Uno dei vantaggi della nostra specie è la possibilità
di tramandare alle nostre generazioni future informazioni ed esperienze
acquisite. Questo si traduce in un potenziale vantaggio in termini di
coscienza e memoria. E su questo piano che l'università è
chiamata a svolgere il suo ruolo. Oltre la capacità di
conservare la memoria della conoscenza acquisita l'università
dovrebbe lavorare per aumentare, tramite la ricerca ed il sapere
critico-libero, il grado di conoscenza disponibile per chiunque e
condivisibile con la società tutta.
L'Università nasce nel medio evo, i monaci benedettini e poi i
tipografi hanno il compito di costruire le prime grandi biblioteche e
poi moltiplicate dalle università.
Federico II è un interessante esempio laico e positivo di
trasmissione del sapere alle nuove generazioni. Con Galileo prima, e
poi con l'illuminismo la ricerca scientifica, il sapere critico diviene
la parte incontrollata e fertile dell' università e portatrice
di nuovi saperi.
Con Federico II si ha anche un altro evento che segnerà la
storia del sapere moderno: lo scontro con la chiesa ed il papato, che
va letto come scontro tra il sapere relativo dell'università
contro il sapere dogmatico del vaticano: una lotta ancora aperta ed
estremamente attuale (creazionisti verso evoluzionisti atei).
Purtroppo, limiti finanziari, mancanza di volontà, scelte
"strategiche" decise lontano da chi l'università la fa:
studenti, docenti, personale amministrativo, servizi, indotto vario,
impediscono che lo studio, la ricerca e l'accademia siano strumenti di
arricchimento sociale.
I fatti.
Ricomincia l'anno accademico ed una parte importante della società riprende la sua magra e grama vita accademica.
Negli ultimi 10 anni tre riforme hanno cambiato il volto
dell'università italiana: la riforma del 1993 sull'autonomia
universitaria, quella del 1998 sul decentramento dei concorsi, ed
infine il 3+2 del 1999 che significa laurea breve di 3 anni più
2 anni di laurea specialistica.
Nonostante lo sforzo riformatore i risultati non sono incoraggianti:
1) La percentuale di studenti fuori corso è aumentata dall'a.a.
1994/95 all'a.a. 2000/01 fino a raggiungere circa il 42%; negli anni
successivi all'avvio della riforma si è verificata una discreta
riduzione (i fuori corso erano il 36,2% nel 2003/04), ma già
dallo scorso anno si è registrata un'inversione di tendenza, che
si ripresenta per il 2005/06: se i dati venissero confermati, la
percentuale di fuori corso raggiungerebbe il 45,9% al di sopra delle
percentuali pre-riforme.
2) Da una parte i docenti sempre più mal pagati e privi di
sostegno per la loro attività di ricerca. I sempre più
pesanti carichi didattici per coprire una platea di studenti sempre
più vasta (lauree triennali, master, dottorati, lauree
specialistiche) si è passati da 2.444 corsi attivi nel 2000-2001
ai 5.434 (+122,3%) attivi nell'a.a. appena iniziato (fonte CRUI). Il
proliferare dei corsi svincolati a qualsiasi necessità
territoriale ha danneggiato la già sinistrata ricerca ed
abbassato il livello qualitativo della didattica (dal Libro Verde spesa
pubblica Ministero delle finanze http://www.mef.gov.it/).
Anche quest'anno non mancano ragioni per protestare contro la gestione
dell'Università. Manca un piano reale di sviluppo della ricerca
e dell'alta formazione. Il rapporto docenti/studenti è il
più basso in assoluto tra le nazioni occidentali. Mancano mense
e servizi per gli studenti. Il numero di borse di studio per gli
studenti è quasi simbolico e la loro consistenza ridicola e
anche in questo caso allinea l'università italiana con i paesi
più poveri del pianeta. Esiste uno squilibrio tra i fondi dati
agli atenei e quelli dati per gli studenti. Inoltre non è mai
entrato a regime in tutte le università il meccanismo di
valutazione studentesco sulle attività didattiche, di ricerca e
la qualità della vita nell'ateneo. In sintesi lo stato italiano
spende 5.650 dollari per studente mentre la media OCSE e circa il
doppio 8.093 dollari.
È da notare che in base alla riforma sull'autonomia delle
università queste dovrebbero provvedere al loro bilancio
autonomamente eccetto per i fondi di finanziamento ordinari (FFO) che
dovrebbero coprire solo le retribuzioni dei docenti. Oggi i FFO sono il
90% del budget delle università, il resto viene recuperato dalle
tasse pagate degli studenti. E qui viene il bello (o meglio il brutto).
