esperienza del carcere partecipa alla rinascita del Movimento Anarchico fiorentino. Appassionato e polemico, in costante contatto con i compagni, non si lasciava scappare le occasioni che potevano creare dibattito e attrarre interesse verso l'anarchismo: presentazioni di libri e attività politica dentro l'amato-odiato Vicolo del Panico. Legante fra anime e contesti, ottimo cuoco intrattenitore, faceva diventare le cene un momento di progettazione, senza appesantirle, ma anzi esaltandone la funzione sociale.
Ricordo quando volle partecipare, con una consistente donazione, alla pubblicazione di Futuristi e Anarchici. Con lo stesso criterio, o con la vendita militante e la divulgazione, ha partecipato a tante altre esperienze editoriali.
Appassionato di mare, l'Isola d'Elba divenne con lui un "luogo" ancora più caro. L'estate a Rio Marina diventava un momento di rinforzo di legami di amicizia, di raccordo fra compagni.
Nell'aprile del 2000 un cancro lo colpisce. Lotta strenuamente, riesce a superare una lunga operazione e anni di difficoltà. In questo periodo prende forma, col GETEM, sua creatura quasi personale, una nuova stagione di impegno. Con il Social Forum a Firenze del 2002, attraverso la gestione di uno spazio nella Fortezza da Basso, crea poi le condizioni per far nascere il Collettivo Libertario Fiorentino che sfocerà nella realizzazione della serie di Vetrine dell'Editoria. 

L'Archivio Berneri ha da poco pubblicato un volume per ricordare Aurelio Chessa dove Giampaolo scrive:

(...) mi raccontò di essere stato per anni un artigiano e mi mostrò il frutto del suo lavoro. Era un oggetto che ormai non si usa più . Era una stecca di legno duro lunga cinquanta centimetri e di una sezione di tre per due.
(...) Era veramente un oggetto bellissimo e grande fu il mio stupore quando nel salutarmi me lo consegnò dicendomi di considerarlo un suo regalo.
Quel mezzo metro di legno è stato per anni sulla mia scrivania e, guardandolo, spesso mi ricordavo del compagno Aurelio.
Chissà durante quale trasloco si è nascosto. Fortunatamente si possono perdere gli oggetti, non i ricordi.

Il male si è ripresentato inesorabile. Il giorno della morte, Fiamma Chessa mi racconta che Gori, il figlio del proprietario della ditta di metri di cui parla Giampaolo, non sapendo della morte, le chiede l'indirizzo, perchè vuole spedirgli il mezzo metro.
Nonostante la fase terminale, molti non si erano accorti di quanto stava avvenendo. Con fatica e sofferenza, in settembre riesce a presentare due magliette anticlericali alla 3ª Vetrina.
(Alberto Ciampi)

Il laboratorio dentistico di Giampy, a ridosso della Sinagoga, tra il mercato di Sant'Ambrogio e quello dell'usato di piazza dei Ciompi, è nell'ultimo ridotto del popolare quartiere di S.Croce arresosi all'inarrestabile mercificazione che ha spianato la comunità civile fiorentina. Hanno ceduto il quartiere e quel ridotto ma non il suo laboratorio. Gestito con il fratello Stefano e, finché è vissuto, con il padre Valentino (altra bella e dolce figura di uomo libero) è stato ed è una sorte di porto rifugio (come si dice tecnicamente in mare) per tutta la gente del quartiere, e non solo per problemi di denti. Il fatto è che Giampy usava il suo umorismo tra l'allegro e il nero, la capacità di sdrammatizzare e mettere a proprio agio, per nascondere la profonda, sofferta solidarietà per chiunque si trovasse nel tritacarne della scarsità di mezzi, delle malattie, dei soprusi. Una solidarietà la sua non fatta di belante evangelismo ma fattiva, calda e dignitosa, rispettosa. Così nel quartiere ha fatto più lui per il prestigio dell'anarchismo di quanto avrebbero fatto migliaia di conferenze, manifesti, ecc. Se ne è andato con non comune dignità e coraggio. Lascia Birgitta e Roberto, il fratello Stefano, la mamma anziana, Olivia e sua madre Grazia, tutti per fortuna di grande stoffa, alla quale hanno dovuto fare continuo ricorso in questi ultimi maledetti mesi.
(Gigi Di Lembo)

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