Durante la guerra, tutti gli
storici di professione si considerano mobilitati; difesero come meglio
poterono le menzogne ufficiali.
(Alfred Rosmer)
A distanza di ottantanove anni, il 4 novembre continua ad essere
commemorata la presunta Vittoria dell'Italia nel primo conflitto
mondiale: dalla democrazia liberale monarchica del primo dopoguerra,
attraverso il ventennio fascista, sino all'attuale repubblica
democratica, ben poco è cambiato nell'ufficialità
retorica di questa celebrazione di Stato.
Improbabile vittoria militare, certa disfatta umana e sociale.
L'orrore racchiuso nei numeri a cinque zeri, riguardanti le vittime di
quell'evento bellico i cui nomi restano, in ogni più piccola
frazione, incisi sui gelidi monumenti ai caduti per la patria, sembra
dissolversi in una dimensione della memoria sempre più lontana e
irreale, come se quella tragedia appartenesse alla storia di un altro
pianeta, nonostante che abbia investito violentemente il passato di
ogni famiglia e di ogni comunità.
Ma se dei massacrati noti e ignoti sui campi di battaglia viene
riconosciuto e consacrato, loro malgrado, l'eroismo tricolore; per
quanti si ribellarono al militarismo e disertarono quella strage
proletaria che incrementò i profitti dei capitalisti, resta al
contrario la condanna all'oblio e all'esecrazione nazionale: fucilati
ieri, inammissibili oggi.
A fine guerra risultavano emesse 870.000 denunce per indisciplina, resa
al nemico, mutilazione volontaria, renitenza, diserzione, etc., con
circa 15.000 condanne all'ergastolo e circa 800 condanne a morte
eseguite. Imprecisato invece il numero delle esecuzioni sommarie, ma
comunque nell'ordine delle migliaia.
In alcune zone, specie dove erano forti i sentimenti antimilitaristi, i
disertori avevano persino formato gruppi e bande, sostenute dalla
popolazione. Fu il caso, ad esempio, di una comunità di
disertori di Imola, autodenominati Fratelli Ciliegia, che si erano dati
alla macchia nei dintorni della città, sfuggendo alle retate di
agenti e carabinieri.
Per questo, a tutti coloro che continuano a rifiutare l'arruolamento
delle coscienze e l'oscena propaganda delle guerre giuste, e persino
umanitarie, offriamo una selezione di testimonianze di volontà,
individuali e collettive, contro quello che proprio un soldato al
fronte definì come "immenso impero, regno della morte".
Volontà riscontrabili nei documenti emessi in gran copia dai
comandi e dai tribunali militari, ossessionati di scoprire e reprimere
ferocemente ogni insubordinazione tra i soldati stanchi della guerra,
perseguendo con particolare accanimento i sospetti sovversivi che si
annidavano nelle trincee. Si trattava di socialisti e anarchici che,
fedeli ai principi dell'internazionalismo, non avevano smesso di
pensare e sperare che lo spontaneo disfattismo esistente tra le truppe,
sovente giunto alla sedizione armata, si trasformasse in una
rivoluzione che, come avvenuto in Russia, imponesse la pace ai governi.
Fin dall'inizio delle ostilità, i comandi devono fare i conti
con l'avversione popolare alla guerra; già nel maggio 1915, a
pochi giorni dell'entrata in guerra, i carabinieri fanno fuoco su
reparti in rivolta della Brigata Ancona "costituiti da elementi non
buoni: da soldati della provincia di Firenze, travagliati dagli
apostolati socialisti e anarchici". Emblematico il comunicato di
Emanuele Filiberto di Savoia, dopo la fucilazione di alcuni fanti del
93° reggimento, in occasione della prima battaglia dell'Isonzo, nel
giugno 1915: "data speciale situazione quel reggimento con numerosi
richiamati anarchici distretto Ancona. Alcuni di questi oggi tentarono
sventolare bandiera bianca et furono fucilati".
Nel luglio 1915, ben undici soldati del reggimento cavalleggeri Padova
vengono condannati a pene detentive tra i 5 e i 20 anni, per propaganda
sovversiva; i condannati avevano costituito una cellula clandestina
anarchica, ironicamente battezzata come Gruppo dei Grufoli, in contatto
con la stampa libertaria.
