Con il petrolio a quota 100 dollari l'offensiva del partito
nucleare, cioè di gran parte dei politici e di tutto il
padronato e quindi di tutti i giornali e televisioni, è
diventata una valanga apparentemente incontenibile. Questa valanga di
opinioni, tabelle, interviste che ormai quasi quotidianamente i
giornali del regime pubblicano con esagerata evidenza trovano una
sponda nel governo dove l'ineffabile Bersani conclude accordi, per ora
con gli Stati Uniti dopo che ENEL aveva fatto per conto proprio con la
Francia, che preparano il ritorno del nucleare in Italia nel giro di
una ventina di anni. E se la via del nucleare non viene intrapresa
subito è perché come ha sostenuto il ministro dello
sviluppo economico "l'Italia non ha il fisico per il nucleare". La
colpa è quindi della parte migliore delle popolazioni che non
accetta di vedersi avvelenato il presente e il futuro. Alle sgradevoli
battute di Bersani bisognerebbe rispondere che "meno male che l'Italia
non ha il fisico" altrimenti ci troveremmo pieni di centrali nucleari,
rigassificatori, elettrodotti, centrali a carbone e quant'altro lui e i
suoi padroni vorrebbero propinarci. Meglio un mondo di persone senza
fisico che un mondo di squallidi personaggi come lui, palestrati nel
cervello!
Ma torniamo alle cose serie: ha una logica questo revival filonucleare?
Gli argomenti portati avanti si possono ridurre sostanzialmente a due:
1) il nucleare è una risposta ai cambiamenti climatici
perché non produce gas serra; 2) mentre petrolio e gas si
avvicinano velocemente all'esaurimento l'uranio è una fonte che
ci garantisce almeno per i prossimi 100 anni. Sono però due
argomenti che non stanno in piedi.
È falso che l'industria nucleare non emette gas serra
Se fosse vero che passare al nucleare garantisce la sconfitta dei gas
serra la Francia, che è piena come un uovo di centrali nucleari,
dovrebbe essere una specie di paradiso terrestre dove si respira una
perenne aria di montagna. Invece non è così: ogni
francese produce 9,3 tonnellate l'anno di CO2, molto vicino cioè
alla media europea che è di 10,9 tonnellate. La "banda bassotti"
del nucleare - composta fra l'altro da personaggi che negano ogni
validità alle tesi del cambiamento climatico provocato dalle
attività umane - dimentica, infatti, di ricordare che l'energia
nucleare può essere utilizzata solo per produrre energia mentre
nulla può per evitare che il CO2 venga prodotto dai trasporti e
dal riscaldamento delle case che in Francia come altrove sono
responsabili di più della metà delle emissioni di CO2 e
degli altri gas serra. Fra l'altro un autorevole lavoro realizzato da
due studiosi indipendenti, Jean Willem von Storm e Philip Smith, ha
dimostrato che considerando l'intero ciclo di produzione le emissioni
complessive di CO2 del nucleare sono solo 3,3 volte inferiori rispetto
a quelle provocate dal ciclo del gas. Se si pensa che nel mondo il
nucleare ha, sostanzialmente, un ruolo marginale nella produzione di
energia (circa il 16%) è chiaro che un suo forte sviluppo
richiederebbe lo sfruttamento di miniere più povere di uranio e
quindi l'emissione di CO2 aggiuntiva rispetto alla situazione attuale.
Verso il picco della produzione di uranio
I fautori dell'energia nucleare sostengono che l'uranio è una
fonte praticamente inesauribile: ce ne sarebbe sicuramente per i
prossimi 100 anni ma anche dopo il problema sarebbe "solo" di trovare
le tecnologie più appropriate per estrarlo dalla crosta
terrestre che ne è piena. Sia detto per inciso: lo stesso
discorso lo fanno anche i fautori dell'energia petrolifera, convinti
che trovare petrolio sia solo una questione di tecnologie sempre
più sofisticate.
