Umanità Nova, n.42 del 23 dicembre 2007, anno 87

15 dicembre. Vicenza: ancora in piazza


Per ricordare, almeno per un giorno, al governo e allo stesso presidente della Repubblica che la questione del Dal Molin resta aperta è stato necessario riportare in piazza circa 50 mila persone (30 mila secondo la questura), nella terza manifestazione nazionale svoltasi in un anno a Vicenza; la prima, infatti, si svolse il 2 dicembre 2006, poi seguì quella dei centomila del 17 febbraio 2007.
Così, pochi giorni dopo il viaggio in Usa del presidente della Repubblica, durante cui è stata confermata a Bush la sudditanza italiana, la stampa locale e nazionale ha dovuto riferire che l'opposizione popolare al Dal Molin non disarma e che, quando il comando Setaf e il ministero dell'interno decideranno di dare avvio alla costruzione della nuova base militare Usa, i nodi politici sono destinati ad arrivare al pettine.
Vanamente, nelle settimane precedenti il sindaco Hullweck, assieme alle destre, aveva evocato ancora una volta apocalittici scenari di violenze e distruzioni per il centro cittadino, facendosi paladino, assieme alla Lega Nord che aveva persino organizzato una petizione per vietare il corteo, degli interessi di bottega dei commercianti berici. In realtà, visto che la manifestazione non ha attraversato il centro cittadino e che non c'è stata ombra di incidenti, se il consumismo prenatalizio ha registrato delle flessioni, la responsabilità ricade tutta su quanti hanno alimentato il clima di tensione, disseminando di blindati e uniformi antisommossa ogni piazza.

Il corteo
A differenza della precedente manifestazione, stavolta aveva prevalso il disinteresse dei cosiddetti organi d'informazione, ormai tutti allineati e concordi nel far scomparire o marginalizzare la notizia di una decisione governativa che continua a scontrarsi con il volere di una collettività e la compatibilità ambientale di un territorio.
Nonostante tale silenzio, la giornata di mobilitazione era iniziata fin dalla tarda mattinata, con un presidio davanti alla caserma Ederle, promosso dal Comitato Vicenza Est, a cui hanno preso parte circa duecento persone tra cui alcuni disertori dell'esercito Usa, facenti parte dell'organizzazione Ivaw, rappresentanze antimilitariste estere, nonché attivisti dell'area libertaria e comunisti del PdAC.  Nei pressi della caserma Chinotto, sede del comando della Gendarmeria europea, si sono invece ritrovati circa un centinaio di aderenti alla Confederazione Unitaria di Base; mentre dalla ex-caserma occupata di via Borgo Casale, trasformata in ostello, sono partiti i partecipanti alla Tre giorni promossa dal Presidio Permanente alla volta di campo Marzio, davanti alla stazione ferroviaria, dove era stato fissato il concentramento principale per tutte le realtà.
Qua, assieme agli altri punti di ritrovo, vi era pure quello rossonero organizzato dalle anarchiche e dagli anarchici del gruppo vicentino A-Berica, con megastriscioni, pane e vino, presso cui ben presto si è radunato un consistente numero di compagni/e provenienti, oltre che dal Veneto, soprattutto dal nord Italia.
Il corteo è quindi partito, con in testa lo spezzone dei vicentini contro il Dal Molin, seguito dalle diverse realtà solidali del Patto di Mutuo soccorso, dai comitati No Tav al Coordinamento novarese contro gli F.35, dall'Assemblea No Mose al Coordinamento campano Rifiuti Zero.
Inaspettata, a livello locale, persino la rappresentanza dell'Aeroclub vicentino che, con la base Usa, vedrebbe la perdita della pista per gli appassionati del volo civile.
Nella seconda parte del corteo, si trovavano invece le numerose quanto diverse associazioni antiguerra e organizzazioni della sinistra antagonista; ma anche il consistente spezzone antimilitarista anarchico, con circa un migliaio di presenze, aperto da uno striscione uguale a quello usato nel 2004 in occasione della manifestazione di Mestre: Nessuno è NATO per servire.
Numerosi gli striscioni e le situazioni presenti, anche estere, tra cui compagni tedeschi e sloveni; il tutto con la colonna sonora offerta dal sound system di Libera, dal quale sono intervenuti (e applauditi) pure i disertori statunitensi.
Oltre, alla contrarietà ai progetti di militarizzazione e alla politica di guerra del governo italiano, all'interno dello spezzone era palpabile la rabbia per le conseguenze repressive e giudiziarie che, nell'ultimo mese, hanno pesantemente colpito anarchici e anarchiche in diverse città, tra cui le gravi condanne per i fatti di Genova inflitte appena due giorni prima.
A circa metà del percorso, alcune situazioni - non soltanto anarchiche - hanno proposto e cercato di compiere una deviazione verso l'aeroporto Dal Molin, peraltro assai distante, ma probabilmente l'ingente schieramento di polizia ha dissuaso tale estemporaneo tentativo.
Nel complesso, la partecipazione anarchica ha comunque dimostrato di mantenere un più che rispettabile livello di mobilitazione e coordinamento, tanto che è stato pure rilevato nel resoconto de Il Manifesto, notoriamente assai poco compiacente nei nostri confronti, costretto - seppure a denti stretti - a citare "la galassia dei gruppi anarchici". Mentre il verde Beppe Caccia, già assessore "disobbediente" a Venezia nella giunta di Costa (ora commissario governativo per il Dal Molin), in un'intervista pubblicata su Il Gazzettino non si è risparmiato una saccente allusione nei confronti delle "formazioni di sapore ottocentesco", forse disturbato dal constatare la rilevanza numerica delle medesime.
La presenza della FAI, oltre che dallo striscione, dalle bandiere, dai volantini e dalla diffusione di Umanità Nova, è stata evidenziata dall'affissione a tappeto del manifestino intitolato "Ogni militare è un invasore".

