La notte del 13 ottobre 2007, a Firenze, muore a 57 anni, Giampaolo
Verdecchia. Cremato il 16, sabato 20 le sue ceneri sono disperse in
Arno, all'Indiano.
Ho conosciuto Giampaolo a fine '68. È iniziata un'intensa
attività politica e si è creata un'amicizia duratura.
Dopo un'iniziale formazione marxista, aderisce all'anarchismo. Facevamo
la staffetta fra scuole superiori e università, sempre sulla sua
moto. Ha partecipato a varie situazioni studentesche e operaie in area
fiorentina. Geometra con breve esperienza universitaria (studente di
Cerrito), aveva lavorato come stradino. Anarco-sindacalista, ha
intessuto duraturi rapporti con quanti potevano politicamente fare un
tratto di strada insieme. Le lotte degli anni Settanta lo vedono in
prima fila, in un percorso interrotto da vicende giudiziarie quando
è arrestato per inesistente fiancheggiamento ad organizzazioni
armate.
Dal carcere mi scriveva: "... in 32
(trentadue!) ore di interrogatorio continuato non mi hanno "pestato" ed
io credo al solo scopo di non scuotermi, contando invece di fiaccarmi
in modo più raffinato: colpendomi sugli affetti- (la Grazia
incinta di 7 mesi dichiarata in arresto, perquisizioni ad amici
carissimi di Milano e Venezia, minacce di rudi perquisizioni ai miei
genitori ecc.)".
La lettura delle sue lettere mi riporta al clima dei giorni del primo
arresto in notturna, brutale violento, nato dal convincimento del
procuratore Vigna di avere davanti a sé uno tosto, che non
tradiva né cedeva. Vera definizione. In realtà i suoi
comportamenti ispirati a solidarietà internazionale, senza altro
interesse, lo rendevano automaticamente inviso allo Stato. Pertanto,
sulla base di una montatura, trascorre oltre un anno in carcere, perde
il lavoro, gli viene minato l'equilibrio familiare.
Non si è perso d'animo. Si è re-inventato un lavoro da
odontotecnico, creando un luogo di incontro di compagni e di amici
verso i quali è sempre stato leale e generoso. Assiduo lettore,
amava musica e teatro. Negli anni successivi all'esperienza del carcere
partecipa alla rinascita del Movimento Anarchico fiorentino.
Appassionato e polemico, in costante contatto con i compagni, non si
lasciava scappare le occasioni che potevano creare dibattito e attrarre
interesse verso l'anarchismo: presentazioni di libri e attività
politica dentro l'amato-odiato Vicolo del Panico. Legante fra anime e
contesti, ottimo cuoco intrattenitore, faceva diventare le cene un
momento di progettazione, senza appesantirle, ma anzi esaltandone la
funzione sociale.
Ricordo quando volle partecipare, con una consistente donazione, alla
pubblicazione di Futuristi e Anarchici. Con lo stesso criterio, o con
la vendita militante e la divulgazione, ha partecipato a tante altre
esperienze editoriali.
Appassionato di mare, l'Isola d'Elba divenne con lui un "luogo" ancora
più caro. L'estate a Rio Marina diventava un momento di rinforzo
di legami di amicizia, di raccordo fra compagni.
Nell'aprile del 2000 un cancro lo colpisce. Lotta strenuamente, riesce
a superare una lunga operazione e anni di difficoltà. In questo
periodo prende forma, col GETEM, sua creatura quasi personale, una
nuova stagione di impegno. Con il Social Forum a Firenze del 2002,
attraverso la gestione di uno spazio nella Fortezza da Basso, crea poi
le condizioni per far nascere il Collettivo Libertario Fiorentino che
sfocerà nella realizzazione della serie di Vetrine
dell'Editoria.
L'Archivio Berneri ha da poco pubblicato un volume per ricordare Aurelio Chessa dove Giampaolo scrive:
(...) mi raccontò di essere
stato per anni un artigiano e mi mostrò il frutto del suo
lavoro. Era un oggetto che ormai non si usa più . Era una stecca
di legno duro lunga cinquanta centimetri e di una sezione di tre per
due.
(...) Era veramente un oggetto
bellissimo e grande fu il mio stupore quando nel salutarmi me lo
consegnò dicendomi di considerarlo un suo regalo.
Quel mezzo metro di legno è stato per anni sulla mia scrivania e, guardandolo, spesso mi ricordavo del compagno Aurelio.
Chissà durante quale trasloco si è nascosto. Fortunatamente si possono perdere gli oggetti, non i ricordi.
Il male si è ripresentato inesorabile. Il giorno della morte,
Fiamma Chessa mi racconta che Gori, il figlio del proprietario della
ditta di metri di cui parla Giampaolo, non sapendo della morte, le
chiede l'indirizzo, perchè vuole spedirgli il mezzo metro.
Nonostante la fase terminale, molti non si erano accorti di quanto
stava avvenendo. Con fatica e sofferenza, in settembre riesce a
presentare due magliette anticlericali alla 3ª Vetrina.
(Alberto Ciampi)
Il laboratorio dentistico di Giampy, a ridosso della Sinagoga, tra il
mercato di Sant'Ambrogio e quello dell'usato di piazza dei Ciompi,
è nell'ultimo ridotto del popolare quartiere di S.Croce arresosi
all'inarrestabile mercificazione che ha spianato la comunità
civile fiorentina. Hanno ceduto il quartiere e quel ridotto ma non il
suo laboratorio. Gestito con il fratello Stefano e, finché
è vissuto, con il padre Valentino (altra bella e dolce figura di
uomo libero) è stato ed è una sorte di porto rifugio
(come si dice tecnicamente in mare) per tutta la gente del quartiere, e
non solo per problemi di denti. Il fatto è che Giampy usava il
suo umorismo tra l'allegro e il nero, la capacità di
sdrammatizzare e mettere a proprio agio, per nascondere la profonda,
sofferta solidarietà per chiunque si trovasse nel tritacarne
della scarsità di mezzi, delle malattie, dei soprusi. Una
solidarietà la sua non fatta di belante evangelismo ma fattiva,
calda e dignitosa, rispettosa. Così nel quartiere ha fatto
più lui per il prestigio dell'anarchismo di quanto avrebbero
fatto migliaia di conferenze, manifesti, ecc. Se ne è andato con
non comune dignità e coraggio. Lascia Birgitta e Roberto, il
fratello Stefano, la mamma anziana, Olivia e sua madre Grazia, tutti
per fortuna di grande stoffa, alla quale hanno dovuto fare continuo
ricorso in questi ultimi maledetti mesi.
(Gigi Di Lembo)