La storia non è magistra vitae.
Prima di tutto perché, dovendoci essa insegnarci qualcosa,
dovremmo tutti prenderci la briga di conoscerla; inoltre dovremmo anche
condividere dei prerequisiti etici indispensabili per poterla giudicare.
La storia, infatti, non dice nulla di oggettivo. Non è che una
sequenza di fatti il cui valore è dato solo dalle
interpretazioni e dal conflitto che, necessariamente, queste portano
con sé.
Pertanto potrebbe essere anche inteso come snobistico l'atteggiamento
di chi volesse negare ai cristiani le "sacrosante" credenziali di
garanti della morale del mondo Occidentale.
La mia etica laica, infatti, mi porterebbe a considerare la storia
della chiesa come un continuo intreccio di potere (clericale) e
consenso (popolare) a questo stesso potere, intreccio dovuto allo
scambio, fondato su un paradigma euristico dettato da mera
superstizione, di salvezza eterna in cambio di sottomissione politica.
Per chi, invece, si rifà agli insegnamenti della chiesa
cattolica, questa appare come madre di ogni progresso umano e civile,
l'istituzione (di fondazione divina) che ha permesso agli uomini di
essere un po' meno selvaggi.
Considerati i fallimenti e gli orrori di cui si sono macchiati i
rappresentanti del potere laico nel corso del '900, diventa anche
difficile contraddire la fiducia cieca dei papisti.
Tornato in auge dopo gli orrori dei campi di concentramento e dei
gulag, dopo guerre mondiali e bombe atomiche, e soprattutto dopo
l'ingloriosa fine del socialismo di stato, il pensiero religioso,
rimasto coerentemente uguale a se stesso, acquista oggi tutto il
proprio valore consolatorio e propositivo e sembra possedere
vitalità e comunicativa d'avanzo rispetto alla rivendicazione di
razionalità di un laicismo macchiato di sangue.
Il cristianesimo, quindi, al pari delle altre religioni, non ha dovuto
neanche rifarsi il trucco: superstizioni ed esorcismi, madonne che
volano e ostie tramutate in carne, reliquie che miracolano e messe per
i defunti, sospensioni a divinis e indulgenze plenarie: tutta la
paccottiglia grottesca e ridicola di una tradizione bimillenaria ci
viene riproposta con l'arroganza di chi sa che i tempi sono propizi per
tentare di asservire una volta di più l'uomo Occidentale alle
banalità taumaturgiche della superstizione clericale. Storditi e
privi di qualsiasi referenza politico-culturale, i laici accusano il
colpo e si uniscono al coro del potere tutto, in quella post-moderna e
patetica interpretazione del miserere mei domine che ogni giorno anche
gli alfieri della nuova sinistra di governo, al di là delle
ormai effimere differenze interne, intonano di concerto con le
gerarchie vaticane.
Eppure tanti sarebbero i motivi per avanzare con decisione una critica
alla sempre più decisa ingerenza clericale nella nostra
società. Inebriata, infatti, dal profumo della vittoria
culturale, la chiesa sfrutta il "ricorso storico", tentando una volta
di più di giocare il proprio ruolo tradizionale: quello di
istituzione garante della pace sociale e della minorità
intellettuale degli uomini tutti.
Il progetto di dominazione culturale della nostra società, che
la CEI ha lanciato per bocca di Ruini già nel '94, sembra oggi
favorito dall'intera classe politica italiana, senza che però
questa, perlomeno nel suo riferirsi alla base che compulsivamente la
esprime, abbia mai tentato di chiarire il portato dei cambiamenti che
l'agguerrita armata clericale è intenzionata a conseguire.
Visto che la chiesa italiana ha individuato nella cultura il terreno
propizio per la propria azione, sarebbe il caso che gli smidollati
esponenti ufficiali dell'ex stalinismo italiano, neocampioni di un
baciapilismo da competizione, chiarissero ai propri elettori che
perseguire ulteriormente la recente politica di bacio della sacra
pantofola papale porterà presto a cambiamenti radicali nei
costumi di noi tutti.
Infatti, per ammissione della stessa segreteria CEI, bersaglio della
lotta clericale è "il modernismo" (così lo avrebbero
chiamato una volta), cioè l'emancipazione morale e sociale dal
paternalismo cattolico che ha fatto sì che la nostra vita e i
nostri costumi cambiassero.
Se è difficile, quindi, gridare scandalizzati alla fine della
coscienza laica, potrebbe sembrare allora quasi maniacale l'attenzione
nei confronti del tentativo di riscrivere i valori della
modernità che la chiesa sta tentando di realizzare, complice il
senso di colpa della politica tutta.
