Per ricordare, almeno per un giorno, al governo e allo stesso
presidente della Repubblica che la questione del Dal Molin resta aperta
è stato necessario riportare in piazza circa 50 mila persone (30
mila secondo la questura), nella terza manifestazione nazionale
svoltasi in un anno a Vicenza; la prima, infatti, si svolse il 2
dicembre 2006, poi seguì quella dei centomila del 17 febbraio
2007.
Così, pochi giorni dopo il viaggio in Usa del presidente della
Repubblica, durante cui è stata confermata a Bush la sudditanza
italiana, la stampa locale e nazionale ha dovuto riferire che
l'opposizione popolare al Dal Molin non disarma e che, quando il
comando Setaf e il ministero dell'interno decideranno di dare avvio
alla costruzione della nuova base militare Usa, i nodi politici sono
destinati ad arrivare al pettine.
Vanamente, nelle settimane precedenti il sindaco Hullweck, assieme alle
destre, aveva evocato ancora una volta apocalittici scenari di violenze
e distruzioni per il centro cittadino, facendosi paladino, assieme alla
Lega Nord che aveva persino organizzato una petizione per vietare il
corteo, degli interessi di bottega dei commercianti berici. In
realtà, visto che la manifestazione non ha attraversato il
centro cittadino e che non c'è stata ombra di incidenti, se il
consumismo prenatalizio ha registrato delle flessioni, la
responsabilità ricade tutta su quanti hanno alimentato il clima
di tensione, disseminando di blindati e uniformi antisommossa ogni
piazza.
Il corteo
A differenza della precedente manifestazione, stavolta aveva prevalso
il disinteresse dei cosiddetti organi d'informazione, ormai tutti
allineati e concordi nel far scomparire o marginalizzare la notizia di
una decisione governativa che continua a scontrarsi con il volere di
una collettività e la compatibilità ambientale di un
territorio.
Nonostante tale silenzio, la giornata di mobilitazione era iniziata fin
dalla tarda mattinata, con un presidio davanti alla caserma Ederle,
promosso dal Comitato Vicenza Est, a cui hanno preso parte circa
duecento persone tra cui alcuni disertori dell'esercito Usa, facenti
parte dell'organizzazione Ivaw, rappresentanze antimilitariste estere,
nonché attivisti dell'area libertaria e comunisti del
PdAC. Nei pressi della caserma Chinotto, sede del comando della
Gendarmeria europea, si sono invece ritrovati circa un centinaio di
aderenti alla Confederazione Unitaria di Base; mentre dalla ex-caserma
occupata di via Borgo Casale, trasformata in ostello, sono partiti i
partecipanti alla Tre giorni promossa dal Presidio Permanente alla
volta di campo Marzio, davanti alla stazione ferroviaria, dove era
stato fissato il concentramento principale per tutte le realtà.
Qua, assieme agli altri punti di ritrovo, vi era pure quello rossonero
organizzato dalle anarchiche e dagli anarchici del gruppo vicentino
A-Berica, con megastriscioni, pane e vino, presso cui ben presto si
è radunato un consistente numero di compagni/e provenienti,
oltre che dal Veneto, soprattutto dal nord Italia.
Il corteo è quindi partito, con in testa lo spezzone dei
vicentini contro il Dal Molin, seguito dalle diverse realtà
solidali del Patto di Mutuo soccorso, dai comitati No Tav al
Coordinamento novarese contro gli F.35, dall'Assemblea No Mose al
Coordinamento campano Rifiuti Zero.
Inaspettata, a livello locale, persino la rappresentanza dell'Aeroclub
vicentino che, con la base Usa, vedrebbe la perdita della pista per gli
appassionati del volo civile.
Nella seconda parte del corteo, si trovavano invece le numerose quanto
diverse associazioni antiguerra e organizzazioni della sinistra
antagonista; ma anche il consistente spezzone antimilitarista
anarchico, con circa un migliaio di presenze, aperto da uno striscione
uguale a quello usato nel 2004 in occasione della manifestazione di
Mestre: Nessuno è NATO per servire.
Numerosi gli striscioni e le situazioni presenti, anche estere, tra cui
compagni tedeschi e sloveni; il tutto con la colonna sonora offerta dal
sound system di Libera, dal quale sono intervenuti (e applauditi) pure
i disertori statunitensi.
Oltre, alla contrarietà ai progetti di militarizzazione e alla
politica di guerra del governo italiano, all'interno dello spezzone era
palpabile la rabbia per le conseguenze repressive e giudiziarie che,
nell'ultimo mese, hanno pesantemente colpito anarchici e anarchiche in
diverse città, tra cui le gravi condanne per i fatti di Genova
inflitte appena due giorni prima.
