Volge al termine il processo che vede imputati a Torino dieci
antifascisti accusati di "devastazione e saccheggio" (art. 419) per
fatti accaduti il 18 giugno 2005. Una manifestazione indetta per
sensibilizzare la città e protestare dopo l'accoltellamento di
due occupanti del Barocchio squat da parte di una squadraccia fascista
venne caricata nella centrale via Po per impedire ai manifestanti di
arrivare nella centralissima piazza Castello. Il 30 ottobre il PM ha
formulato le sue richieste, dopo una lunga ricostruzione storica e
giuridica della vicenda e dello specifico reato: cinque anni e cinque
mesi di reclusione è la pena richiesta per tutti salvo uno degli
imputati, per il quale è stata richiesta la pena di cinque anni
e sette mesi per partecipazione anche ad una manifestazione contro il
locale cpt per immigrati. Interessante ed agghiacciante la
ricostruzione dal punto di vista giuridico del perchè gli
imputati rischino pene tanto alte pur, anche secondo il PM, essendo
loro direttamente addebitabili solo condotte di resistenza e lesioni,
cioè i tipici reati di scontri con le forze dell'ordine. Gli
imputati rispondono di "concorso" in "devastazione e saccheggio"
perchè le loro condotte sarebbero avvenute immediatamente prima
di quelle di "devastazione e saccheggio" e quindi ne avrebbero in
qualche modo consentito il verificarsi. La circostanza poi che i danni
risultanti dalla manifestazione o, meglio, dalla carica della polizia,
siano di tenue entità e che quindi risulti difficile definirli
sia "devastazione" che "saccheggio", poco rileva. Il reato punisce la
messa in pericolo dell'ordine pubblico e quindi il normale svolgersi
della civile convivenza: dato che il sabato pomeriggio dei torinesi fu
turbato dalla manifestazione o, meglio, dalle conseguenze della carica
della polizia, il reato punito dall'art. 419 c.p. è avvenuto:
è un reato di massa, certo qualcuno lo ha commesso; non sono
però gli imputati, che rispondono a titolo di "concorso" per
condotte attribuite loro antecedenti il più grave reato che
tuttavia deve essere loro imputato. La morale è: se si partecipa
ad una manifestazione si sappia che si possono rischiare più di
cinque anni di galera "se capita qualcosa". "Speciale attenzione" il PM
dedica agli anarchici imputati. A Tobia viene appiccicato il ruolo di
leader, istigatore alla violenza per tutto il corteo e poi trascinatore
dei manifestanti "come un sol uomo" (parole testuali...) contro i
poliziotti che a quel punto si devono difendere. Certo al PM Tatangelo
il libro di Tobia, "Le scarpe dei suicidi" in cui si racconta della sua
responsabilità nella morte suicida in prigionia di Sole e
Baleno, brucia, eccome. Per Massimiliano ed Agnese, il primo imputato,
la seconda teste a difesa, il PM chiede che vengano processati anche
per calunnia: hanno infatti dichiarato che Massimiliano (per il quale
sono chiesti, come per gli altri, cinque anni e cinque mesi di
reclusione) non brandì alcun tubo metallico durante la
manifestazione, ma che quel tubo è un'invenzione bella e buona
dei poliziotti; dato che gli stessi poliziotti, dice il PM, "non hanno
ragione di mentire" (sic: e le molotov portate alla Diaz? E tanti
episodi simili?...), certo mentono gli anarchici Massimiliano ed
Agnese, che quindi sono dei calunniatori.
La vicenda ha nel suo complesso, come è ovvio, chiari connotati
politici. Basti a dimostrarlo il fatto che il PM abbia totalmente
glissato sugli antefatti della manifestazione (aggressione fascista con
tentato omicidio) e quindi sulle motivazioni per cui i manifestanti
volevano portare nel centro di Torino la loro protesta. Evidentemente
questo non andava fatto e quindi la carica della polizia. Quindi le
motivazioni antifasciste vanno obliate perchè la protesta
sociale va criminalizzata. Questo processo deve evidentemente servire
da esempio: se passa l'aberrante tesi del PM, ogni manifestazione
sarà a rischio e chi vi partecipa saprà di correre il
rischio del coinvolgimento in un processo penale che potrebbe
concludersi con condanne ad anni di galera. Il 20 novembre parleranno i
difensori degli imputati. Poi forse lo stesso giorno, la sentenza.
Il cronista