Il 15 dicembre si avvicina e, nonostante i reiterati tentativi di
divieto e criminalizzazione preventiva, Vicenza vedrà ancora una
grande mobilitazione, unitaria e internazionale, contro il Dal Molin,
la caserma Ederle e le altre servitù militari Usa, Nato e
dell'Unione Europea che già opprimono il territorio berico.
Nella stessa data è prevista la chiusura della gara di appalto
per l'assegnazione dei lavori di costruzione della nuova base Usa alle
ditte italiane prescelte che si spartiranno 325 milioni di euro.
Si è quindi giunti ad un momento cruciale dell'opposizione a
tale progetto, insostenibile sia dal punto di vista ambientale che per
le sue palesi e strette connessioni con le politiche di guerra.
Per quanto riguarda l'impatto sull'ecosistema di un'ulteriore base
operativa per circa duemila militari della 173ª brigata
aviotrasportata che devasterà un'importante area verde, ci sono
innumerevoli dati: l'area interessata è di circa 500.000 mq,
senza neppure considerare l'aeroporto stesso. Inoltre la megabase
richiederà altissimi consumi energetici: secondo stime
accreditate la richiesta di energia elettrica (9 megawatt entro il
2011) e di acqua (60 litri al secondo entro il 2011, con una punta di
250) sarà pari a quella di una città di 30 mila abitanti,
con gravi ricadute sulle falde acquifere.
Per le implicazioni, invece, di carattere politico-militare sta
emergendo l'importanza strategica della nuova base di Vicenza
nell'ambito della nuova "guerra fredda" con la Russia, quale punto di
proiezione verso l'area balcanica, oltre che nel contesto degli
interventi di guerra aperti o prossimi ad aprirsi in Afganistan, Iraq,
Iran, Somalia.
Di certo, il commissario Costa sa di mentire quando afferma che si
tratterà soltanto di una caserma di acquartieramento, dove i
soldati dormiranno, si eserciteranno e si rilasseranno (sic!).
Le ultime concessioni sono state fornite: il Comipar (Comitato misto
paritetico regionale del Veneto) ha approvato il progetto del
commissario governativo Paola Costa che prevede solo lo spostamento
dell'insediamento militare sul lato ovest del Dal Molin, dove aveva
sede una struttura dell'Aeronautica militare italiana da tempo
destinata alla dismissione dal ministero della Difesa. Si tratta del
lato meno urbanizzato della zona, ma la scelta più che dal
dissenso degli abitanti appare determinata dall'opportunità di
ottenere finanziamenti pubblici per realizzare la tangenziale nord
(tutta a carico dello Stato italiano, con un primo stanziamento deciso
dal governo di 20 milioni di euro) che, peraltro, è avversata da
vari amministratori locali e dagli abitanti delle zone interessate.
L'avvio, seppur ritardato e contrastato dalle proteste, della bonifica
dell'area dimostra che gli Stati Uniti hanno fretta e che si sentono
già padroni a casa loro. Hanno commissionato e appaltato le
operazioni di bonifica a due ditte italiane specializzate (l'Abc di
Firenze e la Strago di Pozzuoli) per un lavoro che viene svolto su
un'area appartenente tutt'ora al demanio italiano. Emblematica quindi
la dichiarazione del generale Frank Helmick, comandante Setaf: "I
blocchi alla bonifica del Dal Molin? La questione riguarda la polizia
italiana. Noi stiamo andando avanti […] Quanto al cantiere vero
e proprio contiamo di aprirlo la prossima estate. Sì, entro il
2008. Sono disposto io a guidare le ruspe".
Eppure, anche questa macchina ha i suoi punti vulnerabili, in
particolare due: l'urgenza di disporre di tale struttura e la
cosiddetta sicurezza.
Se ulteriori ritardi si assommeranno a quelli già registrati
sulla tabella di marcia Usa (secondo cui i lavori dovevano già
essere avanzati) o se crescerà una diffusa ostilità
popolare alla presenza militare statunitense a Vicenza e nel resto
dell'Italia, la decisione potrebbe ancora essere messa in discussione,
non tanto dal compromesso governo italiano ma proprio da quello
statunitense, così come avvenuto in altri paesi. Da qui
l'importanza di continuare non soltanto a far crescere la resistenza
attorno al Dal Molin, ma anche la mobilitazione davanti alla caserma
Ederle e a tutte le basi militari Usa-Nato in territorio italiano.
Una base di guerra, infatti, ha bisogno di pace sociale.
mk