Qualche considerazione politica.
Nonostante l'evidente ambiguità politica della sinistra di governo corresponsabile, con la sua subalternità, del progetto Dal Molin, della permanenza delle basi Usa e Nato, nonché delle missioni militari italiane all'estero (Afganistan, Iraq, Libano, Balcani); va osservato che la manifestazione non è riuscita a liberarsi dell'inopportuna presenza di alcuni parlamentari, a torto ritenuti "diversi". In particolare va negativamente sottolineata l'ulteriore sceneggiata di Franca Rame, senatrice del partito di Di Pietro, che non ha mai fatto mancare il suo voto alle scelte belliciste del governo, compreso l'intervento di guerra in Afganistan e l'aumento delle spese militari previste dalle ultime due Finanziarie.
Comunque, i partiti della sinistra parlamentare sono apparsi in forte difficoltà a mantenere la rappresentanza e la credibilità goduta sino a poco tempo fa, e persino la loro visibilità è risultata radicalmente ridimensionata. Emblematico un volantino/ordine di servizio, girato tra gli aderenti a Rifondazione Comunista, che vale la pena riportare integralmente: "Data la delicata situazione dei rapporti con il movimento in città chiediamo a tutti i compagni e a tutte le compagne di sfilare dietro lo spezzone organizzato dal PRC e di non attraversare il resto del corteo con le bandiere al seguito. È strettamente necessario attenersi a questa indicazione".
Il problema però è destinato a riproporsi, alla luce dei giochi politici in atto che vedono la Costituente di un nuovo soggetto politico della sinistra alternativa e "di movimento", ormai concorrente della Sinistra Arcobaleno nel candidarsi a tutori e guide per i movimenti popolari di opposizione.
D'altro canto, le diverse realtà ed espressioni di base dell'opposizione vicentina alla militarizzazione del loro territorio nei prossimi mesi dovranno compiere scelte intelligenti, autonome e determinate se vorranno davvero riuscire a contenere l'invadente progetto Da Molin, ma anche mettere in discussione le connesse strutture militari Usa già esistenti, a partire dalla caserma Ederle e dall'arsenale nucleare di Longare.

La politica estorsiva di Trenitalia
Al termine della manifestazione, quando moltissime persone reduci dal corteo si sono recate in stazione, si trovate protagoniste loro malgrado di un inaspettato blocco dei treni deciso da Trenitalia. Ufficialmente, tale ennesima provocatoria decisione è stata motivata dal fatto che alcuni ragazzi sarebbero saliti, senza biglietto, su un convoglio in partenza. Lo scenario che si è venuto quindi a produrre è risultato fuori da ogni ragionevolezza: treni bloccati per due ore, carichi di normali viaggiatori e manifestanti muniti di regolare biglietto; atteggiamento muscolare della polizia contro le ovvie proteste collettive, ma incapace di gestire sensatamente il problema, con tanto di elicottero volteggiante senza scopo sulla stazione. Alla fine, dopo un'assurda trattativa e una serie convulsa di telefonate tra i dirigenti della stazione e il ministero dell'interno, un deputato di Rifondazione Comunista si è impegnato a pagare il riscatto preteso da Trenitalia, consistente in oltre mille euro, per mettere fine al sequestro di centinaia di persone che, dopo aver pacificamente manifestato per ore, stavano perdendo la pazienza.

UN reporter

home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti