Dopo la carità, un'enciclica sulla speranza. Il papa analizza
con dovizia di citazioni gli aspetti teologici della speranza cristiana
e la necessità che questa non sia rivolta verso una salvezza
meramente individualistica, ma che guardi all'edificazione del mondo
intero.
Al di là degli sperticati elogi che ogni enciclica riceve
“a prescindere", e di cui abbondavano tutti i giornali di sabato
scorso, in questo nuovo lavoro di Ratzinger non si trova nulla di
realmente interessante, se non un catechismo rimasticato che fa
riferimento al bagaglio tradizionale dell'antropologia teologica
cristiana: peccato originale, purgatorio (con un richiamo impedibile
all'efficacia delle preghiere per i defunti), inferno, paradiso,
giudizio universale.
Tutto l'armamentario delle grandi occasioni rimesso in fila secondo il gusto esoterico di un intellettuale pre-moderno.
Non sorprendono più di tanto gli strali contro illuminismo e
marxismo, accusati di aver dimenticato dio e, quindi, di essersi
macchiati di colpe gravissime e crimini contro l'umanità.
Anche la scienza, che ha creato la bomba atomica, non ha tanto da stare
allegra, in quanto senza un'etica (cristiana) che la permei e ne
illumini le finalità, il malefico materialismo degli scienziati
atei, chiusi nei laboratori a progettare carognate verso il prossimo,
non potrà che dare vita a mostruosità di tutti i generi.
La filosofia della storia di Ratzinger è di una linearità
disarmante e piuttosto prevedibile. Avrebbe sorpreso, invece, un
eventuale richiamo a come la chiesa francese, dall'inizio del XVIII
secolo, avesse sistematicamente impedito qualsiasi tentativo
illuminista e democratico di riformare un sistema di potere
drammaticamente classista e assolutista (e di cui il clero era ricco e
prezzolato interprete), al punto da non lasciare altra
possibilità che quella dello sbocco rivoluzionario borghese.
Sarebbe stato sorprendente leggere di come i contadini russi fossero
arrivati a diventare bolscevichi dopo che, liberati dalla
servitù della gleba dai cristianissimi Romanov solo nel 1861, si
ritrovarono carichi di debiti e padroni di appezzamenti di terreno
quasi sempre insufficienti al proprio fabbisogno alimentare.
Insomma, sarebbe stato interessante che un papa che scrive
un'enciclica, in questo coadiuvato in maniera sicuramente egregia dallo
spirito santo, avesse avvertito l'esigenza di evitare generalizzazioni
di parte e una lettura reazionaria della storia, nel tentativo di
sfruttare al massimo una fase caratterizzata da una resa incondizionata
degli intellettuali laici ai dettati della chiesa di Roma.
Ratzinger, però, questa resa la sente, ne percepisce tutta la
portata e cerca di ricavare nuovi spazi per la vulgata cattolica.
Il pensiero laico si è macchiato della gravissima colpa
dell'ateismo, ha cercato di spingere l'uomo a camminare con le proprie
gambe e l'uomo è caduto. Bisogna allora tornare al cristianesimo
radicale, seguendo le orme dei grandi venerati dalla chiesa. Benedetto
ne cita in particolare quattro: due quasi sconosciuti e due vecchi
beniamini del cattolicesimo forcaiolo, Agostino e Bernardo di
Chiaravalle.
Agostino e Bernardo sono veramente due tipici esempi del cristianesimo
delle origini: entrambi violentemente polemici, aggressivi, inclini a
considerare necessario l'uso della violenza fisica contro i nemici. Se
Bernardo, che odiava gli ebrei, ha speso parole importanti per quei
deicidi che al tempo della seconda crociata erano massacrati dai
cristiani, lo ha fatto solo per non distogliere l'attenzione dalla
finalità dell'impresa bellica, cui con grande slancio richiamava
i principi cristiani.
Agostino, invece, è veramente il padre dell'antropologia
cristiana: per lui l'umanità è una “massa dannata",
incapace di salvarsi, incline al male, destinata all'inferno. Per
fortuna ci sono i predestinati dalla grazia di dio, che invece se la
cavano.
Due fanatici intolleranti, dunque, che vengono presentati al laico in
crisi come modelli di riferimento, quando il loro profilo psichico
è evidentemente caratterizzato da turbe psichiche,
personalità criminaloide e atteggiamenti antisociali. Il
prossimo campione della fede ratzingeriana potrebbe essere Torquemada,
l'inevitabile evoluzione da cotanti esempi di vita.
Il fulcro dell'enciclica, comunque, rimane il richiamo alla conversione
del cuore, come momento fondante della ricerca di senso da parte di
ogni essere umano.
Le pagine “esistenzialiste" sono sicuramente le migliori, quelle
in cui si intravede anche un'attenzione per le conquiste delle scienze
sociali, dopo che il papa aveva ribadito la classica dottrina
reazionaria della colpa e del castigo, figlia di un tempo in cui non si
avevano strumenti per giudicare e capire intellettualmente l'uomo e il
suo comportamento.
