Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere.
(George Orwell)
In un sondaggio dello scorso anno, realizzato dalla Bbc, era emerso che
il 29% dei cittadini britannici intervistati era favorevole alla
reintroduzione della tortura "in certe circostanze". Negli Stati Uniti
la percentuale di chi si dichiara a favore della violenza legale contro
i prigionieri risulta essere del 36%, mentre in Italia si registra un
14% di "possibilisti", sponsorizzati dalla Lega Nord quale portavoce
delle peggiori psicopatologie collettive, ma anche rassicurati dal
fatto che –incredibilmente - in Italia il delitto di tortura non
è ancora contemplato nel codice penale.
Questi dati, seppure frutto di rilevazioni statistiche, indicano
comunque la diffusione di un'opinione che ormai si va allargando nelle
cosiddette democrazie, grazie soprattutto alla creazione della figura
di un nemico, visto come il Male assoluto, contro cui è lecito
usare ogni mezzo, compresa la negazione di quei diritti umani
elementari su cui teoricamente dovrebbero fondarsi le democrazie
liberali.
Se in passato il nemico della società è stato vestito con
i panni prima dell'anarchico e poi del comunista, ora prevale
l'indistinta figura dell'islamico sinonimo di fanatico terrorista,
buono per ogni alibi morale e politico.
D'altronde il ricorso sistematico alla tortura nei confronti dei
sospetti terroristi, è stato ritenuto un mezzo giustificato dal
fine persino da settori ed esponenti liberal della società
statunitense, quali ad esempio Alan Dershowitz esimio professore di
legge ad Harvard, favorevole alla sua legalizzazione; legalizzazione in
realtà già riconosciuta da direttive neanche troppo
segretamente emanate dal ministero della giustizia degli Stati Uniti.
Da documenti ufficiali risulta confermato che l'attuale amministrazione
Bush autorizza sui detenuti trattamenti quali l'ipotermia, la
privazione del sonno o la simulazione di asfissia, senza ritenere che
tali misure siano equiparabili, dal punto di vista legale, a torture.
D'altronde metodi analoghi rientrano nel normale regime carcerario
statunitense, specialmente nei reparti di massima sicurezza.
Persino l'ex presidente Jimmy Carter in una recente intervista alla Cnn
è giunto ad ammettere che "abbiamo detto che la Convenzione di
Ginevra non si applica alla gente di Abu Ghraib e a Guantanamo e
abbiamo detto che possiamo torturare i prigionieri e privarli del
diritto di venir incriminati dei reati di cui sono accusati";
circostanze queste ancora più inquietanti se si pensa che
secondo le indicazioni stilate dal Pentagono i detenuti potranno essere
condannati a morte anche in base alle confessioni estorte sotto tortura.
Altri inquietanti dettagli sono emersi anche dalla recente divulgazione
del manuale riguardante le procedure operative applicate nel campo di
Guantanamo (Camp Delta Standard Operatine Procedures), tra cui sono
esplicitamente incluse varie tecniche di manipolazione psicologica
anche attraverso l'uso dei cani, paradossalmente definiti Military
Working Dog.
D'altronde, è notorio che nei centri d'addestramento Usa, come
quello famoso di Fort Bragg, ai componenti dei reparti speciali Usa si
insegnano anche le tecniche più estreme per gli interrogatori
dei prigionieri; significativa al riguardo la testimonianza di un
cittadino britannico, rinchiuso a Guantanamo, che ha riferito di aver
subito torture sia fisiche che psicologiche da agenti statunitensi, tra
cui ferite ai genitali e l'ascolto forzato di musica ad altissimo
volume.
Nell'aprile dello scorso anno, infatti, secondo un rapporto diffuso da
tre organizzazioni per i diritti umani, erano almeno 460 i casi di
persone vittime di abusi e torture in Iraq, Afganistan e Guantanamo,
per mano di circa 600 tra contractor e militari Usa.