Eppure è quello che sta succedendo: la scuola, la scienza, la
famiglia i mass media… La chiesa ha lanciato la propria sfida
culturale e si appresta ad imporre una visione del mondo che già
quarant'anni fa sembrava buona solo per accompagnare il de profundis
della società contadina italiana, sopravvissuta a tutte le finte
riforme dei governi dell'unità nazionale.
Oggi la chiesa torna ad insinuarsi nei corpi e nelle menti di tutti
noi, tentando di interpretare definitivamente il senso della vita e
della morte e il comportamento che, alla luce dei valori clericali,
l'uomo moderno dovrebbe tenere. Il paradosso è che questo accade
in alcuni dei paesi tecnologicamente più avanzati della Terra, e
questo dato dovrebbe far rifletterci.
Il caso Terri Schiavo, una donna americana ridotta in stato di coma e
costretta da anni a vivere attaccata a delle macchine e accompagnata
alla morte per consenso del marito e di medici misericordiosi, ha
rilanciato con forza il dibattito sulla bioetica nella società
statunitense.
Questo ennesimo episodio da una parte ha mostrato l'inadeguatezza
dell'etica laica nell'affrontare le nuove questioni aperte dal
progresso tecnologico, dall'altra ha palesato la forza comunicativa
dell'opinione pubblica di matrice religiosa, che negli USA ha scatenato
una vera e propria campagna diffamatoria contro il marito della povera
donna.
Il fondamento morale sul quale si basano tutte le affermazioni dei
credenti è semplice: la vita è un dono di dio
(indimostrabile, ma tanto consolatorio) e l'uomo non può
disporne a proprio piacimento. Per cui, quando si tratta di
riproduzione, nessuno ha il permesso di utilizzare i mezzi che la
ricerca ha predisposto per il controllo responsabile delle nascite (gli
anticoncezionali), quando invece si tratta di tenere a tutti i costi in
stato vegetativo un essere umano, allora le chiese divengono le prime
alleate del progresso, e le vediamo inneggiare all'uso dell'accanimento
terapeutico e della macchinizzazione degli uomini.
Le due posizioni, apparentemente paradossali, sono unite da un forte
progetto culturale: quello che vede nel controllo dell'uomo,
cioè della sua mente e del suo corpo, il fine dell'azione
ecclesiale.
Gli esseri umani non devono pensare autonomamente, non devono uscire
dal proprio stato di minorità. Per questo motivo, che si tratti
di impedire l'uso della pillola anticoncezionale, o di esaltare la
violenza inutile dello stato vegetativo eterno, quello che appare
evidente è che mai può entrare in gioco la libera
volontà del singolo, il suo mondo interiore, la
possibilità che egli possa decidere per la propria esistenza.
Quindi no a tutto ciò che, compreso il testamento biologico,
possa permettere all'individuo di esercitare l'autodeterminazione su
ciò che più intimamente lo riguarda.
Citavo prima il caso Terri Schiavo. Negli Stati Uniti, i più
agguerriti nel denunciare l'immoralità di medici e marito sono
stati, manco a dirlo, gli evangelici pentecostali, cioè l'ala
più delirante e reazionaria del variegato mondo del
protestantesimo americano.
I pentecostali, in piena espansione sia negli USA che nell'America del
Sud, sono responsabili, o complici, delle politiche più retrive
delle amministrazioni repubblicane: totalmente appiattiti e
protagonisti dei progetti di espansionismo degli USA, essi hanno sempre
inneggiato a guerre, pena di morte, carceri illegali. Tutto questo
mentre da decine di televisioni predicatori assatanati delirano su
diavoli, peccato, colpe originali, inferni, dannazioni. In Italia il
cattolicesimo, a parte opportunistiche dichiarazioni pacifiste mai
seguite da fatti concreti, non è certo da meno nello sviluppare
questa doppia morale di sacralizzazione di vite che non ci sono e
negazione dei diritti degli individui.
Quindi il valore sacro della vita non è che una regola fatta di
sole eccezioni, una palese menzogna che funge da scusa per controllare
gli esseri umani, insinuandosi nelle loro camere da letto, nei loro
corpi, nei loro grembi, nelle loro vene. La chiesa si diffonde nella
vita di ognuno di noi come un virus, e come un virus diventa pervasivo
e resistente alle reazioni dell'organismo e del progresso. Può
quindi sopravvivere benissimo nella società contemporanea e
operare per minarne le conquiste morali e civili. Chi pensava di aver
cacciato dalla storia il bisogno di preti e superstizioni, dovrà
tornare a fare i conti con quelle istituzioni che negano il diritto
all'autodeterminazione e al libero pensiero.
Paolo Iervese