Umanità Nova, n.1 del 13 gennaio 2008, anno 88

Benazir Bhutto. Un assassinio made in USA?


Le verità più appariscenti, anche in questo caso, non sono necessariamente le più fondate. L'assassinio di Benazir Bhutto, infatti, è stato immediatamente attribuito all'estremismo fondamentalista e in parallelo è stato ritenuto come l'ennesima sconfitta della politica internazionale statunitense che dal 2001 ha investito quasi 11 miliardi di dollari in aiuti (circa 150 milioni di dollari al mese), soprattutto militari, per sostenere il regime pakistano "contro il terrorismo".
Secondo tale lettura, la linea adottata dopo l'Undici Settembre dall'amministrazione Bush di incondizionato appoggio al regime di Pervez Musharraf, spacciato come ultimo bastione della democrazia contro il fanatismo dei talebani e di Al Qaeda, è stata ribaltata con l'arrivo di Condoleezza Rice agli Esteri e di Robert Gates alla Difesa.
Il nuovo indirizzo, favorevole ad una parvenza democratica del regime pakistano, nell'ultimo anno ha visto le pressioni statunitensi su Musharraf volte a fargli accettare una coabitazione con l'esule Benazir Bhutto - lei premier e lui presidente - al fine, certo non secondario, di ridimensionare il potere militare che nella "Terra dei puri" controlla gran parte del potere economico, commerciale, finanziario e fondiario.
Attraverso questo compromesso, Washington avrebbe ritenuto di stabilizzare la situazione pakistana e, conseguentemente, l'assassinio di Benazir costituirebbe una vero scacco per gli Usa.
Questa interpretazione, però, presenta un primo punto di debolezza nel momento in cui ritiene comunque responsabile di tale attentato gli apparati dell'I.S.I. (Directorate for Inter-Services Intelligence), ossia dei servizi segreti pakistani notoriamente collusi con i gruppi del terrorismo jihadista.
L'I.S.I. infatti ha una storia che dovrebbe indurre a più di una riflessione.
Fondato nel 1948 dal generale britannico Robert Cawthome, vice capo di stato maggiore nell'esercito del Pakistan, rappresenta assieme uno dei principali poteri del Pakistan. Formale difensore dell'ordine costituito, sfugge persino al controllo delle forze armate, dimostrandosi in grado di stabilire un'agenda giocata in proprio, grazie anche a ingenti risorse economiche prodotte da attività illecite, a partire dal narcotraffico.
Fin dagli anni Ottanta, per contrastare l'occupazione sovietica dell'Afganistan, la Cia stabilì un rapporto privilegiato con l'I.S.I. per appoggiare indirettamente, tramite la sua struttura, i mujahidin che combattevano l'Armata Rossa. Proprio grazie al supporto della Cia, l'I.S.I. pakistana poté sviluppare una potente struttura parallela in grado di condizionare tutte le decisioni di governo. Si ritiene che in tale periodo l'I.S.I. avesse un organico formato da militari e da ufficiali dell'intelligence, burocrati, agenti occulti e informatori, stimati in 150.000 unità; mentre attualmente conterebbe circa 10 mila funzionari tra civili e militari.
Se è ormai risaputo e accertato l'apporto dell'I.S.I. fornito per conto della Cia alla nascita del movimento talebano, che avrebbe preso il potere in Afganistan, e nella formazione di gruppi fondamentalisti nel Kashmir in funzione anti-indiana, certo è meno notorio che la Cia utilizzò l'I.S.I. anche in altri teatri, nel Caucaso e nei Balcani, giocando un ruolo chiave nel reclutamento di volontari nelle guerre nei Balcani e nei conflitti nei paesi dell'ex-Urss. Combattenti islamici, arruolati proprio da tale rete, si sono infatti, ad esempio, ritrovati tra le fila dell'Uck (il sedicente Esercito di liberazione del Kosovo) e della guerriglia cecena.
Nel biennio 1994-95, l'I.S.I. addestrò ribelli ceceni nella provincia di Khost in Afganistan, nel campo di Amir Muawia, costruito nei primi anni '80 dalla Cia e dall'I.S.I. e comandata dal famoso signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar. Successivamente tale campo venne trasferito a Markaz-i-Dawar, in Pakistan, per un addestramento avanzato nelle tattiche di guerriglia.
Lo stretto legame tra I.S.I. e apparati statunitensi è confermato pure dalla biografia del generale Ashfaq Pervez Kayani, capo delle forze armate e uomo di fiducia sia di Bush che di Musharraf, protagonista delle trattative tra la Bhutto e il presidente-dittatore, sotto l'inquietante regia del vicesegretario di stato Usa John Negroponte. Kayani, ex-capo dell'I.S.I., oltre infatti ad avere un curriculum militare di tutto rispetto (scuola militare di Quetta e Collegio nazionale di difesa a Islamabad) ha frequentato il General Staff College a Fort Leavenworth in Kansas.
