Il pacchetto sicurezza approvato dal governo Prodi il 30 ottobre
è composto da quattro disegni di legge. Nel numero di UN 36
dell'11 novembre abbiamo analizzato il primo disegno di legge, quello
sulla "sicurezza urbana". Proseguiamo la nostra analisi con gli altri
tre disegni di legge, che si occupano di reati di particolare allarme
sociale e certezza della pena; della banca dati del DNA; di
criminalità organizzata, organizzazione degli uffici giudiziari
e altre norme miscellanee.
Il secondo disegno di legge, sui reati di grave allarme sociale e
"certezza della pena", ruota attorno all'idea che il carcere sia la
sola efficace risposta che l'ordinamento possa dare al fenomeno sociale
chiamato criminalità o delinquenza. Le misure contenute nel
disegno di legge in questione sono sia di natura sostanziale che
processuale. La principale misura di natura sostanziale è
costituita da un ridisegno della normativa sulla prescrizione: i
periodi di tempo necessari a che i reati siano prescritti sono
aumentati e si rende la prescrizione maggiormente insensibile alle
vicende processuali, cosicché eventuali istanze, ricorsi, ecc.
dell'imputato non sortiscano un mero effetto dilatorio e il periodo
necessario alla prescrizione sia effettivo. Dal punto di vista
processuale, viene ampliata la possibilità di applicare misure
cautelari (cioè misure restrittive della libertà prima di
una condanna definitiva) e si prevede l'obbligatorietà della
custodia cautelare in carcere per alcuni reati di particolare
gravità e allarme sociale (nell'elenco compaiono omicidio,
rapina, estorsione aggravata, traffico di stupefacenti; ma anche furto
in appartamento, incendio boschivo...). Per chi è in stato di
detenzione è previsto il rito immediato, cioè la
possibilità di essere giudicati senza il filtro dell'udienza
preliminare; come corollario, in caso di condanna in primo grado di
soggetti già condannati negli ultimi cinque anni per reati dello
stesso tipo, in attesa dell'appello il giudice potrà applicare
d'ufficio misure cautelari. L'impressione netta è che due norme
costituzionali siano "in sofferenza": la prima è quella sulla
presunzione di innocenza fino a condanna definitiva; la seconda
è quella che stabilisce la funzione rieducativa della pena.
Inoltre, è tutta la normativa varata negli anni '70 sull'onda
delle rivolte nelle carceri e tesa ad alleviare la condizione dei
detenuti e a favorire il loro reinseriemnto, ad essere messa in
discussione. In realtà, "i delinquenti" devono starsene in
galera, ci devono entrare prima possibile ed uscire il più tardi
possibile; e non stanno certo dentro per diventare migliori, tanto con
loro non c'è nulla da fare. Il fatto è che il carcere,
anche nella visione educazionista che lo interpreta come strumento di
ri-socializzazione, è sempre mezzo coercitivo finalizzato al
disciplinamento, sopratutto come minaccia, dell'intera società.
Il fatto che si puniscano anche gravemente fenomeni marginali e di
minima lesività come il danneggiamento di immobili (in buona
sostanza, le scritte sui muri) o si impedisca di fatto al detenuto di
accedere a misure alternative alla detenzione, la dice lunga sulla
filosofia sottesa all'operazione del pacchetto sicurezza, frutto di
calcoli elettoralistici e di vere pulsioni "di pancia" della
società, pulsioni coccolate, coltivate e nutrite da una classe
politica che si specchia nel livore di un elettorato sempre più
tartassato ed incarognito, letteralmente "pelato" per finanziare
guerre, grandi opere e una classe politica pletorica e famelica. Se si
sta male, sarà ben colpa di qualcuno, no? E vorrete mica
prendervela con noi, i vostri politici, che sappiamo bene quanto i
delinquenti vi assedino, poveri cittadini!...
W.B.