L'uomo che cerca il senso della vita è, per il papa, anche
l'uomo della ragione. La ragione che però lascia dio fuori dal
proprio campo visivo limita se stessa ad una cieca fede nel progresso,
fede che può inclinare con molta facilità al male. Non
è quindi la scienza, ci dice il papa, che redime l'uomo. L'uomo
viene redento mediante l'amore, di cui ha bisogno in quanto amore
incondizionato.
La vera speranza che non delude è dio, che tramite suo figlio si
è incarnato ed è divenuto prossimo dell'uomo. La speranza
dell'uomo, allora, è quella che guarda al regno di dio, che non
può essere sostituito dal regno dell'uomo. Luoghi di
apprendimento di questa speranza sono la preghiera, l'agire ed il
soffrire, il giudizio di dio.
Sono queste, dicevo, le pagine più ispirate dello scritto di
Ratzinger, ma la proposta che Benedetto XVI presenta ai laici è
piuttosto indigesta. Il cristianesimo si basa, pena la sua
inconsistenza teologica, sulla dottrina semitica del peccato originale.
Senza il sostegno della dottrina della “colpa", che il papa,
sulla scia di Agostino e di tutta la tradizione cristiana, pone come
causa del male fisico e morale dell'uomo, non avrebbe senso il
sacrificio di Cristo. Secondo la teologia, come sappiamo, Cristo muore
per redimere l'umanità che, da Adamo, aveva ereditato il peccato
originale.
Naturalmente oggi la teologia, costretta da Galilei e da tutta la
rivoluzione scientifica che da lui ha preso l'avvio su posizioni
ermeneutiche relativistiche, legge l'episodio di Adamo ed Eva in chiave
allegorica, ma ciò non toglie che il concetto di colpa rimanga
centrale nella dottrina cattolica.
Il mondo laico dovrebbe quindi credere che modificazioni genetiche,
trisomie, degenerazioni corticali, ictus e quant'altro non derivino da
fattori materiali, ma abbiano la loro causa prima in un peccato
ereditato dalla notte dei tempi, peccato che, in maniera piuttosto
misteriosa, si è trasmesso di padre in figlio (è la
dottrina del traducianesimo, che Agostino riprende da Tertulliano).
La ragione che si rifiutasse di credere in tali assurdità
sarebbe comunque condannata a dare vita a dittature, guerre e miserie
di ogni tipo. O superstiziosi o disumani, quindi. Un aut aut da
rispedire al mittente.
Infatti questo continuo disprezzo dell'adultità, questo
reiterato invito all'infanzia della ragione deve essere rifiutato.
Rifiutato perché il bisogno eterno di padri è veramente
la gabbia dorata nella quale ci condanneremmo nel momento in cui non
fossimo in grado di giudicare autonomamente i presupposti teorici delle
culture cui apparteniamo.
Contrariamente a quanto il papa pensa, è proprio una totale
sudditanza nei confronti dell'irrazionalità religiosa il
presupposto per la riproposizione in chiave storica di idee
intolleranti e fondamentaliste.
Questo è evidente nel momento in cui ci si rende conto che le
religioni sono tanto più pericolose per l'emancipazione umana e
le società contemporanee quanto più riscoprono con
radicalità i propri fondamenti teologici e dogmatici. Questa
riscoperta è proprio ciò che sta caratterizzando il
pontificato di Benedetto XVI, il quale, nel tentativo disperato di
inseguire il fondamentalismo islamico, tanto sostenuto dalle bombe
occidentali, offre all'uomo in crisi una sponda sicura, una religione
militante che si faccia carico di quei problemi esistenziali che pesano
sulle spalle dell'uomo contemporaneo, offrendo risposte a buon mercato
per tutte le domande di senso.
Questa offerta di senso viene proposta attraverso il bagaglio del
cattolicesimo più ortodosso e tradizionalista, cioè
tramite lo sguardo ideologico della corrente più reazionaria del
cattolicesimo, l'unica rimasta in circolazione dopo le purghe del
sant'uffizio di Ratzinger.
Accettare la mano che Ratzinger tende ai laici significa condannarsi a
non crescere mai, subendo la supervisione accorata e invadente dei
gendarmi della morale. Il prezzo da pagare, in cambio delle stampelle
che la chiesa offre a noi poveri laici smarriti, è enorme:
controllo della scienza e della morale, ingerenza nella vita privata di
ognuno di noi, ghettizzazione delle diversità, persecuzione del
libero pensiero. Il clericalismo è sempre clerico-fascismo,
anche quando si presenta con una pacca sulla spalla e con l'onore della
armi concesso a noi, presunti sconfitti dalla storia.
Il pensiero laico, così come la scienza, si emenda con le armi
della ragione e, nel fare questo, nel mettere in discussione la propria
storia, non ha nessun bisogno dell'accompagnamento del prete, né
delle favole bibliche rilette in chiave accattivante per coloro che si
candidano ad essere papa boys a vita.
Paolo Iervese