Con queste premesse, ci sono diverse circostanze rilevate nell'attentato contro Benazir Bhutto che inducono ad ulteriori dubbi. Innanzitutto le modalità di esecuzione appaiono quanto meno non usuali se confrontate coi sistemi solitamente utilizzati dal fondamentalismo combattente e la stessa rivendicazione di Al Qaeda, peraltro rapidamente smentita, appare alquanto dubbia e soltanto la stampa italiana le ha dato credito. Che sia stato qualche "martire" dell'islam radicale ad eliminare la Bhutto è altamente probabile, ma chi ha davvero armato e protetto la sua mano?
"Inevitabile e legittimo - come ha sottolineato un esperto in terrorismo - pensare al coinvolgimento di qualche apparato. Nel migliore dei casi sapevano e hanno lasciato fare. Nel peggiore hanno avuto il ruolo di mandanti".
Se sull'I.S.I. si accentrano i principali sospetti dato che la stessa Bhutto, dopo la strage a Karachi del 18 ottobre 2007 da cui uscì illesa, indicò come mandanti proprio tali corpi separati dello Stato, non è affatto scontata la regia superiore e tanto meno appare utile a Musharraf un delitto così plateale e annunciato.
Il fatto poi che Musharraf ha più volte silurato e cambiato i vertici dell'I.S.I. sta a dimostrare la loro scarsa fedeltà al dittatore.
A conferma di tali dubbi, pesa un'altra interessante rivelazione.
Nello stesso giorno del mortale attentato, Benazir Bhutto doveva incontrare due importanti esponenti politici statunitensi per mostrare loro un rapporto confidenziale che accusava l'I.S.I. di utilizzare denaro e aiuti Usa per manipolare le imminenti elezioni politiche.
Tale circostanza è stata rivelata dal quotidiano britannico Times, secondo cui il rapporto era stato compilato da alcuni collaboratori della Bhutto in contatto con gli stessi servizi segreti pakistani. Inoltre, secondo quanto dichiarato da Sarfaz Ali Lashari, alto funzionario del Partito dell'ex-premier, ci sarebbe anche un secondo rapporto riservato, legato all'attività dell'I.S.I, che la Bhutto avrebbe voluto discutere con i due politici americani.
In questa relazione i servizi segreti sono accusati di avere utilizzato circa 10 miliardi in aiuti militari Usa per condurre operazioni capaci di cambiare le sorti del voto in Pakistan.
Scenario questo che mostrerebbe apparati governativi statunitensi divisi tra l'appoggio alla Bhutto e l'estremo sostegno a Musharraf; ossia la conferma della guerra in corso tra contrapposti settori del potere a stelle e strisce, già peraltro emersa nella clamorosa smentita ufficiale della Cia sulla effettiva pericolosità dei presunti piani nucleari iraniani che il presidente Bush aveva indicato come la ragione per un attacco militare all'Iran.
Motivi per una grave divergenza strategica in seno allo stesso imperialismo statunitense peraltro non mancherebbero.
In primo luogo non è un mistero l'opposizione amerikana al progetto di un consorzio tra Iran, Pakistan e India, con la Cina come partner privilegiato, che dovrebbe portare l'energia dal Golfo alle affamate economie in crescita d'Oriente. Il "gasdotto della pace" sarebbe quindi il primo passo per la costruzione nell'area di nuove intese tra Stati fino ad ora uno contro l'altro armati, che certo sarebbe causa di un ulteriore indebolimento della potenza Usa.
Tale prospettiva sembra peraltro avvalorata dall'annuncio storico che il 1° gennaio a Islamabad si è tenuto un incontro ufficiale tra i governi pakistano e indiano in cui, nell'ambito dell'accordo di cooperazione e distensione sottoscritto dalle due nazioni da sempre nemiche ed entrambe dotate di armi atomiche, vi è stato pure scambio delle liste con l'ubicazione delle rispettive installazioni nucleari.
Con ogni probabilità il ritorno della Bhutto avrebbe dato un'ulteriore accelerazione a tale processo, già intrapreso dal padre durante la sua presidenza, considerando pure che il partito dei Bhutto, il Ppp, altro non è che la versione pakistana del Partito del Congresso indiano. Un'eventualità certo valutata con preoccupazione da analisti statunitensi, quale ad esempio Graham E. Fuller, ex vice presidente del National Intelligence Council della Cia, che ha avvertito come "Qualsiasi nuovo equilibrio politico rischia di essere ancor meno favorevole per Washington".
Ulteriore elemento di sospetto nei confronti di un'eventuale responsabilità statunitense è quindi giunto il 2 gennaio, con la notizia che per le indagini sull'assassinio della Bhutto, Musharraf chiederà la collaborazione di Scotland Yard, ritenendo quindi più affidabile l'intelligence britannica che la Cia.
Una prudenza più che motivata.

U.F.

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