Umanità Nova, n.35 del 4 novembre 2007, anno 87

Virus clericale. La bioetica degli assassini


La storia non è magistra vitae.
Prima di tutto perché, dovendoci essa insegnarci qualcosa, dovremmo tutti prenderci la briga di conoscerla; inoltre dovremmo anche condividere dei prerequisiti etici indispensabili per poterla giudicare.
La storia, infatti, non dice nulla di oggettivo. Non è che una sequenza di fatti il cui valore è dato solo dalle interpretazioni e dal conflitto che, necessariamente, queste portano con sé.
Pertanto potrebbe essere anche inteso come snobistico l'atteggiamento di chi volesse negare ai cristiani le "sacrosante" credenziali di garanti della morale del mondo Occidentale.
La mia etica laica, infatti, mi porterebbe a considerare la storia della chiesa come un continuo intreccio di potere (clericale) e consenso (popolare) a questo stesso potere, intreccio dovuto allo scambio, fondato su un paradigma euristico dettato da mera superstizione, di salvezza eterna in cambio di sottomissione politica.
Per chi, invece, si rifà agli insegnamenti della chiesa cattolica, questa appare come madre di ogni progresso umano e civile, l'istituzione (di fondazione divina) che ha permesso agli uomini di essere un po' meno selvaggi.
Considerati i fallimenti e gli orrori di cui si sono macchiati i rappresentanti del potere laico nel corso del '900, diventa anche difficile contraddire la fiducia cieca dei papisti.
Tornato in auge dopo gli orrori dei campi di concentramento e dei gulag, dopo guerre mondiali e bombe atomiche, e soprattutto dopo l'ingloriosa fine del socialismo di stato, il pensiero religioso, rimasto coerentemente uguale a se stesso, acquista oggi tutto il proprio valore consolatorio e propositivo e sembra possedere vitalità e comunicativa d'avanzo rispetto alla rivendicazione di razionalità di un laicismo macchiato di sangue.
Il cristianesimo, quindi, al pari delle altre religioni, non ha dovuto neanche rifarsi il trucco: superstizioni ed esorcismi, madonne che volano e ostie tramutate in carne, reliquie che miracolano e messe per i defunti, sospensioni a divinis e indulgenze plenarie: tutta la paccottiglia grottesca e ridicola di una tradizione bimillenaria ci viene riproposta con l'arroganza di chi sa che i tempi sono propizi per tentare di asservire una volta di più l'uomo Occidentale alle banalità taumaturgiche della superstizione clericale. Storditi e privi di qualsiasi referenza politico-culturale, i laici accusano il colpo e si uniscono al coro del potere tutto, in quella post-moderna e patetica interpretazione del miserere mei domine che ogni giorno anche gli alfieri della nuova sinistra di governo, al di là delle ormai effimere differenze interne, intonano di concerto con le gerarchie vaticane.
Eppure tanti sarebbero i motivi per avanzare con decisione una critica alla sempre più decisa ingerenza clericale nella nostra società. Inebriata, infatti, dal profumo della vittoria culturale, la chiesa sfrutta il "ricorso storico", tentando una volta di più di giocare il proprio ruolo tradizionale: quello di istituzione garante della pace sociale e della minorità intellettuale degli uomini tutti.
Il progetto di dominazione culturale della nostra società, che la CEI ha lanciato per bocca di Ruini già nel '94, sembra oggi favorito dall'intera classe politica italiana, senza che però questa, perlomeno nel suo riferirsi alla base che compulsivamente la esprime, abbia mai tentato di chiarire il portato dei cambiamenti che l'agguerrita armata clericale è intenzionata a conseguire.
Visto che la chiesa italiana ha individuato nella cultura il terreno propizio per la propria azione, sarebbe il caso che gli smidollati esponenti ufficiali dell'ex stalinismo italiano, neocampioni di un baciapilismo da competizione, chiarissero ai propri elettori che perseguire ulteriormente la recente politica di bacio della sacra pantofola papale porterà presto a cambiamenti radicali nei costumi di noi tutti.
Infatti, per ammissione della stessa segreteria CEI, bersaglio della lotta clericale è "il modernismo" (così lo avrebbero chiamato una volta), cioè l'emancipazione morale e sociale dal paternalismo cattolico che ha fatto sì che la nostra vita e i nostri costumi cambiassero.
Se è difficile, quindi, gridare scandalizzati alla fine della coscienza laica, potrebbe sembrare allora quasi maniacale l'attenzione nei confronti del tentativo di riscrivere i valori della modernità che la chiesa sta tentando di realizzare, complice il senso di colpa della politica tutta.
