Il governo prodi ha posto la fiducia alla Camera sulle norme
attuative del protocollo su previdenza e mercato del lavoro
sottoscritto dalle parti sociali e dal governo stesso nel luglio
scorso. Il protocollo era stato poi formalmente sottoposto
all'approvazione di pensionati e lavoratori in un referendum dal
risultato scontato in partenza, utile a dare una parvenza strombazzata
di "partecipazione e democrazia". Alla commissione lavoro della Camera
era riuscito alla "sinistra radicale" sedente in parlamento di
modificare un poco il testo del protocollo, con qualche miglioria ad un
articolato di legge che fotografa l'egemonia del capitale sul lavoro,
intesa proprio come capacità di imporre i temi di discussione e
l'ambito della stessa. In aula c'è stata la resa dei conti, nel
senso che davanti alle minacce di Dini e compagni, dicono per non far
cadere il governo ed entrare in vigore la riforma Maroni con il famoso
"scalone" pensionistico, "i fantastici quattro" della cosa rossa hanno
trangugiato "il rospo" e votato la fiducia al governo approvando il
testo uscito dall'accordo di luglio senza gli emendamenti della
commissione lavoro; o, meglio, tre dei "fantastici quattro",
perchè il quarto, i Comunisti Italiani, alla fine si è
defilato e votato contro, sapendo che, stanti i numeri, il voto era
irrilevante per la continuità del governo. Furbi, eh?!
Mentre in Italia si compiva la nefandezza sopra descritta, il
Parlamento europeo approvava una "risoluzione in materia di
flessisicurezza" o, in inglese, flexecurity, ovvero la nuova frontiera
mitica del mercato del lavoro dell'Unione europea, molto utile ai
benpensanti nostrani. In breve, sulla base del modello danese, sarebbe
facile per le aziende licenziare, ma sarebbero previste una serie di
norme protettive del reddito del lavoratore disoccupato e altre
finalizzate ad incentivarne la riallocazione. Il fatto è che
bisognerebbe pure avere il sistema fiscale danese, per il quale le
tasse si pagano e pure salate, giacché il nodo del connubio tra
flessibilità e sicurezza sta tutto nella ingente quantità
di risorse necessaria a pagare la "sicurezza", giacché a far
"flessibilità" si fa in fretta e son tutti bravi. Tanto è
vero che questa è una ricetta buona per tempi di vacche grasse,
non certo per tempi come questi. In più, la "flessicurezza"
è uno strumento che legittima in toto la supremazia dei tempi e
degli scopi dell'impresa sulla società ed in particolare sui
lavoratori, impossibilitati ad organizzarsi la vita secondo propri
tempi e senza alcuna garanzia di stabilità.
Da noi si troverà certamente qualcuno pronto a recepire la
"flessibilità" e a vendere scampoli di sicurezza sociale dietro
l'impegno ad essere ancora più flessibili e disponibili a
qualsiasi lavoro purchessia. Tanto qui abbiamo già tra i salari
più bassi d'Europa (fonte CGIL) e si scopre pure che precari si
resta perchè non c'è alcuna esigenza temporanea
dell'azienda: semplicemente le aziende vogliono risparmiare (fonte
ISFOL). Dopo queste belle scoperte dell'acqua calda degli illustri
statistici, qualche voce di lamento si è levata, ma senza
convinzione. Tale è la introiettata ineluttabilità di
ciò che sta accadendo e la passività davanti al capitale
che procede come uno schiacciasassi. Subito si è passati alla
sopradescritta approvazione delle norme applicative del protocollo di
luglio.
Si chiede su UN n. 37 del 18.11.07 Walter Kerwal se l'incapacità
del sindacalismo di base di "sfondare" nella società dipenda
dalla sua classe dirigente e dal suo ceto militante, di formazione
sindacal-vertenziale (fabbrichista e categoriale) o sulla inadeguatezza
della forma sindacato tradizionale, che il sindacalismo di base ha
fatto propria senza metterla in discussione. Penso che entrambe le
cause siano vere e ne aggiungerei almeno un'altra, che ne è il
collante. Il sindacalismo di base ha assunto lo stesso orizzonte del
sindacalismo concertativo, cioè quello redistributivo,
raccogliendo ciò che il sindacalismo concertativo si poteva
permettere di lasciar fuori, sopratutto in un epoca di vacche sempre
più magre in cui la sicurezza è ciò che i
lavoratori cercano sopratutto. Di fatto il sindacalismo di base ha
assunto come orizzonte del proprio agire livelli di welfare decorosi,
cercando di tamponare la frana dovuta al restringimento degli spazi di
redistribuzione del reddito che intanto gli altri trattavano al
ribasso. Non mi pare che sia stata presa di petto la questione e messo
l'accento sul controllo dei processi in atto e sulla necessità
di adattare prassi e forme al nuovo che avanzava e che determinava
forme di precarietà e sfruttamento assai antiche. Ma se questo
è vero, per lottare contro questo nuovo/vecchio capitale ben
potrebbero essere utili le forme di aggregazione che il lavoro si diede
in altre epoche per la propria difesa collettiva e che passavano per la
radicale scelta di costruire uno spazio di autonomia del lavoro
salariato rispetto all'economico e all'istituzionale dominanti, in
totale contrapposizione al modello socialdemocratico di lenta
permeazione del potere esistente e di mera redistribuzione del reddito
che ci ha condotto a questo punto. Protocolli, flessicurezza,
statistiche ci parlano di egemonia e soggezione, in primo luogo
culturale. Forse anche "su questo ordine di problemi vale la pena di
riflettere".
W.B.