Élisée Reclus: natura ed educazione, Milano, Bruno Mondadori, 2007.
Sono stati pubblicati gli atti del convegno tenuto il 12-13 ottobre
2005 presso la facoltà di Scienze della Formazione
dell'università di Milano-Bicocca, intitolato, appunto
Élisée Reclus: natura ed educazione, nell'ambito delle
iniziative per il centenario del geografo anarchico. A queste il nostro
giornale aveva all'epoca dato ampio spazio, soprattutto riguardo al
precedente convegno internazionale svolto a Lyon.
Della quindicina di relazioni, per motivi di spazio dobbiamo limitarci
a rendere conto di quelle che ci paiono più significative.
La curatrice del volume ed organizzatrice del convegno, Marcella
Schmidt di Friedberg, oltre alla presentazione degli atti ripropone qui
la sua introduzione alla ultima edizione Eleuthera della Storia di un
ruscello, che era stata presentata per l'occasione.
Franco Farinelli, dell'Università di Bologna, apre la serie
delle relazioni con il significativo titolo L'ultimo degli
Erdkunder. Per il geografo bolognese il problema dell'oblio di Reclus
si colloca proprio al momento della sua riscoperta, quando i geografi
francesi, in particolare quelli del gruppo di "Hérodote", hanno
completamente rimosso quel secolo di geografia tedesca al quale la
storia di Reclus si attacca indissolubilmente. Sia perché
è ormai indiscutibile che il geografo anarchico fosse allievo
diretto di Carl Ritter, di cui segue le lezioni a Berlino nel 1851 e al
quale dedica un inequivocabile ricordo nel 1859 sulla "Revue
Germanique", curando traduzione e edizione dello scritto ritteriano De
la configuration des continents sur la surface du globe et de leurs
fonctions dans l'histoire, le cui linee metodologiche e definizioni
della superficie terrestre saranno alla base delle maggiori opere di
Reclus. Sia perché si rileva una evidente continuità
dell'opera maggiore, la Nouvelle Géographie Universelle,
rispetto alla altrettanto monumentale opera di Ritter, intitolata
appunto Erdkunde, uno "studio della Terra nei suoi rapporti con la
natura e la storia dell'uomo per servire da base allo studio ed
all'insegnamento delle scienze fisiche e storiche".
Nonché delle scienze politiche, se è vero, come sostiene
Farinelli, che l'Erdkunde del XIX secolo è il coronamento del
percorso partito con la cosiddetta "geografia pura" del '700, che
cercava di costruire un sapere geografico indipendente dalla geografia
di Stato espressione del potere assoluto del Principe, basata su
misurazioni ed enumerazioni statistiche. L'altro principale esponente,
con Ritter, di questa esperienza è Alexander von Humboldt.
Proprio politica è la separazione che Farinelli individua fra le
due fondamentali direzioni in cui si sono divisi gli allievi di Ritter:
i "ritteriani di destra" Friedrich Ratzel, Halford Mackinder, Arnold
Guyot, Carl von Clausewitz, Ferdinand Richthofen, e i "ritteriani di
sinistra" Reclus e Patrick Geddes (a questi ultimi chi scrive aggiunge
a buon diritto, fra gli altri, Pëtr Kropotkin, Lev Ilić Mećnikov,
Charles Perron).
Ma il punto in comune che continua sotto varie declinazioni ad
accomunare tutti questi, per Farinelli, è proprio quel
dispositivo con cui la geografia pura settecentesca cercava di aggirare
il potere statale: la critica della "dittatura cartografica", e dunque
della carta geografica come strumento di rappresentazione e di
conoscenza del mondo.
Philippe Pelletier, organizzatore del colloquio di Lyon, propone una
panoramica del concetto di natura in Reclus. Intanto, precisando che la
geografia non ha scoperto i problemi ambientali da poco, ma fin dalla
sua fondazione li ha affrontati come tematiche primarie, grazie a
Reclus e a Perkins-Marsh, ma anche grazie all'influenza di Haeckel su
Ratzel, e in qualche modo anche su Vidal de la Blache.
In Reclus il concetto di natura è costantemente interfacciato
con quello di società: fra queste esiste un costante rapporto
fatto di contrasti ma anche della ricerca di un necessario equilibrio.
La natura influenza l'agire umano, ma ne è a sua volta
modificata; c'è una dialettica in costante tensione fra
due termini che Pelletier definisce "seriale", proudhoniana. Come
c'è anche qui un debito esplicitamente sottolineato dallo stesso
Reclus nei confronti di Ritter, la cui metafora leibniziana del corpo e
dell'anima per definire la terra e l'umanità è di fatto
alla base del concetto naturalistico di Reclus, anche se espresso con
esempi più materialistici.
