Le ronde padane costituite da "giustizieri della notte" fai da te,
il 21 novembre volevano scendere in campo anche a Parma, per vigilare i
sonni tranquilli dei parmigiani, specialmente nel quartiere
dell'Oltretorrente, da loro scelto per iniziare queste passeggiate.
Peccato che il quartiere è sempre stato cuore pulsante e
popolare della città (basti ricordare le barricate del '22
organizzate dal quartiere contro le squadracce fasciste).
I baldi condottieri speravano per la loro prima apparizione magari una
comprensione e una accoglienza del tipo: «finalmente, arrivano i
nostri!». Purtroppo per quei venti "eroi" aiutati da qualche
nazi-fascista, la strada era sbarrata da almeno 500 persone, che
occupando la piazza dalle sette di sera, due ore prima del loro arrivo,
offrendo cibo, vino e ascoltando buona musica, hanno manifestato la
loro opposizione contro le ronde. Ma non solo: si era in piazza contro
la politica securitaria e repressiva e contro il razzismo dilagante.
Segnalo l'incongruenza curiosa che per i media locali Parma appena
prima delle elezioni fosse un paradiso, mentre ora sarebbe divenuta
luogo invivibile e insicuro. Il presidio ha cercato di mettere
l'accento anche su questioni quali lo sfruttamento sui posti di lavoro
per italiani e stranieri, la precarietà, il caporalato, la
perdita del potere d'acquisto, le pensioni, le privatizzazioni, la
speculazione edilizia, la devastazione ambientale, l'incessante paura
di chi ti sta attorno ecc.
Arrivata l'ora decisiva i duri manifestanti della giustizia forcaiola
si sono trovati davanti un muro umano che ha iniziato a riempirli di
epiteti coloriti, alludendo in modo particolare alla loro vicinanza
alla materia fecale. Vista la foga si sono visti costretti a deviare il
percorso, incalzati dalla manifestazione in una via parallela
anticipati e bloccati nuovamente. La ronda è stata così
costretta ad un lungo stop e ad un'ultima deviazione finché,
dopo poco, hanno preso la saggia decisione di ripiegare e concludere la
loro passeggiata.
Giunta la notizia della ritirata della ronda padana, il corteo ha
iniziato a sfilare per il quartiere ballando con la musica proveniente
dal camion, gridando vittoria. A Parma la xenofobia e la caccia al
diverso che altrove dilaga non ha spazio.
La manifestazione si è conclusa nella piazza dove era iniziato
il presidio, continuando la festa al motto: Bossi et pasè al Po'
mö migha la Perma (Bossi hai passato il Po' ma non la Parma).
Cisco
Abbiamo visto quante siamo. Grande fiume di donne sabato pomeriggio
ad attraversare il centro di Roma. Esiste, l'abbiamo sentito,
l'alleanza dell'amicizia, della solidarietà, la risposta
all'appello. Sappiamo che non è difficile convocare, passare la
voce, camminare insieme. Abbiamo ammirato con orgoglio come s'infittiva
e si allungava il corteo alla fine di Via Cavour, dopo l'inizio lento,
tentennante, sotto la pioggia. Eravamo in tante. Abbiamo esposto le
cifre: oltre 14 milioni di donne italiane sono state oggetto di
violenza fisica, sessuale e psicologica nella loro vita; il 69, 7%
degli stupri proviene dal partner o dall'ambito familiare; oltre il 94%
delle violenze non è mai stato denunciato; un milione e 400 mila
italiane ha subito uno stupro prima dei 16 anni. Urgente rovesciare il
guanto, dirigere l'attenzione sulle vittime di una violenza silenziosa
e ignorata, e non sulla demonizzazione degli stranieri e il richiamo
funzionale alla paura e alla sicurezza. Urgente portare le grida fuori
dai muri di casa, trasformare i morbosi fatti di cronaca in dati di
fatto di una società che colpisce le donne.
Eppure è difficile definire l'anima di questo variegato corteo
al femminile. C'erano la solidarietà e la rabbia, la gioia e
l'intransigenza. Maestre, avvocate, mamme con le figlie in braccia,
lesbiche, signore milanesi e ragazze rom. Donne anticlericali ed
evangeliche. Centri sociali, collettivi femministi, associazioni,
gruppi di amiche e donne sole. Ognuna a sfilare con le proprie
esigenze, con la propria storia. A coagulare quest'umanità
complessa il rifiuto del maschile sopraffacente e violento, delle
ingiustizie nei posti di lavoro e dell'incuranza delle autorità
in materia di denunce e condanne. È facile stupirsi delle
vessazioni che subisce una donna obbligata a nascondere il proprio
corpo sotto una burka. Più compromettente e scomodo scoprire che
oggi, in Italia, c'è in atto una vera e propria guerra domestica
che, come il lavoro, lascia migliaia di vittime. Nonostante ciò,
quello di sabato non è stato soltanto un corteo di genere e
tanto meno di martiri. C'era anche una chiara linea politica di
contestazione del "pacchetto sicurezza" e delle posizioni familiste,
omofobiche e contrarie all'autodeterminazione femminile che pullulano
nel mondo istituzionale italiano. Per questo è stata
inaccettabile la presenza di Prestigiacomo e Carfagna. Irritante la
comparsa finale di Turco, Melandri e Pollastrini sul palco de La7,
incuranti dell'appello delle organizzatrici a concludere la
manifestazione senza palco e senza leader.
