Umanità Nova, n.42 del 23 dicembre 2007, anno 87

Letture. Élisée Reclus: natura ed educazione


Élisée Reclus: natura ed educazione, Milano, Bruno Mondadori, 2007.

Sono stati pubblicati gli atti del convegno tenuto il 12-13 ottobre 2005 presso la facoltà di Scienze della Formazione dell'università di Milano-Bicocca, intitolato, appunto Élisée Reclus: natura ed educazione, nell'ambito delle iniziative per il centenario del geografo anarchico. A queste il nostro giornale aveva all'epoca dato ampio spazio, soprattutto riguardo al precedente convegno internazionale svolto a Lyon.
Della quindicina di relazioni, per motivi di spazio dobbiamo limitarci a rendere conto di quelle che ci paiono più significative.
La curatrice del volume ed organizzatrice del convegno, Marcella Schmidt di Friedberg, oltre alla presentazione degli atti ripropone qui la sua introduzione alla ultima edizione Eleuthera della Storia di un ruscello, che era stata presentata per l'occasione.
Franco Farinelli, dell'Università di Bologna, apre la serie delle relazioni con  il significativo titolo L'ultimo degli Erdkunder. Per il geografo bolognese il problema dell'oblio di Reclus si colloca proprio al momento della sua riscoperta, quando i geografi francesi, in particolare quelli del gruppo di "Hérodote", hanno completamente rimosso quel secolo di geografia tedesca al quale la storia di Reclus si attacca indissolubilmente. Sia perché è ormai indiscutibile che il geografo anarchico fosse allievo diretto di Carl Ritter, di cui segue le lezioni a Berlino nel 1851 e al quale dedica un inequivocabile ricordo nel 1859 sulla "Revue Germanique", curando traduzione e edizione dello scritto ritteriano De la configuration des continents sur la surface du globe et de leurs fonctions dans l'histoire, le cui linee metodologiche e definizioni della superficie terrestre saranno alla base delle maggiori opere di Reclus. Sia perché si rileva una evidente continuità dell'opera maggiore, la Nouvelle Géographie Universelle, rispetto alla altrettanto monumentale opera di Ritter, intitolata appunto Erdkunde, uno "studio della Terra nei suoi rapporti con la natura e la storia dell'uomo per servire da base allo studio ed all'insegnamento delle scienze fisiche e storiche".
Nonché delle scienze politiche, se è vero, come sostiene Farinelli, che l'Erdkunde del XIX secolo è il coronamento del percorso partito con la cosiddetta "geografia pura" del '700, che cercava di costruire un sapere geografico indipendente dalla geografia di Stato espressione del potere assoluto del Principe, basata su misurazioni ed enumerazioni statistiche. L'altro principale esponente, con Ritter, di questa esperienza è Alexander von Humboldt.
Proprio politica è la separazione che Farinelli individua fra le due fondamentali direzioni in cui si sono divisi gli allievi di Ritter: i "ritteriani di destra" Friedrich Ratzel, Halford Mackinder, Arnold Guyot, Carl von Clausewitz, Ferdinand Richthofen, e i "ritteriani di sinistra" Reclus e Patrick Geddes (a questi ultimi chi scrive aggiunge a buon diritto, fra gli altri, Pëtr Kropotkin, Lev Ilić Mećnikov, Charles Perron).
Ma il punto in comune che continua sotto varie declinazioni ad accomunare tutti questi, per Farinelli, è proprio quel dispositivo con cui la geografia pura settecentesca cercava di aggirare il potere statale: la critica della "dittatura cartografica", e dunque della carta geografica come strumento di rappresentazione e di conoscenza del mondo.
Philippe Pelletier, organizzatore del colloquio di Lyon, propone una panoramica del concetto di natura in Reclus. Intanto, precisando che la geografia non ha scoperto i problemi ambientali da poco, ma fin dalla sua fondazione li ha affrontati come tematiche primarie, grazie a Reclus e a Perkins-Marsh, ma anche grazie all'influenza di Haeckel su Ratzel, e in qualche modo anche su Vidal de la Blache.
In Reclus il concetto di natura è costantemente interfacciato con quello di società: fra queste esiste un costante rapporto fatto di contrasti ma anche della ricerca di un necessario equilibrio. La natura influenza l'agire umano, ma ne è a sua volta modificata; c'è  una dialettica in costante tensione fra due termini che Pelletier definisce "seriale", proudhoniana. Come c'è anche qui un debito esplicitamente sottolineato dallo stesso Reclus nei confronti di Ritter, la cui metafora leibniziana del corpo e dell'anima per definire la terra e l'umanità è di fatto alla base del concetto naturalistico di Reclus, anche se espresso con esempi più materialistici.