Eppure è quello che sta succedendo: la scuola, la scienza, la famiglia i mass media… La chiesa ha lanciato la propria sfida culturale e si appresta ad imporre una visione del mondo che già quarant'anni fa sembrava buona solo per accompagnare il de profundis della società contadina italiana, sopravvissuta a tutte le finte riforme dei governi dell'unità nazionale.
Oggi la chiesa torna ad insinuarsi nei corpi e nelle menti di tutti noi, tentando di interpretare definitivamente il senso della vita e della morte e il comportamento che, alla luce dei valori clericali, l'uomo moderno dovrebbe tenere. Il paradosso è che questo accade in alcuni dei paesi tecnologicamente più avanzati della Terra, e questo dato dovrebbe far rifletterci.
Il caso Terri Schiavo, una donna americana ridotta in stato di coma e costretta da anni a vivere attaccata a delle macchine e accompagnata alla morte per consenso del marito e di medici misericordiosi, ha rilanciato con forza il dibattito sulla bioetica nella società statunitense.
Questo ennesimo episodio da una parte ha mostrato l'inadeguatezza dell'etica laica nell'affrontare le nuove questioni aperte dal progresso tecnologico, dall'altra ha palesato la forza comunicativa dell'opinione pubblica di matrice religiosa, che negli USA ha scatenato una vera e propria campagna diffamatoria contro il marito della povera donna.
Il fondamento morale sul quale si basano tutte le affermazioni dei credenti è semplice: la vita è un dono di dio (indimostrabile, ma tanto consolatorio) e l'uomo non può disporne a proprio piacimento. Per cui, quando si tratta di riproduzione, nessuno ha il permesso di utilizzare i mezzi che la ricerca ha predisposto per il controllo responsabile delle nascite (gli anticoncezionali), quando invece si tratta di tenere a tutti i costi in stato vegetativo un essere umano, allora le chiese divengono le prime alleate del progresso, e le vediamo inneggiare all'uso dell'accanimento terapeutico e della macchinizzazione degli uomini.
Le due posizioni, apparentemente paradossali, sono unite da un forte progetto culturale: quello che vede nel controllo dell'uomo, cioè della sua mente e del suo corpo, il fine dell'azione ecclesiale.
Gli esseri umani non devono pensare autonomamente, non devono uscire dal proprio stato di minorità. Per questo motivo, che si tratti di impedire l'uso della pillola anticoncezionale, o di esaltare la violenza inutile dello stato vegetativo eterno, quello che appare evidente è che mai può entrare in gioco la libera volontà del singolo, il suo mondo interiore, la possibilità che egli possa decidere per la propria esistenza. Quindi no a tutto ciò che, compreso il testamento biologico, possa permettere all'individuo di esercitare l'autodeterminazione su ciò che più intimamente lo riguarda.
Citavo prima il caso Terri Schiavo. Negli Stati Uniti, i più agguerriti nel denunciare l'immoralità di medici e marito sono stati, manco a dirlo, gli evangelici pentecostali, cioè l'ala più delirante e reazionaria del variegato mondo del protestantesimo americano.
I pentecostali, in piena espansione sia negli USA che nell'America del Sud, sono responsabili, o complici, delle politiche più retrive delle amministrazioni repubblicane: totalmente appiattiti e protagonisti dei progetti di espansionismo degli USA, essi hanno sempre inneggiato a guerre, pena di morte, carceri illegali. Tutto questo mentre da decine di televisioni predicatori assatanati delirano su diavoli, peccato, colpe originali, inferni, dannazioni. In Italia il cattolicesimo, a parte opportunistiche dichiarazioni pacifiste mai seguite da fatti concreti, non è certo da meno nello sviluppare questa doppia morale di sacralizzazione di vite che non ci sono e negazione dei diritti degli individui.
Quindi il valore sacro della vita non è che una regola fatta di sole eccezioni, una palese menzogna che funge da scusa per controllare gli esseri umani, insinuandosi nelle loro camere da letto, nei loro corpi, nei loro grembi, nelle loro vene. La chiesa si diffonde nella vita di ognuno di noi come un virus, e come un virus diventa pervasivo e resistente alle reazioni dell'organismo e del progresso. Può quindi sopravvivere benissimo nella società contemporanea e operare per minarne le conquiste morali e civili. Chi pensava di aver cacciato dalla storia il bisogno di preti e superstizioni, dovrà tornare a fare i conti con quelle istituzioni che negano il diritto all'autodeterminazione e al libero pensiero. 

Paolo Iervese

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