Umanità Nova, n.39 del 2 dicembre 2007, anno 87

Afganistan. Italiani in territorio ostile


La morte di un altro militare italiano, vittima di un attentato a circa venti chilometri da Kabul che è costato la vita ad almeno nove abitanti, tra cui tanti bambini, del villaggio di Pagman, ha riaperto per un giorno le polemiche tra le forze politiche parlamentari sul ruolo dell'intervento italiano in Afganistan.
Solitamente, le medaglie e le onorificenze patriottiche non rientrano negli interessi degli antimilitaristi; ma talvolta, invece, può essere utile anche conoscere qualcosa a riguardo.
Ne è un buon esempio la lettura del decreto del Ministero della Difesa del 15 gennaio 2003, con cui continua ad essere assegnata una Croce commemorativa ai militari italiani partecipanti alle missioni "Enduring Freedom" e Isaf-Nato in Afganistan.
L'attribuzione di tale decorazione, si apprende, ha come condizione l'aver preso parte alle operazioni di terra almeno per 15 giorni o l'aver effettuato 70 ore di volo, oppure l'aver "partecipato a missioni in territorio ostile o di combattimento o comunque sotto attiva e documentata minaccia nemica".
Definizioni come territorio ostile o di combattimento e minaccia nemica dicono infatti molto sulla vera natura e sull'effettivo ruolo delle missioni "di pace" in Afganistan.
Questa realtà, costantemente dissimulata e nascosta, nell'ultimo mese ha avuto numerose e significative conferme, aldilà del crescendo di attacchi contro i reparti italiani resi noti e del numero finora limitato delle loro perdite dal 2004 ad oggi (una decina).
Il generale Fabrizio Castagnetti, capo di stato maggiore dell'esercito, nel chiedere al governo maggiori risorse finanziarie per le Forze armate nel Bilancio della Difesa 2008, ha fatto un'affermazione interessante: "di questo passo rischiamo di non poter sostituire i mezzi che i talebani ci fanno saltare in aria".
Dunque, negli ultimi 12 mesi, i mezzi italiani che ufficialmente risultano essere andati perduti in seguito ad attacchi o attentati della guerriglia sono soltanto sei: tre veicoli corazzati Lince, due blindati Puma e un fuoristrada.
Un bilancio, quindi, del tutto irrisorio che certo non può rappresentare un rilevante problema economico.
Evidentemente, o il generale ha esagerato per vanagloria, oppure numerosi altri attacchi contro le forze italiane non sono stati resi noti, solo perché non vi erano state vittime tra i reparti italiani.
Questa seconda ipotesi, trova peraltro conferma da varie fonti giornalistiche, non di sinistra, che talvolta rivelano l'effettivo contesto di guerra, pur senza voler mettere in discussione l'intervento.
Infatti, gli scontri a fuoco, le imboscate della guerriglia e le operazioni offensive sono all'ordine del giorno per i circa 2.300 militari italiani in Afganistan e, in particolare, per quelli dei corpi speciali della Task Force 45 che, quasi segretamente, sono stati inviati ed operano a fianco dei reparti speciali Nato e Usa con l'appoggio degli elicotteri d'attacco Mangusta.
Il 13 settembre, ad esempio, i corpi speciali sono intervenuti in soccorso di un presidio delle forze governative afgane a Shewan, nella provincia di Farah, che si trovavano sotto attacco da parte della guerriglia filotalebana. Lo scontro a fuoco ha impegnato i militari italiani per circa 40 minuti, finché non c'è stata un'azione area di supporto da parte di un caccia Usa.
Il 5 ottobre, invece, vi è stato un attacco con granate e armi leggere nella Valle di Musahi contro un avamposto del 5° reggimento Alpini paracadutisti, poco distante dal villaggio di Katasang; i ranger italiani hanno reagito con mitragliatrici pesanti. La notizia del conflitto è stata divulgata a posteriori in quanto, come dichiarato dallo stesso comandante del reparto, "coincideva con la fase critica della vicenda degli agenti del Sismi".
La liberazione dei due ostaggi e l'uccisione dell'agente D'Auria resta peraltro nell'ombra, così come l'impiego dei servizi italiani. Il sottufficiale, infatti, sarebbe stato colpito mortalmente da proiettili Nato, ossia dal fuoco amico dei commando della marina britannica che sono stati i principali protagonisti dell'azione (i reparti speciali italiani non vi avrebbero preso direttamente parte, mentre resta sconosciuto il ruolo avuto da quelli tedeschi). Anche se l'intera operazione è stata gestita dal comando Isaf-Nato di Herat, a guida italiana nella persona del generale Macor, l'ammiraglio Branciforte, direttore del servizio segreto militare, ha avuto l'ardire di sostenere che "il Sismi non ha elementi diretti su come si è svolto il blitz". La faccenda è ovviamente delicata, oltre che sul piano dell'opinione pubblica, anche sul piano diplomatico e politico, in quanto se la responsabilità dei militari risultasse confermata ufficialmente, sarebbe conseguente l'apertura di un'inchiesta formale a carico degli alleati; ma che l'intelligence militare non sappia nulla neanche dell'operazione in cui erano coinvolti due suoi uomini, appare davvero ben oltre i confini della farsa.
Farsa comunque dentro la tragedia di una guerra di cui nessuno sembra voler conoscere la realtà: il 10 novembre era trapelata la notizia che nei combattimenti durati diversi giorni per la riconquista del distretto di Gulistan, sono stati coinvolti di nuovo le forze speciali italiane della Task Force 45, appoggiate da elicotteri Mangusta e dai veicoli corazzati Dardo dei bersaglieri. Un anonimo militare italiano aveva dichiarato in un'intervista: "Talvolta vedi cadere il nemico e sai che l'hai colpito. Ma spesso in combattimento la rapidità dell'azione, la polvere che si solleva, i fumi delle esplosioni ti impediscono di capire se il tuo tiro va a segno".
Solo quando a cadere è un italiano in uniforme, per un giorno si scopre la realtà della guerra, in cui si uccide e si muore.

ULTIM'ORA
Secondo alcune fonti di stampa (tra cui l'agenzia France Presse), almeno due vittime civili della strage al ponte di Pagman sarebbero state colpite dal fuoco dei militari italiani. Tale ipotesi è stata smentita dalla polizia afgana e dal colonnello De Fonzo, comandante del contingente italiano a Kabul, secondo cui i soldati italiani avrebbero sparato soltanto alcuni colpi in aria, dopo l'esplosione, per fermare un pulmino in arrivo. Inevitabile, visti i precedenti, dubitare di tale ormai consueta versione.

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