Umanità Nova, n.42 del 23 dicembre 2007, anno 87

Spe salvi: l'aut aut di Benedetto XVI. O superstiziosi o disumani


Dopo la carità, un'enciclica sulla speranza. Il papa analizza con dovizia di citazioni gli aspetti teologici della speranza cristiana e la necessità che questa non sia rivolta verso una salvezza meramente individualistica, ma che guardi all'edificazione del mondo intero.
Al di là degli sperticati elogi che ogni enciclica riceve “a prescindere", e di cui abbondavano tutti i giornali di sabato scorso, in questo nuovo lavoro di Ratzinger non si trova nulla di realmente interessante, se non un catechismo rimasticato che fa riferimento al bagaglio tradizionale dell'antropologia teologica cristiana: peccato originale, purgatorio (con un richiamo impedibile all'efficacia delle preghiere per i defunti), inferno, paradiso, giudizio universale.
Tutto l'armamentario delle grandi occasioni rimesso in fila secondo il gusto esoterico di un intellettuale pre-moderno.
Non sorprendono più di tanto gli strali contro illuminismo e marxismo, accusati di aver dimenticato dio e, quindi, di essersi macchiati di colpe gravissime e crimini contro l'umanità.
Anche la scienza, che ha creato la bomba atomica, non ha tanto da stare allegra, in quanto senza un'etica (cristiana) che la permei e ne illumini le finalità, il malefico materialismo degli scienziati atei, chiusi nei laboratori a progettare carognate verso il prossimo, non potrà che dare vita a mostruosità di tutti i generi.
La filosofia della storia di Ratzinger è di una linearità disarmante e piuttosto prevedibile. Avrebbe sorpreso, invece, un eventuale richiamo a come la chiesa francese, dall'inizio del XVIII secolo, avesse sistematicamente impedito qualsiasi tentativo illuminista e democratico di riformare un sistema di potere drammaticamente classista e assolutista (e di cui il clero era ricco e prezzolato interprete), al punto da non lasciare altra possibilità che quella dello sbocco rivoluzionario borghese.
Sarebbe stato sorprendente leggere di come i contadini russi fossero arrivati a diventare bolscevichi dopo che, liberati dalla servitù della gleba dai cristianissimi Romanov solo nel 1861, si ritrovarono carichi di debiti e padroni di appezzamenti di terreno quasi sempre insufficienti al proprio fabbisogno alimentare.
Insomma, sarebbe stato interessante che un papa che scrive un'enciclica, in questo coadiuvato in maniera sicuramente egregia dallo spirito santo, avesse avvertito l'esigenza di evitare generalizzazioni di parte e una lettura reazionaria della storia, nel tentativo di sfruttare al massimo una fase caratterizzata da una resa incondizionata degli intellettuali laici ai dettati della chiesa di Roma.
Ratzinger, però, questa resa la sente, ne percepisce tutta la portata e cerca di ricavare nuovi spazi per la vulgata cattolica.
Il pensiero laico si è macchiato della gravissima colpa dell'ateismo, ha cercato di spingere l'uomo a camminare con le proprie gambe e l'uomo è caduto. Bisogna allora tornare al cristianesimo radicale, seguendo le orme dei grandi venerati dalla chiesa. Benedetto ne cita in particolare quattro: due quasi sconosciuti e due vecchi beniamini del cattolicesimo forcaiolo, Agostino e Bernardo di Chiaravalle.
Agostino e Bernardo sono veramente due tipici esempi del cristianesimo delle origini: entrambi violentemente polemici, aggressivi, inclini a considerare necessario l'uso della violenza fisica contro i nemici. Se Bernardo, che odiava gli ebrei, ha speso parole importanti per quei deicidi che al tempo della seconda crociata erano massacrati dai cristiani, lo ha fatto solo per non distogliere l'attenzione dalla finalità dell'impresa bellica, cui con grande slancio richiamava i principi cristiani.
Agostino, invece, è veramente il padre dell'antropologia cristiana: per lui l'umanità è una “massa dannata", incapace di salvarsi, incline al male, destinata all'inferno. Per fortuna ci sono i predestinati dalla grazia di dio, che invece se la cavano.
Due fanatici intolleranti, dunque, che vengono presentati al laico in crisi come modelli di riferimento, quando il loro profilo psichico è evidentemente caratterizzato da turbe psichiche, personalità criminaloide e atteggiamenti antisociali. Il prossimo campione della fede ratzingeriana potrebbe essere Torquemada, l'inevitabile evoluzione da cotanti esempi di vita.
Il fulcro dell'enciclica, comunque, rimane il richiamo alla conversione del cuore, come momento fondante della ricerca di senso da parte di ogni essere umano.
Le pagine “esistenzialiste" sono sicuramente le migliori, quelle in cui si intravede anche un'attenzione per le conquiste delle scienze sociali, dopo che il papa aveva ribadito la classica dottrina reazionaria della colpa e del castigo, figlia di un tempo in cui non si avevano strumenti per giudicare e capire intellettualmente l'uomo e il suo comportamento.
