Umanità Nova, n.39 del 2 dicembre 2007, anno 87

L'offensiva del partito dell'atomo. Gang nucleare


Con il petrolio a quota 100 dollari l'offensiva del partito nucleare, cioè di gran parte dei politici e di tutto il padronato e quindi di tutti i giornali e televisioni, è diventata una valanga apparentemente incontenibile. Questa valanga di opinioni, tabelle, interviste che ormai quasi quotidianamente i giornali del regime pubblicano con esagerata evidenza trovano una sponda nel governo dove l'ineffabile Bersani conclude accordi, per ora con gli Stati Uniti dopo che ENEL aveva fatto per conto proprio con la Francia, che preparano il ritorno del nucleare in Italia nel giro di una ventina di anni. E se la via del nucleare non viene intrapresa subito è perché come ha sostenuto il ministro dello sviluppo economico "l'Italia non ha il fisico per il nucleare". La colpa è quindi della parte migliore delle popolazioni che non accetta di vedersi avvelenato il presente e il futuro. Alle sgradevoli battute di Bersani bisognerebbe rispondere che "meno male che l'Italia non ha il fisico" altrimenti ci troveremmo pieni di centrali nucleari, rigassificatori, elettrodotti, centrali a carbone e quant'altro lui e i suoi padroni vorrebbero propinarci. Meglio un mondo di persone senza fisico che un mondo di squallidi personaggi come lui, palestrati nel cervello!
Ma torniamo alle cose serie: ha una logica questo revival filonucleare? Gli argomenti portati avanti si possono ridurre sostanzialmente a due: 1) il nucleare è una risposta ai cambiamenti climatici perché non produce gas serra; 2) mentre petrolio e gas si avvicinano velocemente all'esaurimento l'uranio è una fonte che ci garantisce almeno per i prossimi 100 anni. Sono però due argomenti che non stanno in piedi.

È falso che l'industria nucleare non emette gas serra
Se fosse vero che passare al nucleare garantisce la sconfitta dei gas serra la Francia, che è piena come un uovo di centrali nucleari, dovrebbe essere una specie di paradiso terrestre dove si respira una perenne aria di montagna. Invece non è così: ogni francese produce 9,3 tonnellate l'anno di CO2, molto vicino cioè alla media europea che è di 10,9 tonnellate. La "banda bassotti" del nucleare - composta fra l'altro da personaggi che negano ogni validità alle tesi del cambiamento climatico provocato dalle attività umane - dimentica, infatti, di ricordare che l'energia nucleare può essere utilizzata solo per produrre energia mentre nulla può per evitare che il CO2 venga prodotto dai trasporti e dal riscaldamento delle case che in Francia come altrove sono responsabili di più della metà delle emissioni di CO2 e degli altri gas serra. Fra l'altro un autorevole lavoro realizzato da due studiosi indipendenti, Jean Willem von Storm e Philip Smith, ha dimostrato che considerando l'intero ciclo di produzione le emissioni complessive di CO2 del nucleare sono solo 3,3 volte inferiori rispetto a quelle provocate dal ciclo del gas. Se si pensa che nel mondo il nucleare ha, sostanzialmente, un ruolo marginale nella produzione di energia (circa il 16%) è chiaro che un suo forte sviluppo richiederebbe lo sfruttamento di miniere più povere di uranio e quindi l'emissione di CO2 aggiuntiva rispetto alla situazione attuale.

