Mi è capitato a volte di riflettere sulle difficoltà
che presumibilmente trova un giornalista danese, o magari finlandese, a
spiegare ai suoi lettori il sistema dei partiti italiano collocandolo
nello scacchiere europeo.
Far capire, ad esempio, che al Partito Popolare Europeo aderiscono
Forza Italia, l'UdC, l'Udeur e, in qualche misura, una parte del
Partito Democratico e che vorrebbero, o avrebbero voluto prima della
recente gelata rispetto a FI, aderirvi i post fascisti di Alleanza
Nazionale non deve essere uno scherzo.
Altrettanto complicato deve essere il far comprendere come possano
aderire al Partito Socialista Europeo un piccolo partito socialista
peraltro alleato sino a poco tempo addietro ad un partito liberista, i
Democratici di Sinistra, che sono confluiti in quel Partito Democratico
che contiene dei popolari, ed essere candidati all'adesione gli
aderenti al raggruppamento Sinistra Democratica (SD) che, nello stesso
tempo, sta costruendo un unico soggetto politico con partiti neo e
vetero comunisti oltre che semplicemente non socialisti.
Fatto salvo che questo ipotetico giornalista troverà in qualche
maniera il modo di cavarsela magari facendo cenno alle bizzarrie
latine, ritengo sia evidente che il sistema dei partiti italiani vive
il processo della crisi della rappresentanza, per usare una definizione
di moda e sulla quale qualcosa sulle pagine di questo giornale è
stato scritto, in modo peculiare.
Proviamo a ragionare, a questo proposito, sul nuovo prodotto offertoci
dal mercato politico: "La Sinistra, l'Arcobaleno" prodotto dalla
fusione tiepida di PRC, PdCI, Verdi e SD.
Se prendessimo sul serio la dimensione programmatica, ma a tanta
sprovvedutezza nemmeno noi arriviamo, si tratta di una sorta di Mostro
di Frankestein, del cadavere animato risultante dall'unione grezza di
pezzi di altri cadaveri: il comunismo storico novecentesco ben
incarnato dal cultore di mummie Diliberto, il comunismo rinnovato in
salsa movimentista diretto dal sempre verde Bertinotti, il post
comunismo in versione socialdemocratica che aleggia dietro i baffi di
Mussi e l'ambientalismo rosato di Pecoraro Scanio.
È evidente che, da questo punto di vista, i quattro animatori
del nuovo partito fanno un'operazione che non prende le mosse da una
concordanza su di un preciso programma ma da una necessità che
li costringe a mettere in soffitta più che un programma
un'identità ideologica che pure qualche peso lo ha.
Si tratta, in altri termini, della risposta obbligata, per un verso,
alla costruzione del Partito Democratico e, per l'altro, alla
possibilità di una legge elettorale che spazzerebbe via almeno
tre dei quattro nani dei quali andiamo ragionando.
Il nuovo soggetto, ammesso che non si scomponga e decomponga prima di
nascere, entrerebbe sul mercato politico con una base elettorale,
sommando PdCI, PRC e Verdi, superiore al 10% e con la ragionevole
possibilità di arrivare al 15% attraendo settori di DS col mal
di pancia.
È sin troppo evidente, e la storia dei partiti italiani ha dato
più di una dimostrazione in tal senso, che 2 + 2, per citare il
povero Nenni, non solo non fa necessariamente 5 ma può benissimo
fare 3. In altri termini, non ripugna alla ragione pensare che settori
di elettorato verdastro e destrignaccolo potrebbero non apprezzare
l'apparentamento con partiti troppo "rossi", che diessini critici
potrebbero non apprezzare le movenze movimentiste del PRC, che elettori
liberal del PRC potrebbero non superare la ripugnanza per la pelata di
marco Rizzo ecc. ecc.. con l'effetto di avere una somma inferiore alle
componenti che l'hanno determinata.
D'altro canto è invece possibile che il nuovo progetto acquisti
in appeal quello che perde in nitidezza grazie al fatto di apparire
come "credibile" contenitore di una sinistra moderata ma decisa,
combattiva ma arrendevole, cauta e forte.
Sin da ora, per la verità, il quadro di riferimento del nuovo
partito appare alquanto frastagliato. Ad esempio, la discussione
alquanto fessa, almeno in apparenza, sull'utilizzo o meno del simbolo
della falce e martello ha una sua qualche ragion d'essere. Un settore
di elettorato addestrato dal vecchio PCI ad accettare le peggiori
nefandezze purché l'identità "comunista" marmoreo e, nel
contempo, legnosa venisse salvaguardata, è una risorsa
importante, un aggregato umano umile ma utile che sarebbe insensato
buttar via visto quanto poco costa. Ma garantire a costoro il piacere,
economico ed intenso, di vedere la falce ed il martello sulle bandiere
del proprio partito porrebbe problemi con i novatori, ed altrettanto
avverrebbe se si secondassero troppo questi stessi novatori.
Non a caso i vari leader del nuovo soggetto sono, a prole pronti a
superare il proprio raggruppamento ma provvedono a definire le
condizioni del percorso. Se, ad esempio, la legge elettorale
iberico/germanica non passasse, non sarebbe da escludere qualche
capitombolo all'indietro ma questo si vedrà.
A sinistra della cosa rosa, ovviamente, si muovono quei soggetti che si
sono staccati, in particolare, dal PRC nel corso del suo porsi come
partito di governo.
Per un verso c'è il PCL che si è dato un assetto piccolo
bolscevico abbastanza classico e, di conseguenza, chiuso a riccio. Per
l'altro c'è un gruppo meno rigido qual è Sinistra Critica
che, per di più, ha una sua rappresentanza parlamentare che
può garantirle risorse sia economiche che di visibilità.
Senza svolgere critiche puntuali alle loro posizioni, appare
improbabile che sullo stesso terreno vi sia una spazio politico
rilevante a sinistra del PRC. Naturalmente verificheremo come questi
soggetti si muoveranno e che ruolo giocheranno, quello che sembra, ad
oggi, evidente è che l'ennesimo tentativo di dar vita, mi
riferisco al PRC, ad un partito istituzionale e movimentista è
naufragato. Parce sepulcro.
Cosimo Scarinzi