La situazione al confine tra la Turchia e il Kurdistan, formalmente
appartenente all'Iraq, ma di fatto indipendente dal 1991 quando la
Prima Guerra del Golfo sancì il divieto per le truppe
dell'allora dittatore Saddam Hussein di attaccare i partigiani del
Partito Democratico Curdo e dell'Unione Patriottica Curda, i due gruppi
che dagli anni Sessanta guidavano la resistenza della popolazione
contro i governi iracheni. Come tutti sanno, la Seconda Guerra del
Golfo, con il suo epilogo nell'occupazione dell'Iraq, ha avuto
conseguenze pesanti per il nord dell'Iraq e per lo stesso Kurdistan: la
guerriglia curda, ormai strutturata come un esercito regolare, ha
partecipato all'offensiva americana perseguendo i propri obiettivi e
cioè: occupare l'area di Mosul e Kirkuk, storico Vilayet
(distretto) curdo all'epoca dell'Impero Ottomano, imporvi il proprio
potere e costruire una struttura statale dotata di tutte le sue tipiche
prerogative.
L'importanza dell'area di Mosul e di quella di Kirkuk non è solo
legata alle radici storiche del popolo curdo che da queste città
fu parzialmente cacciato solo nel corso degli anni Ottanta dell'ultimo
secolo a seguito della politica di arabizzazione forzata messa in
pratica dalla dirigenza irachena, ma anche al fatto che sotto i piedi
degli abitanti della zona giace un mare di petrolio tuttora poco
sfruttato.
La dirigenza curda, con il beneplacito degli occupanti americani, per i
quali i curdi sono l'unica forza interna al paese della quale possano
fidarsi totalmente dal momento che essi non hanno sostanzialmente altri
amici in tutto il Medio Oriente, ha messo in atto una vera e propria
pulizia etnica nei confronti degli arabi sunniti stabilitisi nell'area
nel corso degli anni Ottanta e dei turcomanni, storicamente abitanti in
loco. Tale pulizia etnica è chiaramente finalizzata a stabilire
una maggioranza curda in tutta l'area rivendicata come Kurdistan e
dimostra come corra poca differenza tra le politiche stragiste condotte
contro i curdi dalla dirigenza di Saddam Hussein , e quelle appena meno
sanguinarie che oggi la dirigenza curda conduce contro gli arabi e i
turcomanni; entrambi i gruppi di potere avevano un fine preciso:
conquistare la maggioranza con ogni mezzo necessario per stabilire il
loro controllo sul petrolio di Mosul.
Il petrolio di Mosul fu il casus belli già di una crisi armata
sorta nel 1923 tra l'Impero Britannico che allora controllava l'Iraq e
la Turchia che rivendicava la zona in quanto erede dell'Impero Ottomano
e "protettrice" delle popolazioni curde; d'altra parte già
allora era stata creata la menzogna nazionalista turca che vede i curdi
quali "turchi di montagna", nonostante le due popolazioni appartengano
a gruppi etnici ben differenti: i turchi discendono da popoli
mongolo-altaici, mentre i curdi sono indeuropei, apparentati al
più con persiani ed armeni. La menzogna era ovviamente
giustificata dalla necessità di assorbire all'interno di uno
stato nazionale definito come "di un solo popolo" popolazioni
abbondantemente presenti all'interno dei confini dell'erede di un
impero multinazionale quale fu l'Impero Ottomano. La real-politiik di
Ataturk, che comprese che un confronto armato con l'Impero Britannico
avrebbe messo in discussione la solidità del neo stato turco,
fece sì che la disputa per Mosul venisse archiviata, ma la
rivendicazione turca non ha mai cessato di essere posta.
Nel corso del secondo dopoguerra l'attività indipendentista
curda ha sempre infastidito tutti gli stati che ospitano quote di
popolazione curda: Turchia, Iran, Iraq, Siria ed Armenia. Ogni stato ha
cercato di utilizzare i "curdi altrui" come strumento di politica
estera ostile ai vicini, salvo poi abbandonarli nel momento in cui
sopravveniva un accordo con l'altro stato. Così i curdi iracheni
sono stati abbandonati dall'Iran dello Shah dopo l'accordo del 1975 con
Saddam Hussein, e i curdi turchi del Pkk hanno ricevuto lo stesso
trattamento dalla Siria nel 1998, quando si compose la crisi delle
dighe con Ankara. Oltre a queste alleanze spurie l'indipendentismo
curdo ha sempre avuto un rapporto con gli USA e Israele. Gli USA li
hanno abbandonati più di una volta dopo averli utilizzati per
fiaccare ogni posizione irachena considerata troppo nazionalista,
mentre risulta che Israele, che ha sempre appoggiato ogni regime ed
ogni guerriglia nella zona che non sia araba, risulta abbia continuato
a sostenere tanto l'Upk che il Pdk. Per quanto riguarda il Pkk il
discorso è parzialmente diverso: partito nato a sinistra con
origini maoiste, ha trovato negli anni prima l'appoggio dell'URSS in
funzione anti Nato sul versante turco, poi, finita questa, quello della
Siria che però lo ha abbandonato quasi dieci anni fa'. Oggi,
dopo l'arresto del leader Ocalan sopravvive come formazione
guerrigliera dotata però di scarsa capacità politica.
