Umanità Nova, n.42 del 23 dicembre 2007, anno 87

Torino: verso il corteo del 19 gennaio. Fermare la barbarie


Torino è una città dove stanno accadendo molte cose la cui lettura contemporanea illumina la parabola di questo nostro paese, svelandone non solo nervi e carne, ma aiutando anche a penetrare oltre la favola che ogni giorno si racconta. Torino è una città che fu protagonista nello sviluppo industriale nazionale e meta di immigrazione nel potente travaso che negli anni 50' e 60' rimescolò l'Italia, sradicando milioni di contadini dalle città, i paesi, le terre del meridione. La città della Fiat (e di molte altre industrie) non fu tenera con chi veniva a cercarvi lavoro, non fu accogliente. Anche le aristocrazie operaie di fabbrica storsero il naso davanti alla massa di "cafoni" gettati in linea a ripetere gesti sempre uguali ed alienanti. Ma la città aveva un'anima popolare e politica la cui storia aveva percorso la parabola del '900, dal sorgere del conflitto sociale, alle manifestazioni contro il macello della Grande Guerra, all'occupazione delle fabbriche nel primo dopoguerra, all'opposizione al fascismo, agli anni grigi del ventennio, ai bombardamenti della seconda guerra, alla lotta partigiana. La città di Gramsci e di Gobetti, per ricordare due nomi su tutti, per dire che la cultura socialista, comunista e liberale qui si radicò nel profondo, prendendo molto sul serio quanto avveniva in città, coscienti tutti che Torino fosse luogo dove le contraddizioni della società si manifestavano più schiettamente. Questo non è cambiato, ma forse Torino ha perso la sua anima, o non la trova più. La città industriale si è ridimensionata, ridotta, ed è cresciuta una città-evento o vetrina di eventi, ordinata e rilucente come il centro attuale della città, grazie all'iniezione di denaro portato dalle olimpiadi invernali. Da anni Torino, la provincia e la regione Piemonte, sono governate dal centrosinistra (compresi Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi): i partiti dell'Unione hanno condiviso la trasformazione urbana e sociale della città; qui le due anime del nascente Partito democratico, DS e Margherita, si sono sfidati all'ultimo voto alle primarie e qui governa il sindaco Chiamparino emulo di Cofferati e ultras del TAV. Come tutte le grandi città dell'occidente, anche Torino è stata meta di immigrazione dal secondo terzo e quarto mondo e, come per l'immigrazione dal sud Italia del passato, Torino non è stata accogliente. Se questo può apparire comprensibile, meno comprensibile è il fatto che in un paio d'anni siano almeno cinque gli immigrati morti durante controlli di polizia o vigili urbani; meno comprensibile che si gettino bombe molotov contro i campi dei rom e che una passante evochi Auschwitz, i campi, le camere a gas, per "gli zingari". Come si fatica a riconoscere in Torino la città dove fascisti accoltellano gli abitanti di uno squat e la manifestazione di protesta viene caricata e dispersa dalla polizia, con seguito di processo conclusosi da poco in cui era stato contestato il reato di devastazione e saccheggio che prevede la pena della reclusione da otto a quindici anni (art. 419 c.p.), imputazione caduta (contrariamente a Milano e a Genova), ma anche lesioni e resistenza per cui sono state comminate pene severe, sopra la media per questo tipo di reati. Negli stessi giorni il rogo della Thyssenkrupp ricordava ai tanti distratti interessati che ogni giorno si combatte la guerra tra capitale e lavoro e che si può lavorare e morire nella scintillante Torino del 2007 come se fossimo all'inizio del secolo scorso o, ancor prima, nell'800. E a Torino il 18 dicembre 1922, ottantacinque anni fa, i fascisti distruggevano la Camera del lavoro e torturavano a morte il segretario della Fiom, l'anarchico Pietro Ferrero. Torino è al crocevia, ancora una volta, delle contraddizioni che attraversano la società. Qui è giusto manifestare, come invitiamo a fare il 19 gennaio prossimo, per dire che il fascismo è il peggiore dei nostri nemici, che sta risorgendo, in forme mistificate ed eclatanti, al tempo stesso; per dire che la democrazia autoritaria che si va affermando è la maschera del fascismo, perché razzista, guerrafondaia, classista e sfruttatrice, indifferente al dolore che semina per il mondo e qui da noi il capitale. Ora come un tempo, gli anarchici conoscono il loro nemico: c'è un legame tra noi e le generazioni passate, un debito che ci impone di agire e lottare. Non solo per noi, ma per tutti.

W.B.

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