Umanità Nova, n.41 del 16 dicembre 2007, anno 87

Vicenza per noi. Sabotare la guerra


Siamo in guerra da anni. Soldati italiani, mercenari in divisa pagati da noi tutti, sono in Afganistan a fare la guerra in nostro nome. Soldati italiani sono o sono stati sui fronti di guerra in Iraq, in Kosovo, in Serbia, in Somalia. A seconda delle circostanze queste guerre sono state chiamate "operazioni di polizia internazionale", "missioni umanitarie", "operazioni di peacekeeping".
L'apparato propagandistico cambia ma sempre di guerra si tratta. Case bombardate, gente ammazzata, occupazione militare, tortura questa è la realtà nei paesi dove interviene l'esercito italiano a fianco dell'alleato statunitense.
Nel nostro paese ci sono caserme, aeroporti, basi navali, radar, depositi di munizioni, carburante, bombe dell'esercito, della marina e dell'aeronautica italiane, USA e NATO. Il nostro paese è una gigantesca piattaforma bellica allungata al centro del Mediterraneo.
Il movimento contro la guerra in Italia, nonostante in alcuni momenti abbia raccolto adesioni di massa con centinaia di migliaia di persone che scendevano in piazza non è quasi mai andato oltre la testimonianza, il mero rifiuto morale, senza riuscire a mettere sabbia nell'ingranaggio ben oliato del militarismo.
Opporsi alla guerra senza opporsi agli eserciti che la fanno, alle armi che la combattono, alle basi da cui partono truppe e mezzi è una lotta contro i mulini a vento, patetica ed ineffettuale. Un pacifismo che non inserisca nel proprio DNA i geni dell'antimilitarismo radicale è votato alla testimonianza, alla marginalità o, peggio, al ruolo di imbiancatore di sepolcri. La sinistra, tutta la sinistra, compresa quella che oggi si ammanta dell'arcobaleno della pace, ha cavalcato il movimento contro la guerra a fini elettorali ma, appena tornata al potere, è tornata a fare la guerra. Per chi lo avesse dimenticato nel 1999 il nostro paese è stato la portaerei dalla quale sono partiti i bombardieri USA e quelli tricolori che hanno martellato la Serbia e il Kosovo, ammazzando e distruggendo. A capo del governo era Massimo D'Alema, oggi ministro degli esteri.
Il governo Prodi ha mantenuto e rafforzato la missione militare in Afganistan e ha dato il via alla costruzione a Vicenza della base operativa USA più grande d'Europa. Gli arcobaleni della cosiddetta sinistra radicale hanno votato, votato e votato ancora a favore dell'invio di truppe. In quanto al Dal Molin, non sono andati oltre le chiacchiere, segnalando tuttavia a gran voce di avere un gran mal di pancia. Sarebbe tempo che si decidessero a vivere tranquilli la propria scelta guerrafondaia, smettendola di ammorbarci con il lezzo insopportabile della loro ipocrisia.
Ma è anche tempo per i movimenti contro la guerra di emanciparsi dalla dipendenza da un quadro politico istituzionale, in cui cambiano gli attori sul palcoscenico, ma non mutano le scelte di guerra.
Il primo passo, concreto ma dalla forte valenza simbolica, consiste nell'opporsi alla basi militari, nell'impedire che ne vangano fatte di nuove e nel chiudere quelle esistenti.
Il movimento vicentino, che nelle sue diverse componenti, si batte contro il Dal Molin, la Caserma Ederle e contro le numerose altre installazioni militari sul territorio, ha raccolto il favore di tanti, che dalla manifestazione del 1 dicembre 2006 a quella del 17 febbraio di quest'anno sono accorsi a Vicenza per dare sostegno ad una lotta, la cui valenza va ben oltre Vicenza. Sta crescendo la consapevolezza che l'opposizione alla guerra si fa sui nostri territori, lottando per affrancarli dalle installazioni e dalla servitù militari, tagliando concretamente le basi alla guerra. Tra quanti si battono contro le opere inutili, nocive, devastanti, che un'idea distorta di progresso cerca di imporre, vi è stato negli ultimi due anni un agire solidale, che, dopo la rivolta della Val Susa dell'inverno 2005, ha portato alla nascita del Patto di Mutuo Soccorso, ossia all'impegno al sostegno reciproco di fronte alle lotte e alla repressione dello Stato. Pur con le inevitabili difficoltà di un percorso che si scontra spesso contro la smania dei vari politicanti di movimento di mettere il cappello al Patto, tuttavia l'esperienza è stata sinora sostanzialmente positiva, perché fondata sull'autonomia di gruppi e movimenti il cui legame sta nella capacità di agire solidalmente.
La scorsa estate un'assemblea a Vicenza ha sancito che, se i lavori di costruzione della base fossero iniziati, in ogni dove sarebbero state prese iniziative che, da nord a sud, da est a ovest, bloccassero l'Italia.
Sono piccoli ma importanti segnali che l'opposizione alla guerra – e al militarismo – va oltre l'indignazione per dar corpo ad un'agire politico capace di segnare punti concreti a favore della liberazione dagli eserciti, da tutti gli eserciti, quelli tricolori come quelli a stelle e strisce.
A Vicenza nei prossimi mesi si giocherà una partita cruciale, una partita difficilissima, perché vincere contro avversari tanto forti e spietati non è certo facile. Ma non impossibile. Specie se chi si oppone alla nuova base, a Vicenza come nel resto d'Italia, saprà essere autonomo dal quadro politico istituzionale e dai suoi giochi, mirando a coniugare, in ogni dove, la radicalità degli obiettivi e delle pratiche con il radicamento sociale.
Per sabotare la guerra occorre che la lotta di Vicenza si estenda e si allarghi: da Camp Derby a Taranto, da Aviano a Sigonella, da Ghedi a Quirra, da Napoli a La Spezia, ad ogni città o paese, dove vi sia una caserma, un poligono di tiro, un deposito d'armi.

onan

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