Verso il picco della produzione di uranio
I fautori dell'energia nucleare sostengono che l'uranio è una fonte praticamente inesauribile: ce ne sarebbe sicuramente per i prossimi 100 anni ma anche dopo il problema sarebbe "solo" di trovare le tecnologie più appropriate per estrarlo dalla crosta terrestre che ne è piena. Sia detto per inciso: lo stesso discorso lo fanno anche i fautori dell'energia petrolifera, convinti che trovare petrolio sia solo una questione di tecnologie sempre più sofisticate.
Trovare le tecnologie adeguate costerà di più ma siccome il prezzo dell'uranio incide attualmente solo per il 3% nel costo del kwh nucleare non ci sarebbero problemi. Ma invece i problemi ci sono perché se il nucleare uscisse dalla "nicchia" in cui è attualmente ridotto, di uranio ne servirebbe molto di più e i costi aumenterebbero e non di poco. Molti esperti prevedono che il picco della produzione di uranio, cioè il momento in cui la domanda supererà l'offerta, arriverà tra il 2015 e il 2025. A quel punto, estrarre uranio costerà sempre di più ma l'aumento del prezzo diventerebbe drammatico se si scegliesse la via del nucleare per sostituire le fonti fossili poiché ciò vorrebbe dire aumentare almeno di un fattore 10 le attuali 441 centrali nucleari funzionanti. Attualmente il costo di una libbra di uranio è di circa 100 dollari – un aumento di quattro volte rispetto al 2002 – ma se si dovessero costruire la valanga di centrali necessarie a sostituire quelle a petrolio, gas e carbone, il suo prezzo arriverebbe almeno a 1000 dollari la libbra. Secondo uno studio di Miguel Torres, questo vorrebbe dire rendere l'energia elettrica prodotta dal nucleare molto più costosa di quella prodotta con l'eolico e il fotovoltaico.

I problemi irrisolvibili del nucleare
Quando negli anni '70 e '80 migliaia di antinucleari subivano le cariche della polizia che cercava di forzare i blocchi alle poche e disastrate centrali nucleari italiane (*), le loro parole d'ordine parlavano di sicurezza, di danno ambientale, di scorie ingestibili, di una tecnologia rigida figlia degli interessi militari e che richiedeva una forte militarizzazione del territorio. Ebbene a più di 25 anni di distanza e nonostante che al nucleare gli Stati abbiano dedicato gran parte dei loro investimenti nel settore dell'energia nessuno di quei problemi è stato risolto. Sentire parlare di centrali di quarta generazione che "risolveranno il problema delle scorie radioattive" ci ricorda proprio le polemiche di quegli anni quando di fronte alle nostre contestazioni i nuclearisti sostenevano che la soluzione, alla fine, si sarebbe trovata, magari inviando le scorie sulla luna come mi capitò di sentir dire. Dal canto loro i tanto decantati reattori di quarta generazione sono già difettosi e per niente sicuri come ha dimostrato il movimento antinucleare francese che questi problemi li affronta da anni. Ma non basta: nessuno sa ancora come fare a mettere in sicurezza le centrali chiuse visto che un'azione di smantellamento vero e proprio (il famoso decommissioning) non è mai stato fatto; nessuno ha risolto il problema degli effetti delle basse dosi di radiazioni emesse dalle centrali nel loro funzionamento quotidiano e nessuno ha il coraggio di dire che le centrali nucleari funzionano solo grazie alle sovvenzioni statali visto che i costi scoraggiano gli investitori privati.
Ma i nuclearisti continuano a sostenere che investendo sulle tecnologia sarà possibile risolvere tutti i problemi. Ma che senso ha investire tempo e soldi in una tecnologia già morta? Costringiamo invece lo Stato ad investire nel risparmio, nell'efficienza energetica e nelle fonti rinnovabili perché oggi come vent'anni fa la società che vogliamo costruire non ha bisogno di enormi mostri nucleari ma di tante piccole centrali decentrate e autogestite dalle collettività locali. Un altro buon motivo per dire oggi come ieri: nucleare? no grazie!

Antonio Ruberti


(*) Pochi osano ricordare che delle quattro centrali nucleari italiane, due furono chiuse prima del famoso referendum del 1987, quella del Garigliano nel 1978 e quella di Latina nel 1986 ed entrambe perché considerate a rischio di incidente catastrofico. Le altre due, Trino Vercellese e Corso, accumularono una serie incredibile di incidenti e soste che convinsero il governo di centrosinistra a chiuderle ancora prima del referendum.

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