Umanità Nova, n.37 del 18 novembre 2007, anno 87

Sciopero generale del 9 novembre. Anche questa è fatta


Anche questa è fatta. Questo l'intercalare tipico di Giuseppe II d'Austria (almeno nel film Amadeus di Milos Forman) alla composizione di ogni grana di corte dovuta alle intemperanze del giovane Mozart. E accompagnava la frase fregandosi le mani (mi sembra di ricordare) in segno di soddisfazione. Anche noi potremmo riprendere questo dire, conclusa la giornata di lotta del 9 novembre con tutta la lunga preparazione da cui è stata preceduta. Si vorrebbe, in casi come questi, stendere un bilancio e proporre indicazioni derivate. Essendo il mio giudizio altalenante tra foschi presagi e caute speranze, mi limito ad alcune considerazioni:
1) Lo sciopero e la sua indizione: Lo sciopero era necessario, una risposta obbligata ai giri di vite di governo e imprenditori ed ai futuri attacchi alle condizioni di lavoro e di vita della working class. Una critica dura e senza appello alla politica nefanda e subalterna dei sindacati di stato. Un segnale preciso a coloro che (forse ingenuamente, ma anche questa attenuante ha i giorni contati) continuano a far mostra di credere e a propalare l'assurdità di una Cgil "riorientabile" su posizioni di classe. Una lezione, questa (dell'irriformabilità cigiellina) che sembrano aver colto settori del sindacalismo di base e della sinistra ex-rifondazione tradizionalmente inclini a "dialogare" con una presunta sinistra confederale. L'indizione unitaria dello sciopero e l'adesione pressoché unanime di tutta l'area politico-sociale estranea (almeno formalmente) al teatrino istituzionale, hanno rappresentato un elemento relativamente nuovo e sicuramente positivo.
2) L'adesione allo sciopero e le manifestazioni: La Cub dichiara oltre due milioni di scioperanti e 400.000 manifestanti. Anche dimezzate (doverosamente e realisticamente, viste certe attitudini autoesaltatorie) queste cifre rappresentano un elemento non trascurabile, visto il sistematico boicottaggio dei mass-media che, "impegnati" col problema sicurezza e con la caccia al rom, hanno dato notizia dello sciopero (derubricato ad agitazione nei trasporti, servizi e pubblico impiego) solo in quanto possibile causa di disagi nei trasporti. Soprattutto la presenza in piazza (che poi è il dato più certo e rappresentativo del livello di coscienza espresso) merita riflessione, anche e principalmente per la composizione sociale dei manifestanti: molti di più i lavoratori (stabili o precari che fossero) rispetto ad altre categorie recentemente e massicciamente impegnate in lotte settoriali contro le politiche governative (studenti, ma anche movimenti ambientalisti e antimilitaristi).
3) Quest'ultimo elemento induce a considerazioni ambivalenti. Da un lato, la buona partecipazione di lavoratori in senso stretto, conferma il consolidarsi di un'opposizione attiva alle vessatorie politiche imprenditorial-governative e al benevolo avvallo confederale, sedimentando l'opposizione semi-passiva del rifiuto della truffa dei fondi pensione e del blocco (astensione-no) che nei fatti ha respinto l'accordo sul welfare. Dall'altro però, la non altrettanto buona partecipazione di altri settori antagonisti sembra indicare un misconoscimento del carattere prevalentemente politico dello sciopero (o quantomeno dell'articolazione delle piattaforme che ambivano ad investire tutto l'antagonismo sociale) e la sua derubricazione (nel conscio o nel subconscio di molti) ad agitazione generalizzata sì, ma inerente nella sostanza la condizione del lavoro salariato e delle sue propaggini. Un limite di comprensione o di capacità di comunicazione? Oppure, un'insufficienza contingente o un limite strutturale del sindacalismo di base e conflittuale?
4) Concludo su quest'ultimo interrogativo. Il sindacalismo di base, autorganizzato e conflittuale (con tutte le varie graduazioni di attribuzione di queste caratteristiche) è ormai da parecchi anni una realtà consolidata e importante. Però non decolla, anche se cresce lo fa, da anni, lentamente e comunque non supera limiti numerici che lo collocano in una nicchia di minoranza del movimento sindacale complessivo. Di più: nonostante le enunciazioni di principio e le belle intenzioni, non riesce nelle sue battaglie (e quest'ultimo sciopero lo conferma) ad apparire rappresentativo di una conflittualità sociale variegata e frastagliata. Allora la domanda che conviene porsi - in maniera anche molto cruda - è: siamo solamente di fronte ai limiti di una dirigenza e di un ceto militante formatisi alla vecchia scuola sindacal-vertenziale (fabbrichista e/o categoriale) e, sostanzialmente, maturi per il pensionamento? Oppure i limiti sono quelli della forma-sindacato tradizionale (legata ad una precisa fase dello sviluppo capitalistico) che autorganizzazione e sindacalismo di base hanno ereditato e introiettato?
Scusandomi per l'estrema semplificazione, penso che su quest'ordine di problemi (come direbbe un caro e noto compagno) valga la pena di riflettere. Lo sciopero testé concluso ce ne dà il destro.

Walter Kerwal


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