Nello stesso mese, due bersaglieri, un bracciante della provincia di
Bologna e un carrettiere della provincia di Ravenna, vengono
incriminati e condannati a 20 anni di reclusione, per avere affisso su
un albero un manifesto scritto a mano di contenuto antimilitarista e
internazionalista, in cui si poteva leggere: "Da Masetti dobbiamo
prendere scuola".
Nel settembre 1916, un fante originario di Udine viene condannato a
quattro mesi di carcere per aver scritto una lettera al padre in cui si
chiedeva "Come si può approvare questa guerra che più che
barbara è stupida, di una stupidità grottesca, colossale,
e vogliono farla credere civile, e come una lotta pel diritto, mentre
invece è un cumulo di ingordigie e di interessi di pochi a danno
del popolo che soffre e paga col miglior sangue? " concludendo che "non
bastava il socialismo legalitario per abbattere questa società
malsana, ma occorreva il socialismo anarchico".
Nel maggio 1917, il tribunale militare condanna per tradimento a 15
anni di galera un geniere milanese: operaio iscritto al partito
socialista aveva diffuso tra i commilitoni alcune copie stampate
dell'appello Ai popoli che la guerra rovina e uccide, stilato dalla II
conferenza socialista internazionale di Zimmerwald.
Nel maggio 1917, un soldato della provincia di Parma viene condannato a
22 anni di prigione; anch'egli operaio, aveva più volte rivolto
discorsi contro il militarismo ai compagni d'armi, invitandolo a fare
uso della forza per far cessare la guerra.
Nel giugno 1917, un'ennesima rivolta viene punita con la fucilazione di
undici soldati del 117° reggimento che prima d'essere uccisi
gridano: "Abbasso la bandiera, abbasso la patria, abbasso l'Italia,
vigliacchi, assassini, viva l'anarchia, etc".
Nel novembre 1917, un geniere di Torino viene condannato all'ergastolo
per tradimento: aveva svolto propaganda contro la guerra, raccogliendo
soldi per finanziare un giornale che "propugnava la pace ad ogni costo".
Dopo la disfatta di Caporetto, nella 5ª Armata che aveva raccolto
quanto era rimasto della 2ª, vengono emanate disposizioni per il
ritiro delle bombe a mano e delle munizioni, onde prevenire altre
rivolte, e vengono infiltrati carabinieri per sorvegliare i sovversivi.
Nel luglio 1917, due fanti della provincia di Alessandria - un muratore
e un contadino - vengono condannati a 16 e 5 anni di reclusione
militare per subornazione alla rivolta, per avere più volte
incitato con discorsi e scritti altri soldati a mettere fine alla
guerra facendo la rivoluzione.
Nell'agosto 1917, un facchino ravennate, soldato dell'83° fanteria,
con precedenti penali sia comuni che d'ordine politico, viene
condannato a 16 anni di prigione militare per subornazione, dopo che
aveva fatto discorsi a favore della diserzione e della rivolta.
Nello stesso mese, una quindicina di fanti, quasi tutti di Vicenza e
Cremona, aderenti in gran parte al partito socialista, vengono
condannati a pene comprese tra 15 e 1 anno di carcere militare per
numerose imputazioni legate all'attività di propaganda
sovversiva contro la guerra.
Nella primavera del 1918, si registrano tre distinte pesantissime
condanne del tribunale militare persino contro arditi dei reparti
d'assalto; i reati sono: espressioni di codardia, diserzione,
disfattismo e rifiuto d'obbedienza.
Nel maggio 1918, il tribunale militare emette una condanna a due mesi
di reclusione contro un contadino di Trapani, artigliere del 21°,
reo di aver diffuso una canzonetta ritenuta disfattista. Le strofe
incriminate appaiono quasi ingenue, ma vengono ritenute ugualmente
pericolose per gli esiti della guerra e le sorti della patria.
emmerre
Bibliografia utilizzata:
- Enzo Forcella e Alberto Monticone, Plotone di esecuzione. I processi della Prima guerra mondiale, Laterza.
- Marco Pluviano e Irene Guerrini, Le fucilazioni sommarie nella Prima guerra mondiale, Gaspari Editore.
- Giovanna Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella Grande guerra, Editori Riuniti.