Questo è il primo di una
serie di tre articoli dedicati alle basi della guerra. Il prossimo
tratterà delle basi USA e NATO in Italia, quello successivo
delle installazioni militari italiane.
Cosa sono le servitù militari
"In vicinanza delle opere ed installazioni militari permanenti o
semipermanenti e degli aeroporti, il diritto di proprietà
può essere soggetto alle limitazioni stabilite dalla legge,
della durata massima di cinque anni, salvo proroga stabilita con
decreto del Comandante territoriale, sentito il Comitato Misto
Paritetico. Tali limitazioni possono essere ridotte o revocate nello
stesso modo anche prima dello scadere del quinquennio (art.1 e 10 L.
898/76). Il decreto del Comandante territoriale, che adotta il
provvedimento impositivo sulle zone soggette alle limitazioni di cui
all'art.1 e nel quale devono essere individuate le singole
proprietà assoggettate, è custodito nell'archivio
comunale. Diviene esecutivo dopo 90 gg. dalla data del deposito e
chiunque può prenderne visione fino a che l'imposizione ha
effetto (artt. 4 e 5 L. 898/76).
Ai proprietari degli immobili (ed in parte al conduttore, ove
l'immobile sia stato dato in conduzione prima dell'imposizione delle
limitazioni) è dovuto un indennizzo annuo (art. 7 L. 898/76)."
La legge citata, in un testo successivamente modificato (legge 104 del
2 maggio 1990), precisa inoltre che: "in ciascuna regione è
costituito un Comitato Misto Paritetico di reciproca consultazione per
l'esame, anche con proposte alternative della regione e
dell'autorità militare, dei problemi connessi all'armonizzazione
tra i piani di assetto territoriale e di sviluppo economico e sociale
della regione e delle aree sub-regionali ed i programmi delle
installazioni militari e delle conseguenti limitazioni."
- Comitato Misto, perché è formato da militari e da
civili, cioè da componenti designati dal Ministero della Difesa
e, per ogni regione, eletti dal Consiglio Regionale;
- Paritetico, perché questi componenti sono in numero pari nei due settori.
Il comma 4 del citato articolo 1 precisa che "Ciascun comitato, sentiti
gli enti locali e gli altri organismi interessati, definisce" la
propria competenza in relazione ai problemi che abbiamo elencato,
cioè allo sviluppo economico, sociale, territoriale della
regione.
I pareri che il CoMiPar esprime sono obbligatori ma non vincolanti
(perciò il Ministero della Difesa, prima di assumere determinate
decisioni in relazione al complesso delle servitù militari deve
sentire il Comitato) ma, se quel parere è stato espresso a
maggioranza, prima di prendere una decisione difforme deve sentire la
Giunta Regionale competente per territorio.
Il Ministero della Difesa può quindi disattendere completamente il parere espresso.
Questo complesso di disposizioni non costituisce una formalità
più o meno interessante, ma significa che i governi della
regione e dei comuni e gli enti che vengono obbligatoriamente
interpellati, hanno una responsabilità precisa nella conduzione
delle opere che attengono alla difesa, evidentemente non nelle
decisioni strettamente militari, ma in tutte quelle operazioni di
gestione territoriale che al sistema militare sono connesse.
Le servitù militari, sulla base della legge 898 del 1976 e le
successive modifiche della legge 104 del 1990, consistono
principalmente in divieti e limitazioni della proprietà privata
(tramite indennizzo), nelle vicinanze di installazioni militari di
varia sorta e tipologia, a carattere sia nazionale (interamente gestite
dall'Esercito italiano), sia misto (basi americane e basi Nato). Le
servitù militari quindi attengono ad una ulteriore confisca
rispetto a quella specificatamente militare: l'espropriazione militare
definisce in termini stretti il sequestro di intere aree (di cielo, di
terra, di mare…) ai fini di installazioni reali di impianti a
carattere bellico. Le servitù militari impongono ulteriori
restrizioni territoriali nelle vicinanze delle installazioni militari;
insomma allargano a piacimento la destinazione militare di un
territorio. Quando si parla, ad esempio, del raddoppio della base di
Vicenza, in realtà non si tiene conto della parte ulteriore che
verrà ulteriormente espropriata ed è quella nei dintorni
presso i quali non si potrà costruire nulla a "detrimento" della
base stessa.
Il militare è talmente potente che va contro anche ai diritti di
proprietà sanciti dal capitalismo: la "sicurezza" e l'apparato
belligeno sia di controllo che di attacco posso eliminare diritti di
proprietà, o meglio, sottoporre i diritti di proprietà ad
un altro ordinamento, con altre regole, altre leggi, altri controlli
extraterritoriali. In fondo, nel piccolo è ciò che
avviene per le guerre, dove proprietà di capitali e di
produzione sottopongono i loro diritti all'esercizio "temporaneo" del
comando militare. Ed è in questo senso che le lobby militari
acquistano un peso specifico sempre più considerevole,
perché possono arrivare laddove il capitale, le multinazionali
ed il sistema di mercato non possono arrivare, cioè ad imporre
la proprietà territoriale, manu militari, a salvaguardia o ad
estensione del loro potere di produzione e commercio. Sempre di
più vedremo formarsi oligopoli mercantilistico-militari in grado
di realizzare jointventure extraterritoriali, funzionali non solo
all'apparato di dominio degli stati di cui fanno parte, ma anche di
quei gruppi di potere interni agli stessi stati che traggono il maggior
beneficio da queste operazioni. Non è un caso, infatti, che nei
grandi stati imperialistici (USA, CSI, CINA…) gli apparati di
governo coincidano sostanzialmente con quelli militari e, non è
un caso, che in democrazie formali come la nostra, i politici si
facciano da agenti e promotori territoriali degli apparati militari. E
questo a partire dai piccoli comuni con relativi benefit, alle
province, alle regioni, agli stati nazionali. Ogni piccolo organismo di
governo territoriale deve essere strumento di disegni più ampi,
pena la perdita effettuale di potere decisionale locale: ecco
perché in queste lotte, come avviene già sul TAV,
è fondamentale l'autonomia totale dei movimenti dagli apparati
istituzionali ed ancora in misura maggiore da quei partiti che si
prestano, a sinistra, a fare da sponda alle scelte governative,
cioè alle loro scelte. La seconda cosa fondamentale è il
rivendicare l'esercizio della collettività sul territorio come
bene comune e non come bene privatistico, e quindi contro ogni
tipologia di servitù, compresa quella nazionale: in questo senso
la differenza rispetto ai nazionalismi di ogni sorta e natura deve
essere molto netta e chiara. Non vogliamo espropriare chicchessia per
metterci i "nostri militari", ma per togliere tutti i militari da ogni
territorio. Altrimenti il rischio sarebbe quello di scivolare in un
sciovinismo nazionalistico di tipo fascistoide lontano milioni di anni
luce dalla nostra cultura politica e credo anche da quella di molti
pacifisti ed antimilitaristi che anarchici non sono.
Pietro Stara