La storia umana, dunque, deve sempre essere letta sulla base
dell'ambiente in cui è situata, e nella sua ultima opera,
L'Homme et la Terre, Reclus individua tre leggi fondamentali che
regolano il progresso umano: la lotta delle classi (intesa non nel
senso economicista ma come eterno contrasto fra autorità e
libertà), la ricerca dell'equilibrio fra queste due istanze
contrapposte (equilibrio dunque instabile), la decisione sovrana
dell'individuo che, associato ad altri (si parla quindi
dell'umanità), diventa il motore del progresso e del cambiamento.
Si sottolinea anche quella "passione della natura" con cui Reclus nei
suoi scritti è capace di fare amare i monti, i fiumi, i mari,
gli ambienti che descrive.
Vincenzo Guarrasi, dell'Università di Palermo, propone una
originale lettura della Nouvelle Géographie Universelle alla
luce della letteratura dei più recenti postcolonial studies, in
particolare l'idea espressa da Dipesh Chakrabarty nel saggio
Provincializzare l'Europa. Mentre infatti in questi scritti si analizza
come nell'opera coloniale l'illuminismo europeo venisse alla stesso
tempo diffuso nella teoria e smentito nella prassi, Guarrasi riconosce
a Reclus lo sforzo "titanico" di concepire un'opera universalista,
basata su un pensiero profondamente europeo, ma che allo stesso tempo
smentisse politicamente le conclusioni pratiche a cui era arrivato quel
pensiero tramite una dominazione che, per Chakrabarty, passava anche
per l'egemonia culturale dello storicismo.
Teresa Vicente-Mosquete, dell'Università di Salamanca,
principale studiosa di Reclus nella penisola iberica, traccia un
dettagliato bilancio dell'esperienza di Reclus alla Université
Nouvelle di Bruxelles, dove il geografo si impegna negli ultimi anni
della sua vita tentando di creare un modello di educazione totale,
fondata sulla partecipazione attiva degli studenti. È qui che
hanno inizio gli esperimenti di produzione di carte sferiche e dischi
globulari, negli anni in cui Reclus progetta la sua mancata "utopia
geografica", la costruzione di un globo di oltre 127 metri di diametro
per l'esposizione universale di Parigi del 1900.
Francesco Codello espone i concetti reclusiani del rifiuto
dell'educazione autoritaria, sia religiosa che statale, e di tutte
quelle che Reclus considera vuote elencazioni spacciate per geografia
nelle scuole. Interessante la serrata critica dei manuali, in favore di
un modello educativo basato sull'esperienza. Non a caso lo studioso
veneto sottolinea ancora, come ha già fatto nei suoi saggi sulla
pedagogia libertaria, i contatti fra Reclus e le esperienze più
avanzate di quel movimento nella sua epoca, come la Escuela Moderna di
Francisco Ferrer y Guardia.
Fabrizio Eva prosegue nel suo discorso sulla applicazione dei modelli
di Reclus alla lettura dei fatti geopolitici odierni. Se tutta la
geografia politica degli ultimi 100 anni non ha saputo prescindere dal
concetto di Stato, per Reclus questo non è che una condizione
momentanea: i confini sono sempre artificiali, le unità di
analisi preferite dal geografo anarchico sono basate sulla storia, sui
generi di vita, sulla lingua, sull'utilizzo del suolo, non disdegnando
le funzioni storiche di mari, bacini fluviali, altipiani, ecc. Per
questo, ha sostenuto Eva, se oggi studiamo la Somalia, ci accorgiamo
che atlanti ed enciclopedie vanno in crisi, perché non sanno
classificare tutte quelle regioni etniche e politiche godenti
più o meno di mutuo riconoscimento, al di sotto di uno Stato
inesistente. Per concludere, con gli strumenti reclusiani si può
tranquillamente sostenere che la soluzione del problema somalo non
è certo lo Stato.
La serie dei saggi si chiude con lo scritto di Claude Raffestin, che
sottolinea l'importanza di due scritti concepiti con finalità
soprattutto pedagogiche, Storia di un ruscello e Storia di una
montagna, come esempi di un utilizzo dei bacini idrografici e delle
forme della natura come strumenti di indagine, anche più
avanzati della geografia regionale che sarebbe andata per la maggiore
in Francia nei decenni successivi. Un esempio anche della coerenza fra
gli strumenti del geografo e i valori del libertario, come nella
celebre scena nella quale un battaglione di soldati arriva a passo
marziale per fare il bagno nel ruscello, e Reclus, con irriverente
ironia, sottolinea il disordine con cui volano i vestiti e la
nudità si contrappone alla disciplina ed alla divisa. Poi la
truppa si riveste e riparte, ma per il tempo dell'immersione questi
individui erano tutti uguali, dunque tutti fratelli come per Reclus
dovrebbero essere tutti gli uomini sulla superficie del globo.
Federico Ferretti