«Gentile Presidente Martini, le scrive una sua dipendente
precaria, donna, intelligente, piacevole alla vista e all'udito,
stamattina agghindata con dei bei tacchi rosso radicchio e attualmente
"molto innamorata di una donna" e quindi lesbica.». Questo
è solo l'inizio di una bella lettera che una donna davvero
intelligente ha sentito di dover scrivere al Presidente della Regione
Toscana Claudio Martini dopo la polemica scaturita dalla presentazione
del manifesto per la campagna "contro le discriminazioni sessuali". E
quella lettera non è stata scritta per ringraziare il Presidente
o la Regione, anzi. Ma andiamo per ordine.
Sullo sfondo di un ospedale qualsiasi, la foto sfocata di un bambino
che si tiene ben stretto in bocca il suo piccolo ditino campeggia sul
manifesto realizzato dalla Fondazione canadese Emergence e
commissionata dalla Regione Toscana nell'ambito della campagna,
patrocinata dal Ministero delle Pari Opportunità, contro le
discriminazioni sessuali. Emerge, dall'immagine sfocata del volto del
neonato, in primissimo piano la fascetta legata al braccio del bambino,
con una scritta scura: "HOMOSEXUEL", omosessuale in francese. Questa
sarà l'immagine impressa su migliaia di manifesti, cartoline e
volantini affissi e distribuiti nelle città toscane, negli
uffici pubblici, davanti alle scuole.
Sarà inoltre il logo di una due giorni di incontri contro le
discriminazioni che si svolgerà a Firenze nell'ambito del
festival della creatività, a cui parteciperanno anche la
ministra Barbara Pollastrini, i presidenti della Toscana Claudio
Martini e della Puglia Nichi Vendola, Oliviero Toscani (come il
prezzemolo), Pierre Blain della Fondazione Emergence, il presidente
dell'associazione europea gay della polizia Jan Snijder, e altri
studiosi ed esperti nazionali e internazionali.
Lo slogan del manifesto è perentorio: "l'orientamento sessuale
non è una scelta", ancora più accuratamente spiegato da
uno dei protagonisti della campagna, Alessio De Giorgi, già
presidente dell'Arcigay Toscana, il quale ribadisce incredibilmente che
"il messaggio che vogliamo lanciare è che l'omosessualità
non è una scelta, ma un dato immutabile e da rispettare". Gli
fanno eco l'assessore regionale alle riforme istituzionali Agostino
Fragai (Pd), Paolo Chiappini della Fondazione Sistema Toscana e
addirittura Aurelio Mancuso, presidente nazionale Arcigay, che invita
l'Italia "ad adeguarsi alla Toscana, la nuova campagna di comunicazione
è assolutamente all'avanguardia". Vien da rimpiangere Grillini,
qualcuno di voi penserà, e invece eccovi serviti: il deputato
socialista e presidente onorario di Arcigay accoglie "con molta
soddisfazione la nuova e coraggiosa campagna contro l'omofobia".
Coraggiosa per chi?
Inutile soffermarsi sulle sciocchezze sostenute dalla destra
istituzionale e non, quanto invece sulle giuste e sacrosante proteste
sollevate dalla galassia, individuale e collettiva, che il mondo lgbt
italiano rappresenta. La ragazza, che ha scritto a Martini, ha
trent'anni, e dopo una vita etero, si è innamorata di una donna.
Adesso è lesbica. Si interroga durante il suo colloquio (o
soliloquio) con le istituzioni sul perché si debba ricorrere
alle leggi di natura per dimostrare la giustezza o meno di
quell'universo complesso che parla di desiderio, scelte,
volontà, coraggio (qua la parola è davvero opportuna).
Silvia (questo il suo nome inventato) dice: io sono omosessuale
perché lo voglio. Non si tratta di gridare allo scandalo del
politically correct nel sostenere quanto sbagliato è il
messaggio di quella campagna. Il braccialetto di quel neonato offre
evidentemente l'interpretazione che non è colpa di nessuno se
gli omosessuali nascono così.
Graziella Bertozzo di Azione gay e lesbica e Facciamo Breccia, sostiene
molto opportunamente - nella risposta ad Aurelio Mancuso apparsa in una
lista di discussione femminista - che qui sono i criteri di una
campagna efficace per i diritti lgbt ad essere sotto accusa, e questo
è ancora più evidente se pensiamo ad una campagna con
analoghi criteri per sostenere i diritti dei "colored" o delle donne. A
prescindere dal dibattito natura/cultura e dall'"omosessuali si nasce o
si diventa", probabilmente è vero che nessun movimento contro
l'apartheid o alcun movimento delle donne plaudirebbe. Ed è
probabilmente inutile rivendicare l'appartenenza a questa o quella
scuola di femminismo, recuperando le omofobiche e antipatiche invettive
della Irigaray contro le lesbiche, o al contrario facendo proprie le
teorie di Adrienne Rich sul "continuum lesbico", interrogandoci su
quanto prevalga la componente di attrazione verso il nostro stesso
sesso dentro di noi. È bene ricordare che lo slogan
"essenzialista" è stato usato nel primo Novecento dalle stesse
associazioni gay, e dopo passato a revisione di una buona autocritica.
Spostare la discussione sulle cause dell'omosessualità è
il vero problema, alla base di quell'insopportabile scelta di
comunicazione da parte della Regione Toscana, poiché nessuno mai
si è chiesto le ragioni dell'eterosessualità, ed in
questo senso, se volessimo provare a dire la nostra almeno sul piano
comunicativo-pubblicitario, mettere l'accento sulla scelta "di non
essere etero" sarebbe stato certamente più forte, più
antagonista, più rivendicativo ma probabilmente… troppo
lesbico e troppo gay, in una parola "troppo omosessuale". Segno del
fatto che, come sosteneva Foucault, molte parole intorno al "discorso"
sul sesso, ben lungi da liberare il sesso, al contrario fondano un
nuovo codice (repressivo, condizionante, discriminatorio). Torniamo
alla domanda iniziale: una campagna coraggiosa per chi? Certamente non
in sostegno dell'omosessualità.
Magù