La storia umana, dunque, deve sempre essere letta sulla base dell'ambiente in cui è situata, e nella sua ultima opera, L'Homme et la Terre, Reclus individua tre leggi fondamentali che regolano il progresso umano: la lotta delle classi (intesa non nel senso economicista ma come eterno contrasto fra autorità e libertà), la ricerca dell'equilibrio fra queste due istanze contrapposte (equilibrio dunque instabile), la decisione sovrana dell'individuo che, associato ad altri (si parla quindi dell'umanità), diventa il motore del progresso e del cambiamento.
Si sottolinea anche quella "passione della natura" con cui Reclus nei suoi scritti è capace di fare amare i monti, i fiumi, i mari, gli ambienti che descrive.
Vincenzo Guarrasi, dell'Università di Palermo, propone una originale lettura della Nouvelle Géographie Universelle alla luce della letteratura dei più recenti postcolonial studies, in particolare l'idea espressa da Dipesh Chakrabarty nel saggio Provincializzare l'Europa. Mentre infatti in questi scritti si analizza come nell'opera coloniale l'illuminismo europeo venisse alla stesso tempo diffuso nella teoria e smentito nella prassi, Guarrasi riconosce a Reclus lo sforzo "titanico" di concepire un'opera universalista, basata su un pensiero profondamente europeo, ma che allo stesso tempo smentisse politicamente le conclusioni pratiche a cui era arrivato quel pensiero tramite una dominazione che, per Chakrabarty, passava anche per l'egemonia culturale dello storicismo.
Teresa Vicente-Mosquete, dell'Università di Salamanca, principale studiosa di Reclus nella penisola iberica, traccia un dettagliato bilancio dell'esperienza di Reclus alla Université Nouvelle di Bruxelles, dove il geografo si impegna negli ultimi anni della sua vita tentando di creare un modello di educazione totale, fondata sulla partecipazione attiva degli studenti. È qui che hanno inizio gli esperimenti di produzione di carte sferiche e dischi globulari, negli anni in cui Reclus progetta la sua mancata "utopia geografica", la costruzione di un globo di oltre 127 metri di diametro per l'esposizione universale di Parigi del 1900.
Francesco Codello espone i concetti reclusiani del rifiuto dell'educazione autoritaria, sia religiosa che statale, e di tutte quelle che Reclus considera vuote elencazioni spacciate per geografia nelle scuole. Interessante la serrata critica dei manuali, in favore di un modello educativo basato sull'esperienza. Non a caso lo studioso veneto sottolinea ancora, come ha già fatto nei suoi saggi sulla pedagogia libertaria, i contatti fra Reclus e le esperienze più avanzate di quel movimento nella sua epoca, come la Escuela Moderna di Francisco Ferrer y Guardia.
Fabrizio Eva prosegue nel suo discorso sulla applicazione dei modelli di Reclus alla lettura dei fatti geopolitici odierni. Se tutta la geografia politica degli ultimi 100 anni non ha saputo prescindere dal concetto di Stato, per Reclus questo non è che una condizione momentanea: i confini sono sempre artificiali, le unità di analisi preferite dal geografo anarchico sono basate sulla storia, sui generi di vita, sulla lingua, sull'utilizzo del suolo, non disdegnando le funzioni storiche di mari, bacini fluviali, altipiani, ecc. Per questo, ha sostenuto Eva, se oggi studiamo la Somalia, ci accorgiamo che atlanti ed enciclopedie vanno in crisi, perché non sanno classificare tutte quelle regioni etniche e politiche godenti più o meno di mutuo riconoscimento, al di sotto di uno Stato inesistente. Per concludere, con gli strumenti reclusiani si può tranquillamente sostenere che la soluzione del problema somalo non è certo lo Stato.
La serie dei saggi si chiude con lo scritto di Claude Raffestin, che sottolinea l'importanza di due scritti concepiti con finalità soprattutto pedagogiche, Storia di un ruscello e Storia di una montagna, come esempi di un utilizzo dei bacini idrografici e delle forme della natura come strumenti di indagine, anche più avanzati della geografia regionale che sarebbe andata per la maggiore in Francia nei decenni successivi. Un esempio anche della coerenza fra gli strumenti del geografo e i valori del libertario, come nella celebre scena nella quale un battaglione di soldati arriva a passo marziale per fare il bagno nel ruscello, e Reclus, con irriverente ironia, sottolinea il disordine con cui volano i vestiti e la nudità si contrappone alla disciplina ed alla divisa. Poi la truppa si riveste e riparte, ma per il tempo dell'immersione questi individui erano tutti uguali, dunque tutti fratelli come per Reclus dovrebbero essere tutti gli uomini sulla superficie del globo.

Federico Ferretti

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