Può esistere un approccio libertario al "sistema gioco del
calcio", o al "sistema gioco del basket", o al "sistema gioco del
tamburello" e via dicendo? Dipende di che cosa stiamo parlando.
Postulati non dimostrabili.
- Non dovremmo avere alcuna voglia di giudicare un gioco o uno sport in
quanto tale. Se piace è perché piace. Punto. Frasi come
"che schifo il gioco del calcio…"; "che schifo il gioco delle
bocce…" etc. non dovrebbero essere accettate in quanto
espressione di un mero approccio personale.
- Allo stesso tempo non dovremmo discutere se gruppi di persone hanno
voglia di aggregarsi per tifare per una società sportiva,
portare i colori della stessa, mandarsi a diversi paesi etc.
Dico questo come orientamento di massima alla questione calcio come ad
ogni altra questione similare, pena cadere miserabilmente in moralismi
di sorta.
Punti critici.
Il nostro è un approccio critico radicale e rivoluzionario alla
società capitalistica, allo stato ed alle sue funzioni etc.
Quindi anche dello sport come elemento che, non diversamente da altri,
è parte della società capitalistica a noi contemporanea.
- Il gioco del calcio, per quanto riguarda il suo settore
professionistico, ma lo stesso ragionamento potrebbe essere condotto
anche se con diversità evidenti per il settore dilettantistico,
è dominato da società capitalistiche, rette da padroni e
da sgherri compiaciuti (compresi giornalisti e giornalai) e presso cui
prestano opera uno stuolo notevole di personale dipendente ed autonomo
in alcuni casi strapagato ed in altri molto ben pagato per arrivare,
infine, a quello sfruttato (come in ogni altra impresa capitalistica
che si rispetti). Visto che sono molti gli interessi finanziari e molti
gli appetiti che ne seguono, questo gioco, a suo tempo popolare per
propri meriti, riceve sponsorizzazioni che lo spingono molto al di
sopra del reale interesse che suscita nel paese. Interesse che, anche
se "incoraggiato", è comunque cospicuo (decine di migliaia di
persone lo seguono regolarmente).
- Così come il capitalismo si è modificato anche il gioco
del calcio è andato di pari passo: internazionalizzazioni di
uomini e di capitali, interessi televisivi, riciclaggio di denari di
provenienze diverse, managerizzazione e finanziarizzazione (ad esempio
con le quotazioni in borsa) dello società e via dicendo.
- Il tifo organizzato, per quando ideologicamente prenda le distanze in
maniera più o meno formale ("no al calcio moderno"), segue le
ristrutturazioni capitalistiche di questo settore, raccogliendo, in
parte (dipende molto anche dalle società in questione)
bricioloni più o meno grandi dei soldi che annualmente vengono
elargiti per il sostegno delle trasferte, per le vendite dei biglietti
e dei gadget...
- Sulla purezza, infatti, del tifo e soprattutto di alcune frange in
contato diretto con le dirigenze azionarie e padronali delle squadre di
calcio, ho sempre avuto più di un dubbio. Accoltellamenti
"fratelli", scambi di mazzate e di amichevoli botte interni a stessi
gruppi di ultras sono spesso indicativi di spartizioni di spazi (ad
esempio interni alle curve) che corrispondono anche a spazi di affari
economici.
- La violenza: la violenza fa parte costitutivamente dei rapporti
sociali e materiali delle persone che vivono rapporti di lavoro,
sociali, di sfruttamento, di malessere a volte politicamente pilotato
(sia a destra che a sinistra) nelle nostre società. Gli stadi
portano, non diversamente da essa (la società) quella violenza
presente in maniera massiccia che trova sfoghi sempre più spesso
più disperati e disperanti.
- La diversità della violenza da stadio è che accorpa
modelli, persone, comportamenti apparentemente lontani. È una
violenza che si potrebbe definire tribale. Non è importante la
classe sociale di appartenenza, gli stili di comportamento e neppure le
ideologie politiche; sì neppure queste visto che negli stadi
sono previste e prevedibili compresenze che al fuori di queste
sarebbero ritenute inammissibili. Le bandiere accorpano e uniscono. Non
è un caso che siano divenute territorio di intervento politico
fascista, perché le premesse, ovvero l'identità tribale,
sono sicuramente a destra.
- In ultimo, il grande salto qualitativo del capitalismo calcistico, ma
potrei dire di tutti gli sport che conosciamo, è quello di
attirare a sé, ovvero nella gestione societaria, i propri
clienti, ovvero i tifosi. Questa è la vera quadratura del
cerchio: e non parlo soltanto di quelli che dividono le briciole del
sistema, come avevo ricordato prima, ma anche dei puri e semplici
usufruttuari delle partite. Il tifoso medio infatti condivide, durante
la settimana, le scelte strategiche aziendali, gli acquisti di
giocatori e di allenatori, l'acquisizione di nuove risorse rimostrando
apprezzamenti o rifiuti vero la dirigenza e addirittura verso la
presidenza, caldeggiando questo o quel passaggio societario, acquisendo
azioni e via cantando. Insomma il corporativismo sportivo tradotto a
modello sociale: ed è una delle ragioni che fanno ipocrite le
scelte anti - ultras (intese come anti - violenza delle società
calcistiche). Le società potranno schierarsi contro i propri
tifosi solo quando avranno una compensazione monetaria tale (ad esempio
di diritti televisivi o altro) tali da rendere superflua la presenza
pagante negli stadi.
Lo sport capitalistico è riuscito a fare quello che le
più grandi società capitalistiche mondiali sperano ancora
di riuscire a fare. La cosa importante da sapere è che lì
non si forma alcun tipo di antagonismo al sistema capitalistico.
Poi ognuno faccia come gli pare.
Pietro Stara