Le verità più appariscenti, anche in questo caso, non
sono necessariamente le più fondate. L'assassinio di Benazir
Bhutto, infatti, è stato immediatamente attribuito
all'estremismo fondamentalista e in parallelo è stato ritenuto
come l'ennesima sconfitta della politica internazionale statunitense
che dal 2001 ha investito quasi 11 miliardi di dollari in aiuti (circa
150 milioni di dollari al mese), soprattutto militari, per sostenere il
regime pakistano "contro il terrorismo".
Secondo tale lettura, la linea adottata dopo l'Undici Settembre
dall'amministrazione Bush di incondizionato appoggio al regime di
Pervez Musharraf, spacciato come ultimo bastione della democrazia
contro il fanatismo dei talebani e di Al Qaeda, è stata
ribaltata con l'arrivo di Condoleezza Rice agli Esteri e di Robert
Gates alla Difesa.
Il nuovo indirizzo, favorevole ad una parvenza democratica del regime
pakistano, nell'ultimo anno ha visto le pressioni statunitensi su
Musharraf volte a fargli accettare una coabitazione con l'esule Benazir
Bhutto - lei premier e lui presidente - al fine, certo non secondario,
di ridimensionare il potere militare che nella "Terra dei puri"
controlla gran parte del potere economico, commerciale, finanziario e
fondiario.
Attraverso questo compromesso, Washington avrebbe ritenuto di
stabilizzare la situazione pakistana e, conseguentemente, l'assassinio
di Benazir costituirebbe una vero scacco per gli Usa.
Questa interpretazione, però, presenta un primo punto di
debolezza nel momento in cui ritiene comunque responsabile di tale
attentato gli apparati dell'I.S.I. (Directorate for Inter-Services
Intelligence), ossia dei servizi segreti pakistani notoriamente collusi
con i gruppi del terrorismo jihadista.
L'I.S.I. infatti ha una storia che dovrebbe indurre a più di una riflessione.
Fondato nel 1948 dal generale britannico Robert Cawthome, vice capo di
stato maggiore nell'esercito del Pakistan, rappresenta assieme uno dei
principali poteri del Pakistan. Formale difensore dell'ordine
costituito, sfugge persino al controllo delle forze armate,
dimostrandosi in grado di stabilire un'agenda giocata in proprio,
grazie anche a ingenti risorse economiche prodotte da attività
illecite, a partire dal narcotraffico.
Fin dagli anni Ottanta, per contrastare l'occupazione sovietica
dell'Afganistan, la Cia stabilì un rapporto privilegiato con
l'I.S.I. per appoggiare indirettamente, tramite la sua struttura, i
mujahidin che combattevano l'Armata Rossa. Proprio grazie al supporto
della Cia, l'I.S.I. pakistana poté sviluppare una potente
struttura parallela in grado di condizionare tutte le decisioni di
governo. Si ritiene che in tale periodo l'I.S.I. avesse un organico
formato da militari e da ufficiali dell'intelligence, burocrati, agenti
occulti e informatori, stimati in 150.000 unità; mentre
attualmente conterebbe circa 10 mila funzionari tra civili e militari.
Se è ormai risaputo e accertato l'apporto dell'I.S.I. fornito
per conto della Cia alla nascita del movimento talebano, che avrebbe
preso il potere in Afganistan, e nella formazione di gruppi
fondamentalisti nel Kashmir in funzione anti-indiana, certo è
meno notorio che la Cia utilizzò l'I.S.I. anche in altri teatri,
nel Caucaso e nei Balcani, giocando un ruolo chiave nel reclutamento di
volontari nelle guerre nei Balcani e nei conflitti nei paesi
dell'ex-Urss. Combattenti islamici, arruolati proprio da tale rete, si
sono infatti, ad esempio, ritrovati tra le fila dell'Uck (il sedicente
Esercito di liberazione del Kosovo) e della guerriglia cecena.
Nel biennio 1994-95, l'I.S.I. addestrò ribelli ceceni nella
provincia di Khost in Afganistan, nel campo di Amir Muawia, costruito
nei primi anni '80 dalla Cia e dall'I.S.I. e comandata dal famoso
signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar. Successivamente tale campo
venne trasferito a Markaz-i-Dawar, in Pakistan, per un addestramento
avanzato nelle tattiche di guerriglia.
Lo stretto legame tra I.S.I. e apparati statunitensi è
confermato pure dalla biografia del generale Ashfaq Pervez Kayani, capo
delle forze armate e uomo di fiducia sia di Bush che di Musharraf,
protagonista delle trattative tra la Bhutto e il presidente-dittatore,
sotto l'inquietante regia del vicesegretario di stato Usa John
Negroponte. Kayani, ex-capo dell'I.S.I., oltre infatti ad avere un
curriculum militare di tutto rispetto (scuola militare di Quetta e
Collegio nazionale di difesa a Islamabad) ha frequentato il General
Staff College a Fort Leavenworth in Kansas.