Inoltre, dopo la formazione dello stato curdo nel nord dell'Iraq
è iniziato un silenzioso esodo di abitanti curdi della Turchia e
di ex guerriglieri che hanno raggiunto il Kurdistan realmente esistente
e si sono insediati nelle città e nelle campagne a sostituire
arabi e turcomanni espulsi dal nuovo potere curdo.
La Turchia, dal canto suo, non ha mai accettato la nascita di un
Kurdistan, sia pure de facto, nei territori del nord dell'Iraq; non
solo per "il cattivo esempio" dato ai "suoi" curdi, ma anche
perché rivendica quell'area a sé. Il motivo principale
che ha opposto Ankara alla guerra in Iraq è stato proprio
questo: i turchi sapevano che l'abbattimento del regime di Saddam
Hussein avrebbe voluto dire l'indipendenza del Kurdistan. Tale
indipendenza è inaccettabile per Ankara.
Le politiche dei turchi dopo la caduta di Baghdad nei confronti della
nuova entità nata ai suoi confini sono state di due tipi:
all'inizio hanno tentato di metterla sotto protezione, fornendo ai
rappresentanti curdo-iracheni i passaporti diplomatici per viaggiare e
proponendo accordi che avrebbero fatto del nord dell'Iraq un
protettorato di Ankara. Poi, vista la cocciuta volontà
indipendentista di Balzani e Talabani, visto l'appoggio che Washington
ha scelto di continuare a dare ai curdi iracheni, al punto di sostenere
l'ascesa di Talabani alla Presidenza dell'Iraq e l'accettazione della
pulizia etnica nei confronti dei non curdi a Mosul e a Kirkuk, la
Turchia ha deciso di tornare a utilizzare le maniere forti.
In pratica Ankara ha deciso di ricominciare a svolgere i raid che
già si svolgevano negli anni Novanta con la complicità di
Saddam Hussein nel nord dell'Iraq. Il fine sbandierato, oggi come
allora, è quello di colpire le basi del Pkk nelle zone di
frontiera. L'obiettivo reale invece è quello di colpire al cuore
il Kurdistan indipendente e di mettere un primo piede nell'area per
arrivare in futuro al controllo dell'intero nord dell'Iraq.
Per ottenere questo fine Ankara ha prima bussato alla porta di
Washington, poi, dopo averne ricevuto un rifiuto ha avviato una
radicale ricollocazione nella geopolitica dell'area, avvicinandosi ai
nemici decennali del regime di Ankara, oggi nemici centrali della
politica mediorientale dell'amministrazione Bush: Iran e Siria con i
quali ha concluso patti di non aggressione e alleanze di fatto in primo
luogo in funzione anti curda. È evidente che lo stringersi
dell'alleanza tra la Russia, la Siria e L'Iran e l'avvicinamento
turco-siro-iraniano pone poi il problema di una futura amicizia tra
Turchia e Russia, nemiche fin dal XVI secolo e prima linea per
cinquant'anni del confronto tra Est e Ovest ai tempi della Guerra
Fredda.
È evidente che non è il pronunciamento del Congresso
americano sul genocidio armeno del 1915 (per quanto la materia scotti
ancora dalle parti di Ankara) ad aver determinato l'attuale crisi tra
turchi ed americani. In gioco c'è ben di più ed ossia una
collocazione della Turchia nella NATO ed a fianco degli Stati Uniti che
Ankara sente sempre più stretta dal momento che le attuali
politiche di controllo del Medio Oriente da parte di Washington ledono
interessi nazionali imprescindibili per la Turchia. La questione del
Kurdistan iracheno non può passare in secondo piano per Ankara
così come quella del petrolio del nord Iraq e di tutto il paese
mediorientale che i turchi vorrebbero passasse dal porto di Ceyan sul
Mediterraneo e che gli USA stanno invece facendo passare per Bassora.
Su questo conflitto si registra, inoltre, la chiusura dello scontro
interno tra il partito islamico al governo in Turchia e il principale
centro di potere del paese, ossia i militari. Questi ultimi hanno
sempre guidato la politica estera del paese e fino a pochi mesi fa
guardavano con sospetto la presunta scarsa decisione nella difesa degli
interessi nazionali da parte degli islamisti del Presidente Gol. Oggi
la chiusura del contrasto è netta e l'alleanza tra militari ed
islamisti è evidente; le manifestazioni di milioni di persone in
difesa della laicità svolte prima dell'estate con la benedizione
dei militari sembrano lontane secoli. La Turchia sembra avere imboccato
una strada dove la politica estera è destinata a rimanere in
mano ai militari che, in cambio, sacrificheranno sempre più la
laicità del paese.
Infine, l'attentato di domenica 21 ottobre in cui il pkk ha ucciso
sedici soldati turchi e i bombardamenti dell'esercito di Ankara in Iraq
sono probabilmente solo l'inizio di un conflitto generale che potrebbe
infiammare un'area ben maggiore del Medio Oriente e mutare in maniera
definitiva la carta delle alleanze mondiali degli Stati Uniti e di
quello che oggi è il suo principale antagonista locale, la
Russia.
Giacomo Catrame