Trovare le tecnologie adeguate costerà di più ma siccome
il prezzo dell'uranio incide attualmente solo per il 3% nel costo del
kwh nucleare non ci sarebbero problemi. Ma invece i problemi ci sono
perché se il nucleare uscisse dalla "nicchia" in cui è
attualmente ridotto, di uranio ne servirebbe molto di più e i
costi aumenterebbero e non di poco. Molti esperti prevedono che il
picco della produzione di uranio, cioè il momento in cui la
domanda supererà l'offerta, arriverà tra il 2015 e il
2025. A quel punto, estrarre uranio costerà sempre di più
ma l'aumento del prezzo diventerebbe drammatico se si scegliesse la via
del nucleare per sostituire le fonti fossili poiché ciò
vorrebbe dire aumentare almeno di un fattore 10 le attuali 441 centrali
nucleari funzionanti. Attualmente il costo di una libbra di uranio
è di circa 100 dollari – un aumento di quattro volte
rispetto al 2002 – ma se si dovessero costruire la valanga di
centrali necessarie a sostituire quelle a petrolio, gas e carbone, il
suo prezzo arriverebbe almeno a 1000 dollari la libbra. Secondo uno
studio di Miguel Torres, questo vorrebbe dire rendere l'energia
elettrica prodotta dal nucleare molto più costosa di quella
prodotta con l'eolico e il fotovoltaico.
I problemi irrisolvibili del nucleare
Quando negli anni '70 e '80 migliaia di antinucleari subivano le
cariche della polizia che cercava di forzare i blocchi alle poche e
disastrate centrali nucleari italiane (*), le loro parole d'ordine
parlavano di sicurezza, di danno ambientale, di scorie ingestibili, di
una tecnologia rigida figlia degli interessi militari e che richiedeva
una forte militarizzazione del territorio. Ebbene a più di 25
anni di distanza e nonostante che al nucleare gli Stati abbiano
dedicato gran parte dei loro investimenti nel settore dell'energia
nessuno di quei problemi è stato risolto. Sentire parlare di
centrali di quarta generazione che "risolveranno il problema delle
scorie radioattive" ci ricorda proprio le polemiche di quegli anni
quando di fronte alle nostre contestazioni i nuclearisti sostenevano
che la soluzione, alla fine, si sarebbe trovata, magari inviando le
scorie sulla luna come mi capitò di sentir dire. Dal canto loro
i tanto decantati reattori di quarta generazione sono già
difettosi e per niente sicuri come ha dimostrato il movimento
antinucleare francese che questi problemi li affronta da anni. Ma non
basta: nessuno sa ancora come fare a mettere in sicurezza le centrali
chiuse visto che un'azione di smantellamento vero e proprio (il famoso
decommissioning) non è mai stato fatto; nessuno ha risolto il
problema degli effetti delle basse dosi di radiazioni emesse dalle
centrali nel loro funzionamento quotidiano e nessuno ha il coraggio di
dire che le centrali nucleari funzionano solo grazie alle sovvenzioni
statali visto che i costi scoraggiano gli investitori privati.
Ma i nuclearisti continuano a sostenere che investendo sulle tecnologia
sarà possibile risolvere tutti i problemi. Ma che senso ha
investire tempo e soldi in una tecnologia già morta?
Costringiamo invece lo Stato ad investire nel risparmio,
nell'efficienza energetica e nelle fonti rinnovabili perché oggi
come vent'anni fa la società che vogliamo costruire non ha
bisogno di enormi mostri nucleari ma di tante piccole centrali
decentrate e autogestite dalle collettività locali. Un altro
buon motivo per dire oggi come ieri: nucleare? no grazie!
Antonio Ruberti
(*) Pochi osano ricordare che delle quattro centrali nucleari italiane,
due furono chiuse prima del famoso referendum del 1987, quella del
Garigliano nel 1978 e quella di Latina nel 1986 ed entrambe
perché considerate a rischio di incidente catastrofico. Le altre
due, Trino Vercellese e Corso, accumularono una serie incredibile di
incidenti e soste che convinsero il governo di centrosinistra a
chiuderle ancora prima del referendum.