Il commento più appropriato al sofferto compromesso uscito
dalla Conferenza sul clima di Balì è quello di Greenpeace
France: "la casa brucia ancora ma si sono salvati i mobili". Non
sappiamo però a cosa servirà avere salvato i "mobili" se
il pianeta continua a "bruciare". I media italiani hanno dato un
giudizio positivo dell'accordo, sostenendo che a Balì la
"comunità internazionale" ha costretto gli Stati Uniti a
negoziare nei prossimi due anni un nuovo accordo sui cambiamenti
climatici, cosiddetto "Kyoto 2".
La vittoria degli Stati Uniti
La questione, però, non era quella se continuare il negoziato
fra gli Stati in vista del summit di Copenaghen del 2009 che dovrebbe
dare vita al "Kyoto 2"; nessuno, neppure il fronte dei duri (Stati
Uniti in testa) negava le trattative. La questione era come arrivare a
queste trattative: prendendo impegni concreti per la riduzione del
25-40% delle emissioni entro il 2020, come sosteneva l'UE, oppure
lasciando ai singoli Stati la libertà di adottare le misure che
più riterranno opportune, come sosteneva l'amministrazione Bush?
È passata questa seconda linea e quindi di tutto si è
trattato meno che di un compromesso: ha trionfato la linea degli Stati
Uniti. Che poi durante la Conferenza ci siano stati anche aspetti
positivi come la presa di coscienza del problema ambientale da parte
dei G77, paesi "in via di sviluppo" come si sarebbe detto una volta,
Cina e India compresi, questo è un altro discorso. Ma la
realtà è un'altra, checché ne dicano gli esponenti
del governo di centro-sinistra che hanno tutto l'interesse a far vedere
che qualcosa si muove vista la pessima figura fatta dall'Italia durante
il vertice.
L'Italia: l'ipocrita accettazione del protocollo di Kioto
Ci spieghiamo meglio. Il quadro internazionale è chiarissimo:
gli Stati si dividono fra un nucleo di paesi che cercano di diminuire
le loro emissioni di CO2 (es. Svezia, Germania, Gran Bretagna,
Danimarca e Francia), la gran parte di Stati che ipocritamente hanno
preso l'impegno a fare altrettanto ma fanno il contrario (Spagna,
Grecia, Portogallo, Austria), gli Stati Uniti e qualche altro paese che
sostengono che le teorie dell'IPCC non abbiano grandi basi scientifiche
e che quindi non fanno niente per ridurre le emissioni, i paesi
emergenti come Cina e India che aspettano che gli Stati industrialmente
sviluppati facciano davvero qualcosa accusandoli di neocolonialismo. In
questo desolante quadro, l'Italia fa parte a pieno titolo degli
"ipocriti": si è impegnata a diminuire al 2012 le sue emissioni
del 6,5% rispetto al 1990 ma in realtà a tutto il 2004 ha
aumentato le proprie emissioni del 12,4% rispetto al 1990! E non ci
vengano a dire, i governanti del centro-sinistra, che, come sempre, la
colpa è di Berlusconi perché è vero che il governo
di centro-destra non ha fatto niente per applicare il protocollo di
Kioto ma è altrettanto vero che nei due anni di governo Prodi
non si è vista alcuna svolta rilevante. La politica italiana la
fanno i grandi inquinatori. Se ne sono accorti anche gli ambientalisti
istituzionali: secondo quanto denunciato il 22 novembre da Legambiente,
Greenpeace e WWF il governo starebbe preparando un provvedimento che
per superare la richiesta della Commissione europea di tagliare di 13,2
milioni di tonnellate il piano italiano di allocazione delle emissioni
di gas serra di provenienza industriale, prevede l'acquisto di quote
"verdi" con denaro pubblico prelevato da un apposito fondo previsto
dalla Legge finanziaria 2008. I soldi pubblici servirebbero quindi ad
evitare di penalizzare gli impianti più inquinanti, cioè
le centrali a carbone e a olio combustibile (perché quando
c'è da incentivare gli impianti di ENEL, ENI, Edison ecc, i
soldi si trovano sempre!). D'altra parte vi aspettate qualcosa da un
governo che affida la sua politica nel campo delle attività
produttive ad un personaggio come il ministro Bersani, meritevole del
premio "Attila dell'ambiente 2006-2007"?
Una situazione drammatica
Ma a parte le responsabilità italiane, la questione sollevata
dalla Conferenza di Balì è l'impressione di sostanziale
impotenza dimostrata dalla cosiddetta "comunità internazionale".
Se, come quasi universalmente affermato, si ritiene che le denuncie
dell'IPCC siano scientificamente provate, la logica vorrebbe che si
prendessero decisioni conseguenti ed incisive. Invece si continua con
questo balletto di conferenze e summit inconcludenti. Abbiamo
commentato recentemente il congresso mondiale delle multinazionali
dell'energia, svoltosi a Roma e conclusosi con un irrealistico
ottimismo fondato su future e assolutamente ipotetiche novità
tecnologiche. Oggi commentiamo il vertice degli Stati svoltosi a
Balì, conclusosi con un compromesso che rinvia ad ulteriori
negoziati la presa di decisioni che invece sembrano urgentissime.
È sin troppo evidente che "uomini di Stato" e "capitalisti" non
vogliono uscire dal sistema del petrolio e delle fonti non rinnovabili
(gas, carbone ma anche uranio) e dal modello di società
falsamente benestante che esse alimentano. È sin troppo evidente
che "i padroni del mondo" non hanno alcun interesse a costruire un
futuro fondato su fonti rinnovabili, diffuse ed autogestite dalle
collettività locali, e su un uso efficiente dell'energia
prodotta.
"Socialismo o barbarie" si diceva una volta...
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