Umanità Nova, n.34 del 28 ottobre 2007, anno 87

La Turchia scende in campo. Per la patria e per il petrolio


La situazione al confine tra la Turchia e il Kurdistan, formalmente appartenente all'Iraq, ma di fatto indipendente dal 1991 quando la Prima Guerra del Golfo sancì il divieto per le truppe dell'allora dittatore Saddam Hussein di attaccare i partigiani del Partito Democratico Curdo e dell'Unione Patriottica Curda, i due gruppi che dagli anni Sessanta guidavano la resistenza della popolazione contro i governi iracheni. Come tutti sanno, la Seconda Guerra del Golfo, con il suo epilogo nell'occupazione dell'Iraq, ha avuto conseguenze pesanti per il nord dell'Iraq e per lo stesso Kurdistan: la guerriglia curda, ormai strutturata come un esercito regolare, ha partecipato all'offensiva americana perseguendo i propri obiettivi e cioè: occupare l'area di Mosul e Kirkuk, storico Vilayet (distretto) curdo all'epoca dell'Impero Ottomano, imporvi il proprio potere e costruire una struttura statale dotata di tutte le sue tipiche prerogative.
L'importanza dell'area di Mosul e di quella di Kirkuk non è solo legata alle radici storiche del popolo curdo che da queste città fu parzialmente cacciato solo nel corso degli anni Ottanta dell'ultimo secolo a seguito della politica di arabizzazione forzata messa in pratica dalla dirigenza irachena, ma anche al fatto che sotto i piedi degli abitanti della zona giace un mare di petrolio tuttora poco sfruttato.
La dirigenza curda, con il beneplacito degli occupanti americani, per i quali i curdi sono l'unica forza interna al paese della quale possano fidarsi totalmente dal momento che essi non hanno sostanzialmente altri amici in tutto il Medio Oriente, ha messo in atto una vera e propria pulizia etnica nei confronti degli arabi sunniti stabilitisi nell'area nel corso degli anni Ottanta e dei turcomanni, storicamente abitanti in loco. Tale pulizia etnica è chiaramente finalizzata a stabilire una maggioranza curda in tutta l'area rivendicata come Kurdistan e dimostra come corra poca differenza tra le politiche stragiste condotte contro i curdi dalla dirigenza di Saddam Hussein , e quelle appena meno sanguinarie che oggi la dirigenza curda conduce contro gli arabi e i turcomanni; entrambi i gruppi di potere avevano un fine preciso: conquistare la maggioranza con ogni mezzo necessario per stabilire il loro controllo sul petrolio di Mosul.
Il petrolio di Mosul fu il casus belli già di una crisi armata sorta nel 1923 tra l'Impero Britannico che allora controllava l'Iraq e la Turchia che rivendicava la zona in quanto erede dell'Impero Ottomano e "protettrice" delle popolazioni curde; d'altra parte già allora era stata creata la menzogna nazionalista turca che vede i curdi quali "turchi di montagna", nonostante le due popolazioni appartengano a gruppi etnici ben differenti: i turchi discendono da popoli mongolo-altaici, mentre i curdi sono indeuropei, apparentati al più con persiani ed armeni. La menzogna era ovviamente giustificata dalla necessità di assorbire all'interno di uno stato nazionale definito come "di un solo popolo" popolazioni abbondantemente presenti all'interno dei confini dell'erede di un impero multinazionale quale fu l'Impero Ottomano. La real-politiik di Ataturk, che comprese che un confronto armato con l'Impero Britannico avrebbe messo in discussione la solidità del neo stato turco, fece sì che la disputa per Mosul venisse archiviata, ma la rivendicazione turca non ha mai cessato di essere posta.
Nel corso del secondo dopoguerra l'attività indipendentista curda ha sempre infastidito tutti gli stati che ospitano quote di popolazione curda: Turchia, Iran, Iraq, Siria ed Armenia. Ogni stato ha cercato di utilizzare i "curdi altrui" come strumento di politica estera ostile ai vicini, salvo poi abbandonarli nel momento in cui sopravveniva un accordo con l'altro stato. Così i curdi iracheni sono stati abbandonati dall'Iran dello Shah dopo l'accordo del 1975 con Saddam Hussein, e i curdi turchi del Pkk hanno ricevuto lo stesso trattamento dalla Siria nel 1998, quando si compose la crisi delle dighe con Ankara. Oltre a queste alleanze spurie l'indipendentismo curdo ha sempre avuto un rapporto con gli USA e Israele. Gli USA li hanno abbandonati più di una volta dopo averli utilizzati per fiaccare ogni posizione irachena considerata troppo nazionalista, mentre risulta che Israele, che ha sempre appoggiato ogni regime ed ogni guerriglia nella zona che non sia araba, risulta abbia continuato a sostenere tanto l'Upk che il Pdk. Per quanto riguarda il Pkk il discorso è parzialmente diverso: partito nato a sinistra con origini maoiste, ha trovato negli anni prima l'appoggio dell'URSS in funzione anti Nato sul versante turco, poi, finita questa, quello della Siria che però lo ha abbandonato quasi dieci anni fa'. Oggi, dopo l'arresto del leader Ocalan sopravvive come formazione guerrigliera dotata però di scarsa capacità politica. Inoltre, dopo la formazione dello stato curdo nel nord dell'Iraq è iniziato un silenzioso esodo di abitanti curdi della Turchia e di ex guerriglieri che hanno raggiunto il Kurdistan realmente esistente e si sono insediati nelle città e nelle campagne a sostituire arabi e turcomanni espulsi dal nuovo potere curdo.
