Umanità Nova, n.41 del 16 dicembre 2007, anno 87

Torino. Condannati gli antifascisti


Il 10 dicembre 2007 sono stati assolti dall'accusa di "devastazione e saccheggio" i dieci antifascisti processati a Torino per i fatti del 18 giugno 2005. Una manifestazione indetta per sensibilizzare la città e protestare dopo l'accoltellamento di due occupanti del Barocchio squat da parte di una squadraccia fascista venne caricata in via Po per impedire ai manifestanti di arrivare nella centralissima piazza Castello. Il Tribunale di Torino ha comunque inflitto pesanti condanne per resistenza e lesioni: un anno e tre mesi per tutti gli imputati, salvo una condanna a un anno e otto mesi ed una a nove mesi per Massimiliano della Fat. L'assurda e draconiana accusa di aver messo a sacco il centro di Torino in un tranquillo pomeriggio di giugno è caduta, ma restano le condanne per fatti che nessuno degli imputati ha commesso e che sono stati cuciti loro addosso dai verbali dei questurini. Resta comunque il fatto gravissimo che per due anni e più un gruppo di antifascisti si sia dovuto difendere da un'accusa che faceva pendere sulle loro teste una possibile condanna alla reclusione dagli otto ai quindici anni, tanti ne prevede il reato di devastazione e saccheggio. C'è una logica nella strategia repressiva che ha colpito a Torino ed è quella di tenere impegnati il più a lungo possibile pezzi significativi di movimento sociale in processi come questo, costruito sul niente, eppure capace di macinare anni di impegno nel cercare di arginarne i possibili devastanti effetti sulla vita degli imputati; mentre il processo, l'imputazione, comunque funzionavano da deterrente, da minaccia. Per tutti. L'ipotesi di reato di devastazione e saccheggio è stata formulata a Genova e a Milano, per vicende profondamente diverse, per i fatti del luglio 2001 e per i manifestanti che volevano impedire nella primavera del 2006 una manifestazione elettorale di Fiamma Tricolore. A Milano c'è già stata una pesante condanna con rito abbreviato in primo grado, parzialmente confermata in appello. A Genova il processo è alle battute finali. È chiaro che le procure della repubblica cerchino di sperimentare nuove strade repressive, sopratutto nei confronti dei movimenti di massa e di inventarsi applicazioni fantasiose di reati da tempo di guerra o da disastro stile Vajont per il semplice fatto che durante una manifestazione ed in seguito ad una violenta carica della polizia, qualche tavolino e sedia di plastica siano stati rovesciati. E se poi, come nel caso di Torino, cade l'accusa più grave, restano sempre i "classici" reati di resistenza e lesioni che possono comportare anche condanne molto pesanti, come quella di oggi. Giacché nove mesi, un anno e tre mesi o un anno e otto mesi per essere scesi in piazza a dire che l'antifascismo è una discriminante ancora ben radicata nella città dell'anarchico Pietro Ferrero, del liberale Piero Gobetti, del comunista Antonio Gramsci, sono tanti, sono troppi. Da qui allora occorre ripartire, dal motivo per cui si è scesi in piazza il 18 giugno del 2005, dall'antifascismo che oggi è urgente rimettere al centro della nostra riflessione e della nostra azione. Perchè ovunque nella nostra società sono al lavoro i demoni mai sopiti del fascismo, coccolati, nutriti, vezzeggiati dal potere che sempre semina odio, divisione, sopraffazione, sfruttamento e che del fascismo non ha tanto l'aspetto esterno quanto la sostanza e che dei fascisti si serve all'occorrenza per i suoi lavori più sporchi. C'è un'emergenza antifascista oggi in Italia, bisogna battersi senza tregua contro l'opaca marea montante di odio viscerale e meschino che è l'humus del fascismo, suo terreno di coltura e suo prodotto. Al fianco di tutti coloro che del fascismo sono le vittime prime perchè "altre", perchè "diverse", perchè "irriducibili" al sistema. Ogni giorno deve essere il nostro 18 giugno.

W.B.

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