L'opinione di Orwell trova quindi puntuale conferma seguendo la
politica statunitense, almeno a partire dalla vicenda di Abu Ghraib nel
2004, quando il Pentagono giunse ad ammettere 35 casi accertati di
tortura su prigionieri in mano alle forze Usa in Iraq e Afganistan
presso la base di Bagram, nonché 25 vittime tra gli stessi.
Queste e altre violazioni dei diritti umani erano state da tempo
segnalate anche dalla Croce Rossa Internazionale, ma per mesi tali
rapporti erano rimasti lettera morta.
In seguito alle inchieste giornalistiche e alle indagini legali,
risultava che le pratiche applicate ai danni dei prigionieri erano
previste e codificate dal Pentagono in un sistema denominato R-21,
imposto anche alle altre forze della coalizione antiterrorismo, infatti
analoghi crimini sono stati compiuti da militari britannici nella
provincia di Bassora. Tra gli altri carceri dell'incubo veniva
segnalato quello della città di Mosul.
Nel maggio 2004, la vedova di Massimiliano Bruno, militare morto
nell'attentato di Nassiriya faceva accenno a sevizie compiute da
soldati italiani su cinque fermati, ma rapidamente ritrattava,
togliendo dai guai il governo.
In seguito, emergeva anche la circostanza che i militari australiani
erano al corrente di quanto normalmente avveniva nel carcere di Abu
Ghraib che, peraltro, nel maggio vedeva la rapida scarcerazione di
oltre mille detenuti che potevano rivelarsi altrettanto testimoni
scomodi. Secondo alcune rivelazioni giornalistiche risulta, che oltre
ai militari statunitensi incaricati della sorveglianza, nel famigerato
carcere operavano funzionari dell'Oga (Altra agenzia del governo),
facente capo alla Cia, ma anche medici militari collusi con gli
aguzzini in uniforme.
Nel giugno 2004, un contractor che aveva lavorato per la Cia, David
Passaro, viene incriminato da un tribunale Usa per aver torturato e
ucciso un prigioniero di guerra in Afganistan; è il primo civile
inquisito per abusi sui prigionieri, ma non sarà l'ultimo, dato
che ai mercenari delle compagnie private di sicurezza è
appaltata pure la gestione delle carceri.
Il Dipartimento della difesa Usa escludeva quindi la possibilità
che su Abu Ghraib potesse essere condotta un'inchiesta indipendente,
come richiesto più volte da organizzazioni umanitarie quali
Amnesty International e Human Rights Watch.
Un anno dopo, nel 2005, i militari statunitensi riconosciuti nelle foto
che ritraevano le vessazioni e le uccisioni, in parte vengono assolti
mentre alcuni sono condannati a pochi mesi; condannati dalla corte
marziale britannica anche tre soldati inglesi. Almeno cinque denunce
internazionali, promosse da varie associazioni (Il Centro Europeo per i
diritti umani e costituzionali, la Lega francese per i diritti umani,
la Federazione internazionale per i diritti umani…), gravano
tutt'ora su Donald Rumsfeld per aver "aver autorizzato la tortura e il
trattamento disumano e degradante di prigionieri", ad Abu Ghraib, a
Guantanamo e in Afganistan; ma le autorità statunitensi e
irachene non hanno mai aperto un'inchiesta sulle responsabilità
dell'ex-segretario di Stato e dei vertici militari Usa, nonostante che
anche l'ex-generale dell'Us.Army, Janis Karpinski, già
comandante del carcere di Abu Ghraib e di altre strutture detentive
irachene, abbia depositato a riguardo una compromettente testimonianza
scritta alla procura di Parigi.
Il dominio non può infatti mettere in discussione l'utilizzo
della tortura, non tanto per strappare informazioni, ma per diffondere
il terrore non solo tra i malcapitati rinchiusi nelle strutture di
detenzione ma soprattutto tra i possibili oppositori e resistenti che
sono fuori di esse.
Migliore conferma non è immaginabile, se non dalle parole dei
militari incriminati per Abu Ghraib: "la tortura è lo strumento
più efficace per ottenere il controllo sociale".
Niente da aggiungere.
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