Umanità Nova, n.38 del 25 novembre 2007, anno 87

Calcio e capitale. Un gioco sporco


Può esistere un approccio libertario al "sistema gioco del calcio", o al "sistema gioco del basket", o al "sistema gioco del tamburello" e via dicendo? Dipende di che cosa stiamo parlando.
Postulati non dimostrabili.
- Non dovremmo avere alcuna voglia di giudicare un gioco o uno sport in quanto tale. Se piace è perché piace. Punto. Frasi come "che schifo il gioco del calcio…"; "che schifo il gioco delle bocce…" etc. non dovrebbero essere accettate in quanto espressione di un mero approccio personale.
- Allo stesso tempo non dovremmo discutere se gruppi di persone hanno voglia di aggregarsi per tifare per una società sportiva, portare i colori della stessa, mandarsi a diversi paesi etc.
Dico questo come orientamento di massima alla questione calcio come ad ogni altra questione similare, pena cadere miserabilmente in moralismi di sorta.
Punti critici.
Il nostro è un approccio critico radicale e rivoluzionario alla società capitalistica, allo stato ed alle sue funzioni etc. Quindi anche dello sport come elemento che, non diversamente da altri, è parte della società capitalistica a noi contemporanea.

- Il gioco del calcio, per quanto riguarda il suo settore professionistico, ma lo stesso ragionamento potrebbe essere condotto anche se con diversità evidenti per il settore dilettantistico, è dominato da società capitalistiche, rette da padroni e da sgherri compiaciuti (compresi giornalisti e giornalai) e presso cui prestano opera uno stuolo notevole di personale dipendente ed autonomo in alcuni casi strapagato ed in altri molto ben pagato per arrivare, infine, a quello sfruttato (come in ogni altra impresa capitalistica che si rispetti). Visto che sono molti gli interessi finanziari e molti gli appetiti che ne seguono, questo gioco, a suo tempo popolare per propri meriti, riceve sponsorizzazioni che lo spingono molto al di sopra del reale interesse che suscita nel paese. Interesse che, anche se "incoraggiato", è comunque cospicuo (decine di migliaia di persone lo seguono regolarmente).
- Così come il capitalismo si è modificato anche il gioco del calcio è andato di pari passo: internazionalizzazioni di uomini e di capitali, interessi televisivi, riciclaggio di denari di provenienze diverse, managerizzazione e finanziarizzazione (ad esempio con le quotazioni in borsa) dello società e via dicendo.
- Il tifo organizzato, per quando ideologicamente prenda le distanze in maniera più o meno formale ("no al calcio moderno"), segue le ristrutturazioni capitalistiche di questo settore, raccogliendo, in parte (dipende molto anche dalle società in questione) bricioloni più o meno grandi dei soldi che annualmente vengono elargiti per il sostegno delle trasferte, per le vendite dei biglietti e dei gadget...
- Sulla purezza, infatti, del tifo e soprattutto di alcune frange in contato diretto con le dirigenze azionarie e padronali delle squadre di calcio, ho sempre avuto più di un dubbio. Accoltellamenti "fratelli", scambi di mazzate e di amichevoli botte interni a stessi gruppi di ultras sono spesso indicativi di spartizioni di spazi (ad esempio interni alle curve) che corrispondono anche a spazi di affari economici.
- La violenza: la violenza fa parte costitutivamente dei rapporti sociali e materiali delle persone che vivono rapporti di lavoro, sociali, di sfruttamento, di malessere a volte politicamente pilotato (sia a destra che a sinistra) nelle nostre società. Gli stadi portano, non diversamente da essa (la società) quella violenza presente in maniera massiccia che trova sfoghi sempre più spesso più disperati e disperanti.
- La diversità della violenza da stadio è che accorpa modelli, persone, comportamenti apparentemente lontani. È una violenza che si potrebbe definire tribale. Non è importante la classe sociale di appartenenza, gli stili di comportamento e neppure le ideologie politiche; sì neppure queste visto che negli stadi sono previste e prevedibili compresenze che al fuori di queste sarebbero ritenute inammissibili. Le bandiere accorpano e uniscono. Non è un caso che siano divenute territorio di intervento politico fascista, perché le premesse, ovvero l'identità tribale, sono sicuramente a destra.
- In ultimo, il grande salto qualitativo del capitalismo calcistico, ma potrei dire di tutti gli sport che conosciamo, è quello di attirare a sé, ovvero nella gestione societaria, i propri clienti, ovvero i tifosi. Questa è la vera quadratura del cerchio: e non parlo soltanto di quelli che dividono le briciole del sistema, come avevo ricordato prima, ma anche dei puri e semplici usufruttuari delle partite. Il tifoso medio infatti condivide, durante la settimana, le scelte strategiche aziendali, gli acquisti di giocatori e di allenatori, l'acquisizione di nuove risorse rimostrando apprezzamenti o rifiuti vero la dirigenza e addirittura verso la presidenza, caldeggiando questo o quel passaggio societario, acquisendo azioni e via cantando. Insomma il corporativismo sportivo tradotto a modello sociale: ed è una delle ragioni che fanno ipocrite le scelte anti - ultras (intese come anti - violenza delle società calcistiche). Le società potranno schierarsi contro i propri tifosi solo quando avranno una compensazione monetaria tale (ad esempio di diritti televisivi o altro) tali da rendere superflua la presenza pagante negli stadi.
Lo sport capitalistico è riuscito a fare quello che le più grandi società capitalistiche mondiali sperano ancora di riuscire a fare. La cosa importante da sapere è che lì non si forma alcun tipo di antagonismo al sistema capitalistico.
Poi ognuno faccia come gli pare.

Pietro Stara



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