L'uomo che cerca il senso della vita è, per il papa, anche l'uomo della ragione. La ragione che però lascia dio fuori dal proprio campo visivo limita se stessa ad una cieca fede nel progresso, fede che può inclinare con molta facilità al male. Non è quindi la scienza, ci dice il papa, che redime l'uomo. L'uomo viene redento mediante l'amore, di cui ha bisogno in quanto amore incondizionato.
La vera speranza che non delude è dio, che tramite suo figlio si è incarnato ed è divenuto prossimo dell'uomo. La speranza dell'uomo, allora, è quella che guarda al regno di dio, che non può essere sostituito dal regno dell'uomo. Luoghi di apprendimento di questa speranza sono la preghiera, l'agire ed il soffrire, il giudizio di dio.
Sono queste, dicevo, le pagine più ispirate dello scritto di Ratzinger, ma la proposta che Benedetto XVI presenta ai laici è piuttosto indigesta. Il cristianesimo si basa, pena la sua inconsistenza teologica, sulla dottrina semitica del peccato originale.
Senza il sostegno della dottrina della “colpa", che il papa, sulla scia di Agostino e di tutta la tradizione cristiana, pone come causa del male fisico e morale dell'uomo, non avrebbe senso il sacrificio di Cristo. Secondo la teologia, come sappiamo, Cristo muore per redimere l'umanità che, da Adamo, aveva ereditato il peccato originale.
Naturalmente oggi la teologia, costretta da Galilei e da tutta la rivoluzione scientifica che da lui ha preso l'avvio su posizioni ermeneutiche relativistiche, legge l'episodio di Adamo ed Eva in chiave allegorica, ma ciò non toglie che il concetto di colpa rimanga centrale nella dottrina cattolica.
Il mondo laico dovrebbe quindi credere che modificazioni genetiche, trisomie, degenerazioni corticali, ictus e quant'altro non derivino da fattori materiali, ma abbiano la loro causa prima in un peccato ereditato dalla notte dei tempi, peccato che, in maniera piuttosto misteriosa, si è trasmesso di padre in figlio (è la dottrina del traducianesimo, che Agostino riprende da Tertulliano).
La ragione che si rifiutasse di credere in tali assurdità sarebbe comunque condannata a dare vita a dittature, guerre e miserie di ogni tipo. O superstiziosi o disumani, quindi. Un aut aut da rispedire al mittente.
Infatti questo continuo disprezzo dell'adultità, questo reiterato invito all'infanzia della ragione deve essere rifiutato.
Rifiutato perché il bisogno eterno di padri è veramente la gabbia dorata nella quale ci condanneremmo nel momento in cui non fossimo in grado di giudicare autonomamente i presupposti teorici delle culture cui apparteniamo.
Contrariamente a quanto il papa pensa, è proprio una totale sudditanza nei confronti dell'irrazionalità religiosa il presupposto per la riproposizione in chiave storica di idee intolleranti e fondamentaliste.
Questo è evidente nel momento in cui ci si rende conto che le religioni sono tanto più pericolose per l'emancipazione umana e le società contemporanee quanto più riscoprono con radicalità i propri fondamenti teologici e dogmatici. Questa riscoperta è proprio ciò che sta caratterizzando il pontificato di Benedetto XVI, il quale, nel tentativo disperato di inseguire il fondamentalismo islamico, tanto sostenuto dalle bombe occidentali, offre all'uomo in crisi una sponda sicura, una religione militante che si faccia carico di quei problemi esistenziali che pesano sulle spalle dell'uomo contemporaneo, offrendo risposte a buon mercato per tutte le domande di senso.
Questa offerta di senso viene proposta attraverso il bagaglio del cattolicesimo più ortodosso e tradizionalista, cioè tramite lo sguardo ideologico della corrente più reazionaria del cattolicesimo, l'unica rimasta in circolazione dopo le purghe del sant'uffizio di Ratzinger.
Accettare la mano che Ratzinger tende ai laici significa condannarsi a non crescere mai, subendo la supervisione accorata e invadente dei gendarmi della morale. Il prezzo da pagare, in cambio delle stampelle che la chiesa offre a noi poveri laici smarriti, è enorme: controllo della scienza e della morale, ingerenza nella vita privata di ognuno di noi, ghettizzazione delle diversità, persecuzione del libero pensiero. Il clericalismo è sempre clerico-fascismo, anche quando si presenta con una pacca sulla spalla e con l'onore della armi concesso a noi, presunti sconfitti dalla storia.
Il pensiero laico, così come la scienza, si emenda con le armi della ragione e, nel fare questo, nel mettere in discussione la propria storia, non ha nessun bisogno dell'accompagnamento del prete, né delle favole bibliche rilette in chiave accattivante per coloro che si candidano ad essere papa boys a vita.

Paolo Iervese

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