Il tetto massimo della tassazione non può superare il 20% del
budget totale dell'Ateneo, e della somma recuperata dal pagamento delle
tasse universitarie il 50% deve essere per legge utilizzato per gli
studenti (alloggi, borse di studio, trasporti, mense, biblioteche,
sport, pub autogestiti etc.) (patto Governo-Università del 2
agosto 2007).
Sarebbe interessante avere accesso ai budget degli ultimi anni del
proprio ateneo e verificare se queste cifre sono state rispettate,
dall'altro lato l'aumento delle tasse previste anche quest'anno
dovrebbero essere accompagnate da misure che ne garantiscono il loro
impiego per il miglioramento della qualità della vita degli
studenti ed il miglioramento della didattica e ricerca. Quindi un passo
importante è chiedere la pubblicazione dei bilanci universitari
dettagliati per voci di spesa dal 1993 ad oggi e fare il conto dei
soldi che gli studenti debbono avere dalle loro amministrazioni.
Altra nota dolente è l'edilizia universitaria per alloggi
studenteschi. Qui bisogna tener conto che l'interlocutore istituzionale
cambia non è più il rettore o il MIUR ma piuttosto
l'assessorato per l'università e ricerca scientifica della
regione. Una pratica che potrebbe accelerare la soluzione di questo
problema potrebbe essere l'occupazione organizzata di immobili
universitari non utilizzati o di proprietà regionale.
Precarietà: l'esempio dell'Orientale di Napoli
Altra caratteristica importante dell'università, questa volta a
livello globale e non solo italiano, è di essere un luogo di
lavoro dominato dalla figura del precario. I ricercatori sono precari
nel 90% dei casi e fino alla venerabile età di 40 anni, gli
amministrativi e tecnici lo sono altrettanto ed il loro turn over si
svolge su periodi di tempo che vanno dai 6 mesi all'anno. Gli studenti
non sono precari perché fuori dal mercato del lavoro ma in
alcune università come ad esempio l'Orientale di Napoli
(collettivorientale.noblogs.org) si hanno buoni esempi su come il
mercato utilizzi gli studenti come forza lavoro a basso costo, non
tutelata e disposta a lavori precari. La storia è interessante e
credo che rappresenti un quadro più generale del rapporto tra
università e mercato. In breve il rettore dell'Università
Orientale di Napoli stipula un contratto con la Synergie Europa e dal
volantino degli studenti in lotta si legge: "È stata stipulata
una vergognosa convenzione tra l'Orientale e un'azienda dall'ambiguo
profilo societario (Synergia en Europe), e non con l'IBM, come
millantato per mesi sui giornali - e sui verbali del CDA e del Senato
Accademico d'Ateneo - dall'Orientale.
Secondo la Convenzione, il CAOT dell'Ateneo (Centro orientamento e
tutorato) avrebbe dovuto selezionare gli studenti con competenze in
lingue straniere - si parlava in prospettiva di 250-350 studenti - per
lavorare nel "Competence Center Multilingue" dell'IBM (garantire
assistenza tecnica via call-center per i clienti IBM).
Gli studenti hanno firmato con la Synergia en Europe s.p.a. un
famigerato co.co.pro e, come migliaia di lavoratori, sono stati
costretti a lavorare con vincoli gerarchici, di orario e di presenza.
Insomma hanno lavorato 8 ore al giorno, 5 giorni a settimana... la
solita truffa del lavoro "a progetto".
Il salario percepito e stato di 241,00 euro al mese! (otto ore al giorno, 5 giorni a settimana!)"
Inoltre lo stabile che ospita la ditta è l'edificio
polifunzionale dell' università che invece di essere dato per le
esigenze studentesche e stato dato in comodato d'uso a privati.
Al dilagare del precariato nell'università il patto
governo-università del 2 agosto prevede l'assunzione in ruolo di
2000 giovani ricercatori nei prossimi 4 anni, mentre nel pacchetto
welfare e lavoro dovrebbero esserci norme per l'assunzione a tempo
definito di precari (tecnici ed amministrativi) in servizio con
co-co-pro da più di 3 anni. Tuttavia queste sono delle misure
che se pur intercettano le necessità più acute della
società in pratica risultano gocce nel deserto, e anestetico per
una ferita quella dell'università che richiede una revisione
radicale del suo ruolo all'interno della società.
Il ruolo dell'università può essere strategico non solo
per l'innovazione ed il progresso scientifico ma anche per combattere,
in regioni a rischio, la cultura mafiosa criminale che pervade la
gioventù in maniera indipendente alla classe sociale di
appartenenza. Non solo ma l'università potrebbe giocare un ruolo
importante anche come strumento di solidarietà e dialogo
internazionale al disopra e contro i pregiudizi religiosi. La scienza,
la conoscenza è universale e non riconosce frontiere, come
l'anarchia.
MollyMcguire