A circa metà del percorso, alcune situazioni - non soltanto
anarchiche - hanno proposto e cercato di compiere una deviazione verso
l'aeroporto Dal Molin, peraltro assai distante, ma probabilmente
l'ingente schieramento di polizia ha dissuaso tale estemporaneo
tentativo.
Nel complesso, la partecipazione anarchica ha comunque dimostrato di
mantenere un più che rispettabile livello di mobilitazione e
coordinamento, tanto che è stato pure rilevato nel resoconto de
Il Manifesto, notoriamente assai poco compiacente nei nostri confronti,
costretto - seppure a denti stretti - a citare "la galassia dei gruppi
anarchici". Mentre il verde Beppe Caccia, già assessore
"disobbediente" a Venezia nella giunta di Costa (ora commissario
governativo per il Dal Molin), in un'intervista pubblicata su Il
Gazzettino non si è risparmiato una saccente allusione nei
confronti delle "formazioni di sapore ottocentesco", forse disturbato
dal constatare la rilevanza numerica delle medesime.
La presenza della FAI, oltre che dallo striscione, dalle bandiere, dai
volantini e dalla diffusione di Umanità Nova, è stata
evidenziata dall'affissione a tappeto del manifestino intitolato "Ogni
militare è un invasore".
Qualche considerazione politica.
Nonostante l'evidente ambiguità politica della sinistra di
governo corresponsabile, con la sua subalternità, del progetto
Dal Molin, della permanenza delle basi Usa e Nato, nonché delle
missioni militari italiane all'estero (Afganistan, Iraq, Libano,
Balcani); va osservato che la manifestazione non è riuscita a
liberarsi dell'inopportuna presenza di alcuni parlamentari, a torto
ritenuti "diversi". In particolare va negativamente sottolineata
l'ulteriore sceneggiata di Franca Rame, senatrice del partito di Di
Pietro, che non ha mai fatto mancare il suo voto alle scelte belliciste
del governo, compreso l'intervento di guerra in Afganistan e l'aumento
delle spese militari previste dalle ultime due Finanziarie.
Comunque, i partiti della sinistra parlamentare sono apparsi in forte
difficoltà a mantenere la rappresentanza e la credibilità
goduta sino a poco tempo fa, e persino la loro visibilità
è risultata radicalmente ridimensionata. Emblematico un
volantino/ordine di servizio, girato tra gli aderenti a Rifondazione
Comunista, che vale la pena riportare integralmente: "Data la delicata
situazione dei rapporti con il movimento in città chiediamo a
tutti i compagni e a tutte le compagne di sfilare dietro lo spezzone
organizzato dal PRC e di non attraversare il resto del corteo con le
bandiere al seguito. È strettamente necessario attenersi a
questa indicazione".
Il problema però è destinato a riproporsi, alla luce dei
giochi politici in atto che vedono la Costituente di un nuovo soggetto
politico della sinistra alternativa e "di movimento", ormai concorrente
della Sinistra Arcobaleno nel candidarsi a tutori e guide per i
movimenti popolari di opposizione.
D'altro canto, le diverse realtà ed espressioni di base
dell'opposizione vicentina alla militarizzazione del loro territorio
nei prossimi mesi dovranno compiere scelte intelligenti, autonome e
determinate se vorranno davvero riuscire a contenere l'invadente
progetto Da Molin, ma anche mettere in discussione le connesse
strutture militari Usa già esistenti, a partire dalla caserma
Ederle e dall'arsenale nucleare di Longare.
La politica estorsiva di Trenitalia
Al termine della manifestazione, quando moltissime persone reduci dal
corteo si sono recate in stazione, si trovate protagoniste loro
malgrado di un inaspettato blocco dei treni deciso da Trenitalia.
Ufficialmente, tale ennesima provocatoria decisione è stata
motivata dal fatto che alcuni ragazzi sarebbero saliti, senza
biglietto, su un convoglio in partenza. Lo scenario che si è
venuto quindi a produrre è risultato fuori da ogni
ragionevolezza: treni bloccati per due ore, carichi di normali
viaggiatori e manifestanti muniti di regolare biglietto; atteggiamento
muscolare della polizia contro le ovvie proteste collettive, ma
incapace di gestire sensatamente il problema, con tanto di elicottero
volteggiante senza scopo sulla stazione. Alla fine, dopo un'assurda
trattativa e una serie convulsa di telefonate tra i dirigenti della
stazione e il ministero dell'interno, un deputato di Rifondazione
Comunista si è impegnato a pagare il riscatto preteso da
Trenitalia, consistente in oltre mille euro, per mettere fine al
sequestro di centinaia di persone che, dopo aver pacificamente
manifestato per ore, stavano perdendo la pazienza.
UN reporter