Con queste premesse, ci sono diverse circostanze rilevate
nell'attentato contro Benazir Bhutto che inducono ad ulteriori dubbi.
Innanzitutto le modalità di esecuzione appaiono quanto meno non
usuali se confrontate coi sistemi solitamente utilizzati dal
fondamentalismo combattente e la stessa rivendicazione di Al Qaeda,
peraltro rapidamente smentita, appare alquanto dubbia e soltanto la
stampa italiana le ha dato credito. Che sia stato qualche "martire"
dell'islam radicale ad eliminare la Bhutto è altamente
probabile, ma chi ha davvero armato e protetto la sua mano?
"Inevitabile e legittimo - come ha sottolineato un esperto in
terrorismo - pensare al coinvolgimento di qualche apparato. Nel
migliore dei casi sapevano e hanno lasciato fare. Nel peggiore hanno
avuto il ruolo di mandanti".
Se sull'I.S.I. si accentrano i principali sospetti dato che la stessa
Bhutto, dopo la strage a Karachi del 18 ottobre 2007 da cui uscì
illesa, indicò come mandanti proprio tali corpi separati dello
Stato, non è affatto scontata la regia superiore e tanto meno
appare utile a Musharraf un delitto così plateale e annunciato.
Il fatto poi che Musharraf ha più volte silurato e cambiato i
vertici dell'I.S.I. sta a dimostrare la loro scarsa fedeltà al
dittatore.
A conferma di tali dubbi, pesa un'altra interessante rivelazione.
Nello stesso giorno del mortale attentato, Benazir Bhutto doveva
incontrare due importanti esponenti politici statunitensi per mostrare
loro un rapporto confidenziale che accusava l'I.S.I. di utilizzare
denaro e aiuti Usa per manipolare le imminenti elezioni politiche.
Tale circostanza è stata rivelata dal quotidiano britannico
Times, secondo cui il rapporto era stato compilato da alcuni
collaboratori della Bhutto in contatto con gli stessi servizi segreti
pakistani. Inoltre, secondo quanto dichiarato da Sarfaz Ali Lashari,
alto funzionario del Partito dell'ex-premier, ci sarebbe anche un
secondo rapporto riservato, legato all'attività dell'I.S.I, che
la Bhutto avrebbe voluto discutere con i due politici americani.
In questa relazione i servizi segreti sono accusati di avere utilizzato
circa 10 miliardi in aiuti militari Usa per condurre operazioni capaci
di cambiare le sorti del voto in Pakistan.
Scenario questo che mostrerebbe apparati governativi statunitensi
divisi tra l'appoggio alla Bhutto e l'estremo sostegno a Musharraf;
ossia la conferma della guerra in corso tra contrapposti settori del
potere a stelle e strisce, già peraltro emersa nella clamorosa
smentita ufficiale della Cia sulla effettiva pericolosità dei
presunti piani nucleari iraniani che il presidente Bush aveva indicato
come la ragione per un attacco militare all'Iran.
Motivi per una grave divergenza strategica in seno allo stesso imperialismo statunitense peraltro non mancherebbero.
In primo luogo non è un mistero l'opposizione amerikana al
progetto di un consorzio tra Iran, Pakistan e India, con la Cina come
partner privilegiato, che dovrebbe portare l'energia dal Golfo alle
affamate economie in crescita d'Oriente. Il "gasdotto della pace"
sarebbe quindi il primo passo per la costruzione nell'area di nuove
intese tra Stati fino ad ora uno contro l'altro armati, che certo
sarebbe causa di un ulteriore indebolimento della potenza Usa.
Tale prospettiva sembra peraltro avvalorata dall'annuncio storico che
il 1° gennaio a Islamabad si è tenuto un incontro ufficiale
tra i governi pakistano e indiano in cui, nell'ambito dell'accordo di
cooperazione e distensione sottoscritto dalle due nazioni da sempre
nemiche ed entrambe dotate di armi atomiche, vi è stato pure
scambio delle liste con l'ubicazione delle rispettive installazioni
nucleari.
Con ogni probabilità il ritorno della Bhutto avrebbe dato
un'ulteriore accelerazione a tale processo, già intrapreso dal
padre durante la sua presidenza, considerando pure che il partito dei
Bhutto, il Ppp, altro non è che la versione pakistana del
Partito del Congresso indiano. Un'eventualità certo valutata con
preoccupazione da analisti statunitensi, quale ad esempio Graham E.
Fuller, ex vice presidente del National Intelligence Council della Cia,
che ha avvertito come "Qualsiasi nuovo equilibrio politico rischia di
essere ancor meno favorevole per Washington".
Ulteriore elemento di sospetto nei confronti di un'eventuale
responsabilità statunitense è quindi giunto il 2 gennaio,
con la notizia che per le indagini sull'assassinio della Bhutto,
Musharraf chiederà la collaborazione di Scotland Yard, ritenendo
quindi più affidabile l'intelligence britannica che la Cia.
Una prudenza più che motivata.
U.F.