La forma rimane quella tradizionale e per molti versi ritualizzata del
raduno in piazza. Questa volta, però, senza bandiere né
partiti. E con la forza della comparsa dei più di 100.000 corpi
insieme, necessari per sapersi in tante, ai propri occhi e a quelli
degli altri. La sensazione è che non si tratti solo di un
successo numerico. La lunga camminata fino a Piazza Navona, la
conclusione in tensione sul palco della tv, i coaguli di emozione e di
resistenze sono punti di partenza per una riflessione collettiva che si
interroghi sulla femminilità come forza vitale e assertiva e
mantenga in moto, con un'alleanza di vite messe in gioco, questo
immenso fiume di donne.
V.V.
Al Torino Film Festival, una della tante vetrine della Torino Luna
Park, sabato 24 novembre c'è stato un fuori programma. Non
invitati sono arrivati anche un buon numero di antifascisti.
L'iniziativa è stata promossa da Torino Squatter, dalla Cub, dal
Comitato Antifascista 18 giugno e dalla Federazione Anarchica di Torino.
Il 29 novembre ci sarà la sentenza al processo contro 10
antifascisti torinesi accusati di devastazione e saccheggio per aver
preso parte ad un corteo antifascista il 18 giugno del 2005. Il corteo
era stato indetto per denunciare la grave aggressione e il ferimento di
due occupanti del Barocchio da parte di una squadraccia fascista.
Partito da piazza Madama Cristina era stato caricato dalla polizia in
via Po per impedire ai manifestanti di arrivare in piazza Castello.
Dopo due anni il PM Tatangelo ha chiesto cinque anni e cinque mesi per i dieci antifascisti.
Per rompere il silenzio intorno a questa vicenda in una Torino stordita
dalle luci del baraccone chiampariniano una cinquantina di antifascisti
hanno partecipato a modo loro a questa seconda giornata del Festival.
Un gruppo ha aperto uno striscione con la scritta "l'antifascismo non
si arresta" spiegando al megafono le ragioni della protesta mentre
all'interno un compagno si incatenava ed altri volantinavano.
La massiccia presenza di digos e polizia in divisa non ha impedito la
comunicazione con il vasto pubblico del festival. Due anarchici si sono
spogliati e ricoperti di farina tracciandosi reciprocamente sul corpo
una svastisca, una celtica e i simboli dell'euro e del dollaro. Un modo
semplice ed immediato per ricordare che i teoremi giudiziari contro gli
antifascisti non sono che l'altra faccia della repressione che si
scatena contro tutti coloro che si oppongono a questa società
ingiusta e violenta, dove i potenti progettano grattacieli e i fascisti
bruciano a colpi di molotov le baracche dei rom.
Prima dell'inizio della proiezione serale una delegazione di
manifestanti è entrata nella sala aprendo lo striscione e
facendo un intervento dal palco molto applaudito dai presenti.
Nel volantino distribuito, in merito al processo agli antifascisti, era
detto a chiare lettere che "se passasse questa assurdità
forcaiola, dopo le condanne di Milano, e forse di Genova, la stessa
libertà di manifestare cadrebbe in balia degli apparati
repressivi dello Stato.
Un corteo che aveva l'ardire di denunciare la presenza in città
di rigurgiti fascisti, dediti, come i loro antenati del ventennio, alle
aggressioni, alle coltellate vigliacche nel cuor della notte, ai
pestaggi contro gli stranieri inermi.
Vigliaccate ampiamente sfruttate da un potere politico talmente
annebbiato ed interessato dalla speculazione, qualunque sia la forma in
cui essa si esprima, olimpiade, festival di cinema, grattacieli e buchi
nelle montagne valsusine, che ricorre a qualunque mezzo, anche
un'aggressione fascista, pur di mettere a tacere, attraverso l'operato
compiacente della questura, coloro che, contro la deriva totalitaria di
Torino, manifestano o semplicemente con la loro presenza "disturbano"
l'immagine patinata da vendere al pubblico roditore.
In questa città, che accoglie gioiosa il festival
cinematografico, ci sono bande di fascisti che si dilettano ad
accoltellare gli occupanti di case così come a bruciare le
baracche dei rom, c'è una questura che reprime ogni esperienza
ed ogni forma di espressione non conforme con cortine di sbirri che
all'occorrenza sguinzaglia a pestare, c'è un potere politico che
di questa forma di gestione della repressione e della violenza si fa
promotore e principale artefice, fra gli applausi dei giornalisti."
Nella chiusa del volantino si invitavano gli spettatori del Film
Festival a non dimenticare, "dunque lo spettacolare processo agli
antifascisti torinesi".
onan