Di tanto in tanto, la chiesa cattolica produce spettacoli di massa
per l'edificazione dei fedeli e per mostrare a tutti il proprio potere
di manipolazione e mobilitazione.
Il 28 ottobre è stato il caso della più grande
beatificazione nella storia. Nella ricorrenza della "Marcia su Roma",
in piazza San Pietro il papa e le alte gerarchie vaticane hanno reso
onore a quasi 500 "martiri della fede", morti nella Spagna degli anni
Trenta. Al tempo stesso gli apparati sono riusciti a trascinare a Roma
alcune decine di migliaia di devoti, più di 70 vescovi e altri
esponenti della CCAR (Chiesa Cattolica Apostolica Romana). Cifra
ragguardevole, ma nettamente inferiore a quella di un milione di fedeli
spagnoli, sparata qualche settimana prima dalle stesse fonti.
Evidentemente qualcosa non ha funzionato alla perfezione nella
"cattolicissima" Spagna. Nella terra dell'integralismo cattolico
plurisecolare il clericalismo sta subendo dei colpi ad opera del
laicismo, sia ufficiale (matrimonio tra gay, facilitazione del divorzio
e dell'aborto, riduzione delle prerogative nel campo dell'istruzione e,
in parte minima, dei privilegi fiscali) che sociale con la riduzione
drastica delle vocazioni sacerdotali e delle pratiche religiose.
Nemmeno la scoperta e l'uso spregiudicato delle tecniche di
comunicazione di massa (in particolare la Radio COPE, fonte di una
costante campagna di vittimizzazione, finanziata dalla Conferenza
episcopale) riescono a gestire le masse come durante il franchismo.
Nostalgie franchiste
In effetti, la chiesa spagnola di oggi mostra un forte rimpianto per i
tempi in cui era la "Religione di Stato" e la CCAR controllava la vita
sociale in tutte le sue espressioni. Non a caso Franco fu un dictador
bajo palio: nelle funzioni religiose egli era accompagnato da un palio,
quasi fosse una reliquia o la stessa madonna. Non era infondata la
riconoscenza delle isituzioni cattoliche al più feroce e
dittatore europeo (dopo la fine della guerra civile, si calcolano in
circa 100.000 i fucilati fino al 1945). Il Caudillo continuò a
governare per quasi quarant'anni, fino alla morte (nel suo letto!)
avvenuta nel novembre del 1975, dopo essere andato al potere con
l'appoggio determinante di Mussolini e di Hitler.
La chiesa aveva benedetto la sua guerra definendola Cruzada, i preti
avevano segnalato alla polizia politica i possibili desafectos nei
villaggi e nei quartieri popolari per la repressione immediata, le
istituzioni clericali avevano costretto per decenni tutti i bambini a
pregare per Dios y Franco. Da parte sua il regime aveva consegnato
l'istruzione ai religiosi, aveva proibito ogni tipo di religione
concorrente, aveva riconosciuto al potere ecclesiastico sovvenzioni e
prerogative molto superiori a quelle degli altri paesi cosiddetti
cattolici.
La dittatura franchista si era autolegittimata con la vittoria militare
nella guerra civile del 1936-39 e attuava una netta discriminazione
verso i rojos, i repubblicani di ogni tendenza, costantemente
emarginati nel lavoro e umiliati nella vita quotidiana oltre che nella
retorica pubblica. Al tempo stesso si celebravano e osannavano i
martiri franchisti esaltandone l'eroismo, la fede, l'amor patrio che li
aveva portati al sacrificio massimo per impedire che la Spagna cadesse
nelle mani della sovversione russa, dell'ateismo e dell'anarchia.
Dalla moderazione alla lotta clericale
Analogamente oggi la chiesa rievoca i propri morti ignorando
deliberatamente il loro ruolo politico e presentandoli come pure
vittime innocenti della altrui brutalità. La CCAR non evoca
ovviamente la natura e la radicalità degli scontri sociali e
politici degli anni Trenta, cancella il contesto storico di una
contrapposizione frontale tra buona parte del proletariato e le classi
dirigenti spagnole, annulla le motivazioni dei protagonisti, anche di
quelli con i quali si erano schierati i "martiri". Astraendo da ogni
riferimento reale resta solo l'immagine edulcorata delle loro
"esistenze esemplari", l'"immolazione eroica di se stessi", e le
"preghiere per coloro che li perseguitano". Di questo tono è
l'omelia del cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano,
pronunciata durante la messa del 29 ottobre. Lo stesso alto prelato
esclude "implicazioni politiche" nella beatificazione che non
intenderebbe "lottare contro chicchessia" e minimizza il peso politico
dell'operazione mediatica in corso.
Però non ci si può nascondere a lungo. Poco dopo lo
stesso testo vaticano auspica che la cerimonia romana dei 500 martiri
stimoli "una vigorosa chiamata a ravvivare la fede" e che il loro
esempio sia "seme fecondo di numerose e sante vocazioni al sacerdozio e
alla vita consacrata". Perciò tutti possono verificare che le
finalità della mobilitazione vanno trovate nel rafforzamento
organizzativo della stessa chiesa e non in un generico omaggio
funerario a delle povere vittime innocenti. Conferma evidente di tale
finalità di potenziamento dello spirito militante si ha nello
svolgimento della cerimonia: al culmine le masse addestrate intonano
l'inno "Christus vincit", tipico delle formazioni di lotta contro il
laicismo.
Dal canto suo il cardinale José Saraiva Martins, delegato del
papa per l'occasione, ha ricordato che "I martiri (...) hanno offerto
la loro vita gridando 'Viva Cristo re'". Forse l'illustre personaggio
non si rendeva conto che tale grido richiama molto da vicino la teoria
e la pratica integralista secondo cui il potere politico deriva da un
ente superiore al popolo e ha riproposto, con innocenza, una linea
ideologica e militante di tipo teocratico.
Ancora più esplicito è, come spesso succede, il tono
dell'articolo dell'"Osservatore Romano", l'organo ufficiale della CCAR,
del 28 ottobre a firma Juan Manuel de Prada. Dopo qualche cenno di
convenienza alla "concordia e al perdono", egli rileva che la
beatificazione "coincide con la promulgazione in Spagna di una Legge
della memoria storica che semina zizzania perché ha riaperto la
ferita del rancore e fatto agitare i fantasmi fratricidi di una
battaglia i cui echi continuano ad infettare la convivenza degli
spagnoli. Contro questi fantasmi s'innalza la testimonianza dei martiri
che oggi saranno elevati agli onori degli altari". Alla faccia
dell'esclusione di ogni intento polemico! Qui si entra direttamente in
un dibattito politico in corso e si sposano le tesi del Partido
Popular, quello del noto José María Aznar, secondo cui
non si dovrebbe rievocare il passato e la riconciliazione dovrebbe
avvenire cancellando le responsabilità della dittatura. Le vere
vittime della repressione franchista e i loro discendenti dovrebbero
semplicemente dimenticare, in nome della concordia nazionale, le
sofferenze subite per decenni e non chiedere un atto di giustizia pur
tardiva. Ecco come si ricompongono le ferite della società: le
tragedie del popolo devono rientrare nel buio dell'oblio!
Claudio Venza