La Turchia, dal canto suo, non ha mai accettato la nascita di un Kurdistan, sia pure de facto, nei territori del nord dell'Iraq; non solo per "il cattivo esempio" dato ai "suoi" curdi, ma anche perché rivendica quell'area a sé. Il motivo principale che ha opposto Ankara alla guerra in Iraq è stato proprio questo: i turchi sapevano che l'abbattimento del regime di Saddam Hussein avrebbe voluto dire l'indipendenza del Kurdistan. Tale indipendenza è inaccettabile per Ankara.
Le politiche dei turchi dopo la caduta di Baghdad nei confronti della nuova entità nata ai suoi confini sono state di due tipi: all'inizio hanno tentato di metterla sotto protezione, fornendo ai rappresentanti curdo-iracheni i passaporti diplomatici per viaggiare e proponendo accordi che avrebbero fatto del nord dell'Iraq un protettorato di Ankara. Poi, vista la cocciuta volontà indipendentista di Balzani e Talabani, visto l'appoggio che Washington ha scelto di continuare a dare ai curdi iracheni, al punto di sostenere l'ascesa di Talabani alla Presidenza dell'Iraq e l'accettazione della pulizia etnica nei confronti dei non curdi a Mosul e a Kirkuk, la Turchia ha deciso di tornare a utilizzare le maniere forti.
In pratica Ankara ha deciso di ricominciare a svolgere i raid che già si svolgevano negli anni Novanta con la complicità di Saddam Hussein nel nord dell'Iraq. Il fine sbandierato, oggi come allora, è quello di colpire le basi del Pkk nelle zone di frontiera. L'obiettivo reale invece è quello di colpire al cuore il Kurdistan indipendente e di mettere un primo piede nell'area per arrivare in futuro al controllo dell'intero nord dell'Iraq.
Per ottenere questo fine Ankara ha prima bussato alla porta di Washington, poi, dopo averne ricevuto un rifiuto ha avviato una radicale ricollocazione nella geopolitica dell'area, avvicinandosi ai nemici decennali del regime di Ankara, oggi nemici centrali della politica mediorientale dell'amministrazione Bush: Iran e Siria con i quali ha concluso patti di non aggressione e alleanze di fatto in primo luogo in funzione anti curda. È evidente che lo stringersi dell'alleanza tra la Russia, la Siria e L'Iran e l'avvicinamento turco-siro-iraniano pone poi il problema di una futura amicizia tra Turchia e Russia, nemiche fin dal XVI secolo e prima linea per cinquant'anni del confronto tra Est e Ovest ai tempi della Guerra Fredda.
È evidente che non è il pronunciamento del Congresso americano sul genocidio armeno del 1915 (per quanto la materia scotti ancora dalle parti di Ankara) ad aver determinato l'attuale crisi tra turchi ed americani. In gioco c'è ben di più ed ossia una collocazione della Turchia nella NATO ed a fianco degli Stati Uniti che Ankara sente sempre più stretta dal momento che le attuali politiche di controllo del Medio Oriente da parte di Washington ledono interessi nazionali imprescindibili per la Turchia. La questione del Kurdistan iracheno non può passare in secondo piano per Ankara così come quella del petrolio del nord Iraq e di tutto il paese mediorientale che i turchi vorrebbero passasse dal porto di Ceyan sul Mediterraneo e che gli USA stanno invece facendo passare per Bassora. Su questo conflitto si registra, inoltre, la chiusura dello scontro interno tra il partito islamico al governo in Turchia e il principale centro di potere del paese, ossia i militari. Questi ultimi hanno sempre guidato la politica estera del paese e fino a pochi mesi fa guardavano con sospetto la presunta scarsa decisione nella difesa degli interessi nazionali da parte degli islamisti del Presidente Gol. Oggi la chiusura del contrasto è netta e l'alleanza tra militari ed islamisti è evidente; le manifestazioni di milioni di persone in difesa della laicità svolte prima dell'estate con la benedizione dei militari sembrano lontane secoli. La Turchia sembra avere imboccato una strada dove la politica estera è destinata a rimanere in mano ai militari che, in cambio, sacrificheranno sempre più la laicità del paese.
Infine, l'attentato di domenica 21 ottobre in cui il pkk ha ucciso sedici soldati turchi e i bombardamenti dell'esercito di Ankara in Iraq sono probabilmente solo l'inizio di un conflitto generale che potrebbe infiammare un'area ben maggiore del Medio Oriente e mutare in maniera definitiva la carta delle alleanze mondiali degli Stati Uniti e di quello che oggi è il suo principale antagonista locale, la Russia.

Giacomo Catrame

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