Umanità Nova, n.41 del 16 dicembre 2007, anno 87

Alla fine dell'arcobaleno... Una pentola di carbone


Mi è capitato a volte di riflettere sulle difficoltà che presumibilmente trova un giornalista danese, o magari finlandese, a spiegare ai suoi lettori il sistema dei partiti italiano collocandolo nello scacchiere europeo.
Far capire, ad esempio, che al Partito Popolare Europeo aderiscono Forza Italia, l'UdC, l'Udeur e, in qualche misura, una parte del Partito Democratico e che vorrebbero, o avrebbero voluto prima della recente gelata rispetto a FI, aderirvi i post fascisti di Alleanza Nazionale non deve essere uno scherzo.
Altrettanto complicato deve essere il far comprendere come possano aderire al Partito Socialista Europeo un piccolo partito socialista peraltro alleato sino a poco tempo addietro ad un partito liberista, i Democratici di Sinistra, che sono confluiti in quel Partito Democratico che contiene dei popolari, ed essere candidati all'adesione gli aderenti al raggruppamento Sinistra Democratica (SD) che, nello stesso tempo, sta costruendo un unico soggetto politico con partiti neo e vetero comunisti oltre che semplicemente non socialisti.
Fatto salvo che questo ipotetico giornalista troverà in qualche maniera il modo di cavarsela magari facendo cenno alle bizzarrie latine, ritengo sia evidente che il sistema dei partiti italiani vive il processo della crisi della rappresentanza, per usare una definizione di moda e sulla quale qualcosa sulle pagine di questo giornale è stato scritto, in modo peculiare.
Proviamo a ragionare, a questo proposito, sul nuovo prodotto offertoci dal mercato politico: "La Sinistra, l'Arcobaleno" prodotto dalla fusione tiepida di PRC, PdCI, Verdi e SD.
Se prendessimo sul serio la dimensione programmatica, ma a tanta sprovvedutezza nemmeno noi arriviamo, si tratta di una sorta di Mostro di Frankestein, del cadavere animato risultante dall'unione grezza di pezzi di altri cadaveri: il comunismo storico novecentesco ben incarnato dal cultore di mummie Diliberto, il comunismo rinnovato in salsa movimentista diretto dal sempre verde Bertinotti, il post comunismo in versione socialdemocratica che aleggia dietro i baffi di Mussi e l'ambientalismo rosato di Pecoraro Scanio.
È evidente che, da questo punto di vista, i quattro animatori del nuovo partito fanno un'operazione che non prende le mosse da una concordanza su di un preciso programma ma da una necessità che li costringe a mettere in soffitta più che un programma un'identità ideologica che pure qualche peso lo ha.
Si tratta, in altri termini, della risposta obbligata, per un verso, alla costruzione del Partito Democratico e, per l'altro, alla possibilità di una legge elettorale che spazzerebbe via almeno tre dei quattro nani dei quali andiamo ragionando.
Il nuovo soggetto, ammesso che non si scomponga e decomponga prima di nascere, entrerebbe sul mercato politico con una base elettorale, sommando PdCI, PRC e Verdi, superiore al 10% e con la ragionevole possibilità di arrivare al 15% attraendo settori di DS col mal di pancia.
È sin troppo evidente, e la storia dei partiti italiani ha dato più di una dimostrazione in tal senso, che 2 + 2, per citare il povero Nenni, non solo non fa necessariamente 5 ma può benissimo fare 3. In altri termini, non ripugna alla ragione pensare che settori di elettorato verdastro e destrignaccolo potrebbero non apprezzare l'apparentamento con partiti troppo "rossi", che diessini critici potrebbero non apprezzare le movenze movimentiste del PRC, che elettori liberal del PRC potrebbero non superare la ripugnanza per la pelata di marco Rizzo ecc. ecc.. con l'effetto di avere una somma inferiore alle componenti che l'hanno determinata.
D'altro canto è invece possibile che il nuovo progetto acquisti in appeal quello che perde in nitidezza grazie al fatto di apparire come "credibile" contenitore di una sinistra moderata ma decisa, combattiva ma arrendevole, cauta e forte.
Sin da ora, per la verità, il quadro di riferimento del nuovo partito appare alquanto frastagliato. Ad esempio, la discussione alquanto fessa, almeno in apparenza, sull'utilizzo o meno del simbolo della falce e martello ha una sua qualche ragion d'essere. Un settore di elettorato addestrato dal vecchio PCI ad accettare le peggiori nefandezze purché l'identità "comunista" marmoreo e, nel contempo, legnosa venisse salvaguardata, è una risorsa importante, un aggregato umano umile ma utile che sarebbe insensato buttar via visto quanto poco costa. Ma garantire a costoro il piacere, economico ed intenso, di vedere la falce ed il martello sulle bandiere del proprio partito porrebbe problemi con i novatori, ed altrettanto avverrebbe se si secondassero troppo questi stessi novatori.
Non a caso i vari leader del nuovo soggetto sono, a prole pronti a superare il proprio raggruppamento ma provvedono a definire le condizioni del percorso. Se, ad esempio, la legge elettorale iberico/germanica non passasse, non sarebbe da escludere qualche capitombolo all'indietro ma questo si vedrà.
A sinistra della cosa rosa, ovviamente, si muovono quei soggetti che si sono staccati, in particolare, dal PRC nel corso del suo porsi come partito di governo.
Per un verso c'è il PCL che si è dato un assetto piccolo bolscevico abbastanza classico e, di conseguenza, chiuso a riccio. Per l'altro c'è un gruppo meno rigido qual è Sinistra Critica che, per di più, ha una sua rappresentanza parlamentare che può garantirle risorse sia economiche che di visibilità.
Senza svolgere critiche puntuali alle loro posizioni, appare improbabile che sullo stesso terreno vi sia una spazio politico rilevante a sinistra del PRC. Naturalmente verificheremo come questi soggetti si muoveranno e che ruolo giocheranno, quello che sembra, ad oggi, evidente è che l'ennesimo tentativo di dar vita, mi riferisco al PRC, ad un partito istituzionale e movimentista è naufragato. Parce sepulcro.

Cosimo Scarinzi

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